Reproduction
di Susanna Sinigaglia
L’eccesso è uno dei tratti distintivi del teatro di Giuseppe Isgrò, il regista e fondatore della compagnia Phoebe Zeitgeist, e dentro l’eccesso ci si trova in questa nuova produzione presentata al Teatro della Contraddizione, luogo storico della scena milanese di nicchia. Dal “prologo” – quando fra il pubblico accalcato nel piccolo parterre in attesa di entrare in sala, a un tratto alcuni attori distribuiscono bigliettini con la raccomandazione: “non procreate” – alla scenografia, un giardino lussureggiante che tracima plastica dai colori sgargianti, piante finte in grandi vasi rigorosamente di plastica. E infine a quelli che più che personaggi in carne e ossa fin dai loro nomi sembrano grossi peluche – Conigliotto Bigotto, Leprotto di Mamma, Zebrotto di Voglia – o cartoni animati come Fratta,che ci appare semisdraiata in posa da diva appoggiata a uno dei suddetti vasi mentre si depila le gambe con studiata lentezza usando un piccolo rasoio di plastica, e ArtyParty la gallerista ribelle, la più trasgressiva e la più “umana”.
È infatti lei a dare voce alla critica più radicale verso la “matrità” e “patrità mentre gli altri – malgrado il lato ambiguo della propria figura e del proprio sesso– a uno a uno rivelano la loro aspirazione a seguire la“regola”, in questo caso rappresentata dalla nascita (o possesso?) di un figlio. Fratta è la prima a esprimere lo struggente desiderio di un bambino;a lei risponde Zebrotto che si rende disponibile ad accoppiarsi con lei, dichiarando tuttavia che sarà assente “come lo sono tutti i padri”. Conigliotto – interpretato da un attore che assomiglia in modo sorprendente a Paolo Poli – racconta di essersi accordato con una certa Gazzella e che dallo strano connubio è nato… un piccolo canguro viola-blu incinto…di un bigodino.
Leprotto – palesemente gay come lo è Conigliotto mentre Zebrotto sembrerebbe piuttosto bisessuale – si lamenta perché vorrebbe gli stessi diritti degli etero in materia di famiglia e figli.
L’insanitàe inconsistenza del loro desiderio sono rappresentate dal Ciccio bello, il bebè-chimeradi Fratta che appena beve fa pipì, dalei per questo detestato e colpito più volte, che diventa improvvisamente bambina; dall’animaletto viola-blu di Conigliotto, dall’irruzione di una pioggia di Barbie sulla scena, dalle farneticazioni di ognuno su sesso e procreazione da cui traspare una lacerazione insanabile tra un desiderio fantasticato e la realtà di dareal mondo – a questo mondo – un altro essere. Lo spettacolo finisce col funerale della povera ArtyParty, l’unica voce discordante del gruppo, con buona pace dei suoi amici di plastica.
Mi sembra interessante la tesi di fondo, quella secondo cui non sono le inclinazioni sessuali o la stranezza esteriore a marcare la differenza ma il pensiero critico, l’autenticità dei sentimenti che spesso proprio nell’ambito familiare trovano i primi ostacoli,perché la famiglia – anche intesa in senso lato – è ancora e forse più che mai il contesto in cui si producono e riproducono i rapporti di forza nelle interrelazioni sociali, le rivalità, le primazie e le emarginazioni secondo le convenienze. In proposito, mi sarebbe piaciuto che questo tipo di questioni – più che affidate alle parole di ArtyParty – fossero state espresse dai rapporti intercorrenti fra i personaggi, ed è quanto mi permetto di suggerire a Giuseppe Isgrò e ai suoi attori. Infatti altrimenti, la morte di ArtyParty non sembra abbastanza giustificata a livello drammaturgico, un evento “out of the blue”, e la performance resta un po’ troppo sbilanciata verso il lato grottesco, solo sfiorando quello drammatico del tema trattato.