Ricordiamo Maria Occhipinti, la ribelle di Ragusa

di Lella Di Marco

       «Auguro che vi chiamino ribelli» (Mimmo Lucano, 2018)

 

SICILIA GENNAIO 1945, RIVOLTE POPOLARI: A RAGUSA LA   GIOVANE MARIA OCCHIPINTI ORGANIZZA E GUIDA LA RIVOLTA AL GRIDO di «PANE PANE – NON SI PARTE»

   Scrivere di quei giorni non è solo un esercizio della memoria ma uno specchio che ci rimanda gli eventi per capirli rivivendoli e imparare a fare.
Gli ordini erano riprendere le armi, tornare alla guerra, nonostante ufficialmente fosse finita mentre dilagavano miseria, povertà, disoccupazione con il popolo allo stremo.
Dopo l’8 settembre 1943 il regio esercito si era dissolto, per lottare contro la Germania il nuovo governo di Badoglio decise di intraprendere una campagna di reclutamento di massa nel Meridione, che accogliesse anche ex disertori, sbandati, renitenti, anche per dare il cambio alle classi dei combattenti più anziani.
Le cartoline precetto arrivarono ai giovani dai 20 ai 30 anni, e subito moti popolari scoppiarono in molte città della Sicilia. Gli insorti non manifestavano soltanto ribellione a continuare una guerra assurda ma anche l’estremo bisogno di rialzarsi dalle macerie prodotte al Sud in decenni di malgoverno. La repressione fu violentissima, anche le forze di sinistra non ne capirono la portata e soltanto di recente alcuni storici nell’analizzare il fenomeno lo chiamarono la ribellione dei NON SI PARTE, decisamente antimilitarista .
Lo slogan fu inventato da una giovane donna, Maria Occhipinti, nella rivolta di Ragusa iniziata nel dicembre 1944 e divenne il simbolo di tutte le manifestazioni che seguirono. Maria fu l’unica donna a guidare la ribellione di Ragusa ma fu incompresa  a lungo anche dalla storiografia ufficiale, che nella sua cecità considerò quelle insurrezioni popolari come rigurgito fascista e/o volontà di separatismo.
La mattina del 4 gennaio 1945 a Ragusa, Maria aveva 23 anni ed era incinta di cinque mesi. Non esitò in corso Vittorio Emanuele a stendersi per terra davanti a un camion militare carico di giovani rastrellati di casa in casa, per permettere loro di fuggire. Scoppiò il tumulto ma arrivarono puntuali anche gli spari dei gendarmi. Dopo giorni di insurrezione, con l’arrivo della divisione sabauda, la repressione fu spietata. L’«ordine» fu ristabilito l’8 gennaio con qualche centinaio di arresti. Maria fu condannata al confino nell’isola di Ustica, dove in miseria e sola diede alla luce una bambina. Successivamente verrà trasferita a Palermo nel carcere delle benedettine.
Ha 25 anni quando, con l’amnistia di Palmiro Togliatti (allora ministro di Grazia e giustizia) nel 1946, sempre sola e povera, le è permesso di ritornare a casa. Ad accoglierla  altra solitudine, freddezza e disprezzo dei familiari ma anche fra la gente “perbene”. Non avevano approvato le sue scelte. Non la riconoscevano «donna» come da convenzione con i canoni dell’obbedienza, della famiglia patriarcale e della fedeltà all’ordine costituito: era indegna.
Maria aveva la coscienza di sfruttata e di emarginata come donna e come essere umano. Ma era anche curiosa. Ribelle. Voleva capire per cambiare. Voleva relazioni significative. Con la sua bambina decise di lasciare Ragusa, cercando nel Nord nuove possibilità di vita, finché non si stabilisce in Svizzera.
Una donna del popolo, poco alfabetizzata ma ha letto molto, anche se in modo confuso. Si interroga sui principali problemi esistenziali, sulla condizione della donna in Sicilia, sull’oscurantismo della religione, sulla guerra.
Capisce l’importanza della parola e della scrittura, così proprio in Svizzera in un momento di “catarsi” e proprio come cura del sé scrive la sua biografia: «UNA DONNA DI RAGUSA».  Oggi quel testo – che all’inizio passò sotto silenzio – avrebbe fatto la gioia anche di linguisti, etno- antropologi e sociologi soprattutto per il linguaggio: un misto di dialetto siciliano e italiano corrente, con stile scarno e reminescenze verghiane ma soprattutto contenuti forti e profondi.
La scoperta di «Una donna di Ragusa» avvenne quando nel 1976 la casa editrice Feltrinelli lo pubblicò con un’autorevole prefazione di Enzo Forcella. Da quel momento cambiarono anche le condizioni di vita di Maria: in parte per la visibilità che aveva acquisito con il riconoscimento del valore della sua opera (e i premi ricevuti come il Brancati-Zafferana) e in parte perchè molti insegnanti lo adottarono. In seguito la RAI decise di farne una trasposizione cinematografica.
Maria però resta irrequieta. Vuole conoscere altri Paesi e si reca in Marocco, Francia, Canada, poi a New York per stabilirsi  definitivamente nel 1973, a Roma con la figlia.
Nella capitale continua la sua attività politica scrivendo articoli a carattere sociale e politico. Denuncia le ingiuste condizioni delle domestiche, costrette spesso a subire abusi sessuali. Evidenzia il grave problema dell’espropriazione dei terreni, a prezzi irrisori, alla periferia di Ragusa. A Roma torna il suo fervore letterario e compone novelle che poi entreranno a far parte della raccolta «Il carrubo».
Non conosciamo tutto della sua vita ma soprattutto del dolore e della solitudine. Ma mi piace sottolineare l’interesse di giovani accademiche nei suoi confronti e la ricerca di documenti inediti. Nello specifico cito la docente Laura Barone all’Università di Catania che con il suo libro «Una donna libera» (Sellerio  editore) ha prodotto la più completa biografia su Maria Occhipinti, intuendo l’importanza del suo esempio e dei suoi scritti per l’emancipazione femminile. Perchè le bambine del futuro non debbano più  accettare la condizione di sottomissione e subalternità. Il pregevole lavoro culturale e politico  della professoressa Barone continua con le tesi di laurea delle sue allieve (come Silvia Ragusa).
Da una donna a donne a tante donne in un processo rivoluzionario attraverso la cultura.

Io sono una briciola
dell’Universo, un
atomo che si staccherà dalla
Terra, per vivere negli altri
pianeti  (Maria OcchipintiI)

cfr Scor-data : 29 luglio 1921 di Daniela Pia ma anche Sicilia, 50 giorni di libertà di Antonio Mangiafico e Pippo Gurrieri

COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

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