Riflessione storico-politica sul Nicaragua
La religione secondo il chayismo e il danielismo
di Bái Qiú’ēn
Quel che ora penso veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo (Hannah Arendt, La banalità del male).
Tantum religio potuit suadere malorum (Lucrezio, De rerum natura).
Perché ci lamentiamo del peccato originale? Non è per sua colpa che siamo stati cacciati dal paradiso terrestre, bensì a causa dell’albero della vita, affinché non ne mangiassimo i frutti (Franz Kafka, Aforismi di Zürau)
Immaginatevi di aver preso a San José un biglietto di Ticabus diretto verso la società socialista cristiana e solidale e di esservi addormentati nel dondolio della corsa in pulmann. Dopo una decina di ore, poco più o poco meno, una dolce voce femminile vi sveglia: «Managua! Repubblica socialista!». Vi svegliate di balzo: ecché? Sarebbe mai vero? Che mentre voi dormivate, quel bravo proletario dell’autista vi abbia trasportati nel bel mezzo del socialismo realizzato? Ma i vostri occhi si rifiutano di crederlo: che tutto attorno è come prima; nulla di mutato nelle menti dei governanti, negli animi dei ministri, nei modi di vita della povera gente.
Per puro divertimento abbiamo voluto adattare un brano dell’articolo «Il Consiglio nazionale di Firenze» di Umberto Terracini, pubblicato ne L’Ordine Nuovo del 24-31 gennaio 1920, redatto forse con un ricordo del romanzo utopistico di William Morris News from Nowhere.
Se, invece, credete ancora alle favole, potreste immaginare case decenti al posto di fatiscenti costruzioni (alcune volte di cartone e compensato), genitori che comprano gelati e caramelle ai figli, nessuno con i vestiti rattoppati alla meglio, nessun ragazzino che vende cianfrusaglie ai semafori, i ministri e i deputati che aiutano le vecchiette ad attraversare le strade per salvarle da possibili investimenti automobilistici, lavoratori e lavoratrici che escono da una maquila cantando o fischiettando, il presidente che ripara una buca nell’asfalto davanti al Plaza Inter, coadiuvato dal capo della polizia e da quello dell’esercito.
Negli anni Ottanta, quando si scendeva dalla scaletta dell’aereo, una scritta cubitale accoglieva il visitatore: «Bienvenidos a la tierra de Sandino». Oggi è scomparso, probabilmente gettato tra i rifiuti della Chureca.
Non essendo filosofi né, tanto meno, poeti, per comodità useremo la metafora poetico-politica di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole per tentare di ragionare sul mutamento antropologico avvenuto in coloro che da giovani si credevano rivoluzionari e nell’attualità mistificano ciò che sono diventati.
Nel febbraio del 1975, pochi mesi prima della sua morte, il poeta scriveva la lucida e disperata analisi: «Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua […] sono cominciate a scomparire le lucciole. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più». Per descrivere la mutazione politica, il passaggio nel nostro Paese dal «fascismo fascista» al «fascismo democristiano», utilizzava questa metafora zoologico-ambientalista, analizzando tre momenti specifici che, apparentemente senza discontinuità, caratterizzavano per lui una sorta di spartiacque o di confine tra due fasi del nostro sistema politico: «Prima della scomparsa delle lucciole», «Durante la scomparsa delle lucciole» e «Dopo la scomparsa delle lucciole». L’obiettivo del poeta era quello di evidenziare la totale inconsapevolezza da parte del regime politico dominante di un tale mutamento e quindi della sua completa incomprensione della fattuale realtà del Paese e della società che pure governava.
Non è certo possibile sovrapporre ciò che «avvenne a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta» in Italia con ciò che è accaduto in un altro luogo, nello specifico il Nicaragua a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo. Fare questa semplice e semplicistica sostituzione sarebbe una forzatura politica, ancora prima che geografico-temporale e storica. A tutti gli effetti, però, lo stesso fenomeno è accaduto a circa ottomila chilometri da noi: «Gli uomini di potere sono passati dalla “fase delle lucciole” alla fase della “scomparsa delle lucciole” senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta. Non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una “normale” evoluzione, ma stava cambiando radicalmente natura» e, al contempo, «essi sono diventati delle maschere funebri [che] continuavano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili in cui galleggiano i flatus vocis delle solite promesse stereotipe. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla: il vuoto».
Per dirla con un’altra metafora, più recente e di certo assai più nota: non sono resi conto, con il passare degli anni, di essere diventati loro stessi la «mucca nel corridoio».
Senza alcuna pretesa di avere la verità in tasca né la soluzione a tutti i problemi, in vari articoli precedenti abbiamo tentato di dimostrare come si sia giunti a trasformare il Frente Sandinista in una specie di Ecclesia. Nella quale si venerano i martiri e gli eroi della Rivoluzione Popolare come se fossero santi, tradendone però gli ideali per cui lottarono, e trasformando colui che ricopre contemporaneamente i ruoli pro-tempore di segretario del partito e di Presidente della Repubblica, Daniel Ortega, in un vero e proprio Messia (o in un semi-Dio, in quanto tale immortale ed eterno per antonomasia: «Non avrai altro Comandante all’infuori di me»).
La sacerdotessa suprema di questo nuovo misticismo semi-religioso e al contempo semi-laico, che manipola e travisa sia la storia sia le idee per i propri scopi contingenti di casta, è ovviamente Rosario Murillo, della quale non risulta alcuna azione guerrigliera nella lotta anti-somozista e neppure che abbia mai avuto né abbia attualmente un qualsiasi incarico politico ufficiale all’interno del Frente, però, come in ogni Ecclesia, è l’interprete unica e ufficiale del pensiero rivoluzionario, così come Stalin si auto-proclamò unico interorete ufficiale di Marx e di Lenin. Il suo Verbo televisivo quotidiano del mezzogiorno (l’ora dell’Angelus, per i cattolici praticanti) è pertanto legge suprema e non può essere messo in discussione, per quanto del tutto incapace di cogliere la molteplicità dei fatti e l’ineliminabile discordanza delle opinioni. D’altro canto, è probabilmente il personaggio pubblico meno gradito da parte di parecchi militanti storici sandinisti.
Questo suo Verbo non fu messo in discussione neppure quando, nel 2011, riuscì a definire «miracolo divino» la gravidanza e il parto di una ragazzina dodicenne indigena violentata a Walpa Siksa (Pietra Nera in lingua mískita), sperduta località della Costa Atlantica e impedita ad interrompere la sicuramente non gradita quanto precoce maternità. Non è dato sapere se lo sconosciuto violentatore si chiamasse Espíritu Santo né se agisse in nome e per conto di un essere supremo, come accadde circa due millenni or sono con una ragazzina appena un po’ più grandicella: «Tu gloria, tu gloria, gozoso ese día…».
Chi frequenta la Messa, sa che spesso il sacerdote, dopo aver recitato un versetto biblico, è solito dire: «Parola di Dio», con ciò indicando che i testi sacri costituiscono una rivelazione della suprema sapienza divina. Nel sito ufficiale El 19 Digital, la «Parola di Dio» si è miracolosamente trasformata nella sezione «Palabras de Daniel y Rosario» (in alto a destra nella home). Però, a tutti gli effetti, sono semplicemente le «parole, parole, parole» della battuta che Shakespeare fa pronunciare ad Amleto in risposta alla domanda di Polonio, ciambellano della Corte danese: «Che cosa state leggendo, mio signore?».
Questo vigente e operante (imperante) modello di Ecclesia che dovrebbe attenersi all’art. 30 della Costituzione («Los nicaragüenses tienen derecho a expresar libremente su pensamiento en público o en privado, individual o colectivamente, en forma oral, escrita o por cualquier otro medio») ha perduto totalmente qualunque legame con l’origine etimologica del termine, con cui si indicava nell’antica Grecia l’assemblea popolare nelle libere e sovrane città-Stato, alla quale partecipavano con diritto di parola e di voto tutti i cittadini nel pieno possesso dei loro diritti. Lo stesso meccanismo, nel periodo delle lotte per l’Indipendenza dalla Spagna, in America Centrale fu denominato Cabildo abierto, organismo di partecipazione popolare che si riuniva nei locali dei Consigli municipali o nelle chiese, con la capacità di rimuovere persino le autorità e costituire governi autonomi dai colonialisti spagnoli. Forma indiscutibile di sovranità popolare, assai prima che ne parlasse un certo Rousseau e che fu pienamente attuata nel Nicaragua del 1986, quando l’intera popolazione discusse il testo della nuova Costituzione: vera scommessa per un futuro di libertà e di democrazia (Nicaragua. La nuova Costituzione, Speciale EMI/Sud-Sezione Asal, Bologna 1988).
Il sistema attualmente vigente, definito con una notevole pompa magna «seconda fase della rivoluzione» è profondamente diverso e opposto rispetto a quello degli anni Ottanta, ben descritto da Giulio Girardi nel suo saggio Sandinismo, marxismo, cristianesimo. La confluenza: «Il messaggio di speranza che questo popolo tenta di lanciare a un mondo che lo respinge, porta dei nomi non meno controversi di quello del Nicaragua: Sandino, Marx, Gesù. Tre sovversivi, ognuno nel suo ambiente, e a suo modo. Tutti e tre perseguitati dai garanti dell’ordine e della disperazione».
I simboli-totem più evidenti della nuova religione sono le onnipresenti immagini della coppia divina che, a livello subliminale, trasmettono un solo e costante messaggio di stile neo-orwelliano: «El Gran Broder* te ve». Non si può sfuggire all’occhio super-vigile di una divinità presente in ogni luogo e in ogni istante, basato sull’assunto indiscutibile: «Chi controlla il passato, controlla il futuro». L’alterazione della memoria storica è infatti fondamentale per il mantenimento del potere, facendola aderire, o tentando di farla aderire al dogma dell’infallibilità del Messia e della sua unica sacerdotessa. Traducendo la «seconda fase della rivoluzione» dalla neo-lingua a una più comprensibile, equivale a «Andiamo a Ostia a veder sorgere il sole [dell’avvenire?]». Sostituendo La Boquita a Ostia, il risultato non cambia granché: è comunque inutile l’attesa del «nuevo sol que habrá de iluminar toda la tierra».
Non a caso, secondo sant’Agostino, l’etimologia del termine «religione» è rintracciabile nel latino ligare, legare, attaccare, che ha formato religare, legare più fortemente: «Legandoci dunque a Lui, invece di staccarci dalla nostra disgrazia, meditarlo e rileggerlo incessantemente – da cui viene, si dice, la parola religione – noi tendiamo verso di lui per amore, per trovare riposo in lui e possedere la beatitudine possedendo la perfezione» (De Civitate Dei contra Paganos, 413-426).
Se non si concorda con questa lettura della realtà odierna del Nicaragua basata su una specie di fondamentalismo mistico che riesce persino ad affermare che la concorrente Chiesa cattolica è una «dictadura perfecta» poiché il Papa, i cardinali, i vescovi e i preti non sono eletti dalla massa dei fedeli, confondendo abilmente ciò che è un’istituzione religiosa (che veglia costantemente sull’integrità del mito) con una struttura istituzionale politica (Daniel dixit, 30 settembre 2022), resta pur sempre la critica gramsciana del partito politico autoreferenziale, nel quale le masse «non hanno altra funzione politica che quella di una fedeltà generica, di tipo militare, a un centro politico visibile o invisibile […]. La massa è semplicemente di “manovra” e viene “occupata” con prediche morali, con pungoli sentimentali, con miti messianici di attesa di età favolose in cui tutte le contraddizioni e miserie presenti saranno automaticamente risolte e sanate». Parole scritte all’interno di una cella del carcere di Turi, più o meno nello stesso periodo in cui a Managua veniva assassinato il Generale degli uomini liberi.
Alle volte è sufficiente osservare alcune immagini, senza per forza essere degli esperti in iconografia come Erwin Panofski od Omar Calabrese, per rendersi conto dei mutamenti sostanziali avvenuti nel corso del tempo.
Quella che, con Pasolini, possiamo chiamare la fase delle lucciole è ben visibile nelle foto che avevano immortalato la repleta y bulliciosa Plaza de la República (poi della Revolución) il 19 luglio 1979, dopo la fuga di Tachito Somoza, con l’arrivo dei guerriglieri a Managua, festeggiati e osannati da un cachimb’e pipol** accorso in massa sventolando bandiere rosso-nere.
Poiché stiamo affrontando il rapporto tra la politica e l’immaginario, la fase della scomparsa delle lucciole la si può osservare invece nelle foto del 19 luglio 2022, ennesimo anniversario del triunfo, al quale si poteva partecipare solo su invito, mentre la massa se ne stava nelle proprie abitazioni, caso mai incollata al televisore sintonizzato su un qualsiasi canale che trasmetteva en cadena per ordine della sacerdotessa ciò che stava accadendo nel vecchio centro di Managua.
Ben poco si può dire, se non che il raffronto tra queste due realtà visuali va a tutto discapito di quella più recente.
Se aggiungiamo che la canzone più cantata negli anni Ottanta era senza dubbio Ay Nicaragua, Nicaragüita («Pero ahora que ya sos libre, Nicaragüita / Yo te quiero mucho más»), oggi assolutamente proibita e il suo autore è in esilio, il quadro è ancora più fosco.
Per utilizzare la definizione di Girardi, gli attuali governanti del Nicaragua, hanno assunto l’aspetto e i comportamenti di coloro che li hanno preceduti, trasformatisi in «garanti dell’ordine e della disperazione», per cui metterebbero in carcere o costringerebbero all’esilio sia Sandino, sia Marx sia Gesù, se tornassero al mondo e calpestassero il suolo del loro feudo tetando di dire ciò che pensano. E di già che ci sono, arresterebbero pure Carlos Fonseca, Ricardo Morales Avilés, Germán Pomares e numerosi altri. Per la semplice ragione che questi renanti e la loro Corte vivono costantemente in quello stato emotivo e psicologico di apprensione per un vero o un presunto pericolo che in parole povere si chiama paura. E, per difendersi dalle idee opposte, invece di contrapporvi idee rivoluzionarie, propagandano nella neolingua l’esistenza di continui complotti e tradimenti, esattamente come a suo tempo faceva un certo Robespierre. Eppure la Storia, quella con la S maiuscola, insegna che la persecuzione del pensiero, lungi dal limitarne la diffusione e il radicamento, spesso e volentieri ottiene l’effetto esattamente opposto.
Narra un’antica leggenda tramandata oralmente per secoli prima di essere scritta, che persino Yahweh ebbe paura di perdere il proprio potere (simboleggiato dall’unicità immortale) e, per mantenerlo, trasformò il Paradiso terrestre in un recinto deserto e sorvegliato a vista: «Poi il Signore Dio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!”. Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita» (Genesi 3:22-24). Ciò non impedì ai terricoli di adorare il vitello d’oro o di compiere svariate nefandezze o di voler raggiungere il Cielo con una immensa torre.
Soltanto al termine del mondo si compirà la promessa: «Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (Apocalisse, 23:20). Da quelli metallici e assai poco estetici (nonostante la propaganda) che Rosario aveva fatto installare, non era però possibile mangiare alcun frutto. Totalmente inutili rispetto all’acquisizione della conoscenza e ancor più della vita eterna. Ma quando i protestantes iniziarono a farli crollare uno dopo l’altro, iniziò e crebbe la paura che dai simboli più o meno esoterici si potesse passare al Messia e alla relativa sacerdotessa, evidenziando agli occhi dei comuni mortali la loro non eternità e non divinità. Si era spezzato quell’incantesimo dovuto al silenzio delle masse, malamente interpretato come passiva accettazione di tutto ciò che cadeva dal Cielo e che Umberto Eco descrisse nel meccanismo orwelliano: «Il Grande Fratello serve, perché bisogna pur avere un oggetto d’amore, ma basta che egli sia un’immagine televisiva», forse anche solo in giganteschi cartelloni e in manifestini incollati per ogni dove o in audio telefonico come le omelie meridiane di Rosario trasmesse da Canal4 Multinoticias.
Tornando all’Ecclesia, pure nell’Atene antica le tendenze accentratrici delle oligarchie iniziarono a restringere sempre più la sovranità di quell’assemblea popolare, rendendola più nominale che reale, ostacolandola e limitandola progressivamente. Da qui a trasformarla nella congregazione dei fedeli aventi per capo un sommo e infallibile pontefice, il passo involutivo è decisamente breve. Fino a giungere al classico «Non disturbare il conducator».
In un’altra area del mondo mediterraneo, parecchio tempo fa, accadde una storia che ha parecchi punti in comune con quella del Nicaragua odierno. Nell’Egitto della XVIII dinastia, la coppia faraonica di Akhenaton e Nefertiti tentò di instaurare una nuova religione, non più politeista, bensì basata sul Dio unico Aton, il disco solare che si auto-generò e poi creò tutto ciò che esiste, a tutti gli effetti progenitore del suddetto Yahweh (e il faraone Amenofi IV, dopo alcuni anni di regno decise di autochiamarsi Akhenaton= Colui che è utile ad Aton). Nella metà del XIV secolo a.C., quella effimera rivoluzione religiosa, monolatrica più che monoteista, imposta con la forza ai sudditi, impartendo persino l’ordine di eliminare le immagini e i culti degli altri Dei in tutto l’Egitto, causò circa un ventennio di stravolgimenti e persino taluni disordini politici e rivolte che portarono alla quasi disgregazione del Paese.
Quella di Aton era diventata un’icona sacra, da ripetere ovunque, ed era l’unica immagine possibile all’interno delle tombe e degli altarini domestici. «Nessuno ha mai visto il Grande Fratello. È un volto sui manifesti, una voce che viene dal teleschermo. Possiamo essere ragionevolmente certi che non morirà mai. Già adesso non si sa con certezza quando sia nato. Il Grande Fratello è il modo in cui il Partito sceglie di mostrarsi al mondo. Ha la funzione di agire da catalizzatore dell’amore, della paura e della venerazione, tutti sentimenti che è più facile provare per una singola persona che per una organizzazione» (George Orwell)
Nonostante che i faraoni siano considerati figli del dio Ra, unici intermediari tra gli uomini e le divinità e loro stessi vere e proprie divinità senza i quali tutto il creato piomberebbe nel caos, poiché la coppia non riuscì ad avere un erede maschio, pare che Akhenaton si sia accoppiato con alcune figlie (l’incesto era cosa comune all’epoca), ma la faccenda è tuttora dibattuta tra gli egittologi.
A quanto pare Nefertiti, la quale godette di un potere senza precedenti per una regina consorte d’Egitto, tanto che pare fosse stata elevata al rango di co-reggente (con poteri uguali a quelli del faraone: esempio storico della parità di genere malamente inteso, rispolverato nell’attuale Nicaragua) e tentò di governare il Regno dopo la morte del marito Akhenaton, prima dell’ascesa al trono di Tutankhamon, figlio forse di una concubina (pure questo assai comune all’epoca e trasmesso persino nella storia di Giacobbe e della serva Bila, esempio tipico della biblica famiglia naturale).
Pochi anni dopo la morte della coppia regnante, i monumenti al nuovo Dio furono tutti occultati o abbattuti, le sue statue spezzate o riciclate, mentre il nome stesso di Akhenaton fu cancellato dagli elenchi reali, la loro residenza saccheggiata e rasa al suolo e i nuovi sovrani egizi, suoi successori, lo definirono gentilmente «quel criminale».
Un po’ più vicina a noi nel tempo, una vicenda poco nota del Nicaragua riguarda il generale conservatore José Dolores Estrada Vado, detto Lolo. Nell’ormai lontano 14 settembre 1856, agli ordini del generale conservatore Fernando Chamorro Alfaro con il grado di tenente colonnello al comando di una forza nicaraguense composta da circa 150 uomini (che univa liberali e conservatori) sconfisse i 300 filibustieri agli ordini di William Walker. Per mettere fine al pluri-decennale scontro politico-militare tra le due forze politiche si decise di formare un governo binario, alla cui testa furono collocati il liberale Máximo Jerez e il conservatore (legittimista) Tomás Martínez. Fu popolarmente denominato Gobierno chachagua, termine di origine nahuatl (azteca) che significa “gemello” (con un senso molto simile a: Dio li fa e poi li accoppia). Alcuni anni dopo, nel 1862, Martínez decise di ricandidarsi alla presidenza della Repubblica, sebbene la Costituzione allora vigente lo proibisse espressamente. Sia José Dolores Estrada sia Fernando Chamorro, assieme ad altri conservatori, si opposero alla rielezione del presidente loro correligionario e furono immediatamente dichiarati «traditori della Patria» (Decreto presidenziale del 24 aprile 1863). Anche grazie ai brogli, Martínez fu rieletto, Estrada fu costretto all’esilio in Costa Rica e Chamorro fuggì in Honduras, dove nello stesso 1863 fu assassinato nei pressi di Choluteca (21 luglio).
A quanto ne sappiamo, in Nicaragua non esiste alcun monumento a Tomás Martínez, mentre José Dolores Estrada è stato dichiarato Eroe Nazionale ed è ricordato nel preambolo dell’attuale Costituzione come colui che «derrotó al dominio filibustero y la intervención norteamericana en la Guerra Nacional».
Qualcuno potrà forse trovare dei paralleli di questa vicenda con la realtà nicaraguense di oggi, a partire dal 2018, e all’estrema facilità con cui si bolla qualcuno con l’accusa infamante di «vendepatria» quando esprime semplicemente il proprio pensiero. Ma a noi fa riflettere sulle lotte intestine all’interno della medesima formazione politica, il cui massimo esempio storico fu incarnato dal baffuto georgiano.
Senza tirare in ballo Erasmo con il suo Elogio della follia o Sebastian Brant con La nave dei folli, ci pare opportuno ricordare che nel 1912 lo scrittore francese Anatole France, in seguito premio Nobel, pubblicò il romanzo Les dieux ont soif, ambientato nella Parigi nel 1793-1794 e tradotto dalle Edizioni Avanti! dieci anni dopo con il titolo Gli dei hanno sete [sete di sangue, por supuesto]. È la storia di un mediocre pittore assai idealista, che vuole a tutti i costi rendere felici le persone anche se loro non lo desiderano. Évariste Gamelin è assetato di giustizia ed è perciò nominato membro del Tribunale Rivoluzionario: giudizio sommario dopo giudizio sommario non solo nei confronti di chi non la pensa esattamente come lui e persino di persone a lui care, sprofonda nel baratro della follia.
Lo stesso giorno in cui Robespierre sale sulla ghigliottina, pure Gamelin è «deposto sulla pedana che tante volte egli aveva veduto carica di accusati, su cui si erano successivamente sedute tante vittime, illustri e oscure» (op. cit., p. 252).
Non possiamo che riassumere il tutto con la traduzione del verso di Lucrezio riportato in epigrafe: «A un così atroce misfatto poté indurre la religione».
Dopo questa lunga divagazione, ci domandiamo: Quale potrà essere il futuro più o meno prossimo del Nicaragua? Il filosofo direbbe che non esiste il futuro, bensì i futuri. Non abbiamo una risposta, non avendo alcuna opportunità di consultare il libro dell’eterna e infinita conoscenza divina dove tutto è scritto in anticipo come nel manoscritto del gitano Melquiades: «El primero de la estirpe está amarrado en un árbol y al último se lo están comiendo las hormigas» (Cien años de soledad).
Sarebbe un inutile esercizio intellettuale ipotizzare cosa direbbe o farebbe Sandino di fronte all’attuale realtà del proprio Paese. Gli attuali governanti, nuovi oligarchi, pur affermando di essere i suoi pronipoti, ne forniscono una caricatura sia del pensiero sia dell’azione. Riteniamo che non sia improbabile che la corda troppo tirata si spezzi nuovamente e che proteste ancora più massicce rispetto a quelle del 2018 si realizzino nelle piazze e nelle strade. Però, temiamo fortemente che, pur continuando a parlare di lotta civile non-violenta (e a praticarla, come con lo sciopero della fame in corso da alcune settimane di una ventina di carcerati politici, tra i quali Dora María Téllez), non avendo alcuno spazio democratico di agibilità per esprimere le loro idee (che andrebbero combattute con altre idee e non con le comode e sbrigative manette), i rappresentanti dell’opposizione di destra, finanziati ovviamente da Washington, non vedendo altra via d’uscita per riprendere il potere formino nuovi gruppi armati e inneschino un’ennesima e folle guerra civile, con attentati e altre forme di terrorismo. Ipotesi non certo auspicabile, da nessun punto di vista, che lascerebbe una notevole quantità di morti sul terreno (assai più che nel 2018). Ma logicamente si tratta di una possibilità non scartabile a priori, di fronte a un partito che da libertario si è fatto partito-Stato e basa tutta la propria politica sullo spionaggio diffuso, sulla corruzione, sull’arbitrio e sull’impunità. Nei confronti del quale lo stesso Moisés Hassan Morales, ex integrante della prima Giunta Rivoluzionaria di Governo nel 1979, poi sindaco di Managua dal 1984 al 1988, ritiene che non esista alcuna possibile uscita negoziale (e non ci meraviglieremmo se tra non molto tempo sarà arrestato e processato come «vendepatria»).
Già nel novembre del 1966, mentre i partiti tradizionali si stavano preparando per la campagna elettorale ma gli spazi di democrazia e la libertà erano pure chimere, il FSLN lanciò un proclama al popolo nicaraguense affermando che l’unica alternativa per porre fine al regime dei Somoza era la lotta armata. Senza dubbio le situazioni storiche non sono sovrapponibili, ma proprio la Storia dovrebbe aprire gli occhi a coloro che sono troppo autosuggestionati fino alla completa cecità dalla loro stessa propaganda che non rispecchia in nulla la realtà fattuale odierna e hanno dimenticato o non hanno mai conosciuto l’aneddoto raccontato da Diogene Laerzio su Socrate: «Quando Pericle gli promise che l’avrebbe mantenuto se fosse andato da lui, rispose: “Non rinuncio alla mia libertà di parola per denaro”».
Si tratta di una tragedia che sarebbe ancor più complicata da risolvere nel caso in cui Rosario diventasse Presidentessa a causa della scomparsa di Daniel (misticamente detta otro plano de vida): non abbiamo alcuna certezza che sia l’esercito sia la polizia (o quanto meno una loro parte più o meno sostanziosa) invece di eseguire al pie de la letra i suoi ordini non si rivoltino contro di lei e il suo stuolo di cortigiani e leccapiattini.
E non è certamente fantapolitica ipotizzare che, pur senza una guerra civile, se i rappresentanti della destra tornassero in un modo o nell’altro al potere, le leggi liberticide emanate negli ultimi anni potrebbero essere rivolte non soltanto contro chi, dall’alto, si è appropriato di una nazione e l’ha trasformata in un feudo, monopolizzando e travisando una storia e una idea per i propri fini personali, bensì contro tutti coloro che oseranno opporsi a questi paleolitici personaggi che definire di destra è dar loro una patente di coscienza politica che mai hanno avuto. Ma che sono perfettamente in grado di avviare un novello 9 Termidoro.
Riteniamo che l’unico modo per evitare una simile tragedia annunciata, con tutto ciò che ne potrebbe seguire, sia esclusivamente nelle mani dei militanti di base del Frente Sandinista, dei tanti che non sono ancora stati cooptati con qualche prebenda né mentalmente omogeneizzati dalla nuova religione ufficiale (basta pensare alle numerose associazioni sandiniste storiche cancellate con un semplice colpo di penna perché non perfettamente allineate, ma ancora idealmente legate alle “origini”). A loro, che come minimo sono sconcertati dalla deriva attuale (come lo erano già prima del 2018), spetta il compito storico di organizzarsi sul modello dei cabildos abiertos e di lottare politicamente e culturalmente su due fronti: contro la destra becera e troglodita, impedendole di trasformarsi in un movimento di massa, e contro tutti quei falsi profeti che hanno coscientemente tradito i sogni di milioni di persone, promettendo di realizzarli… mañana, non oggi: «Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore; l’ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura» (Deuteronomio 18:22). L’obiettivo, a nostro parere, non può che essere lo stesso che indicò Gramsci già nel dicembre del 1925: ricostituire «il partito […] non come setta staccata dalle masse e fossilizzato nella ripetizione di una vuota fraseologia rivoluzionaria».
Per evitare questo possibile baratro (dovuto al vuoto culturale e ideologico, quindi, di egemonia), è necessario e sempre più impellente abbandonare le «frasi superficialmente scarlatte», che possono soddisfare lo spirito nell’immediato ma non servono a realizzare un vero e profondo mutamento, quella trasformazione mille volte promessa ma mai neppure iniziata, mettendo in soffitta le fantasie complottiste che pretendono di spiegare tutto senza spiegare nulla, recuperando senza travisamenti la storia e rifondando il Frente Sandinista sulla sua tradizione ideale, per poter avviare fattivamente la trasformazione socio-politica ed economica del Paese a partire dalla creazione ex novo di istituzioni realmente dirette dal basso, da quel Pueblo Presidente che oggi è solo uno slogan del tutto vuoto di sostanza, basato sull’impossibilità di poter pensare criticamente e di avere dubbi, sull’idea che «L’ignoranza è forza», quell’ignoranza con la quale si riesce a bloccare le masse sventolando lo spauracchio del «tradimento della Patria», con l’unico obiettivo di mantenersi indefinitivamente al potere. Rendendosi conto che quando il Popolo è davvero il Presidente, mai potrebbe tradire se stesso e le lucciole alfine potrebbero finalmente volare su quei biblici «caudalosos ríos de leche y miel» evocati nell’inno del Frente Sandinista, composto da un attuale esule politico.
* Broder: dall’inglese brother, fratello. Pure il Nicaragua è troppo vicino agli Stati Uniti e parecchio lontano da Dio.
** Cachimb’e pipol: sacco di gente. Pipol dall’inglese people.
Nelle rivoluzioni, purtroppo, spesso i più generosi e intelligenti (ad es. Carlos Fonseca) rischiano e muoiono, e restano i meno generosi e intelligenti. Per questo sarebbe necessaria una teoria politica, una cultura politica coerente. Socialismo + mercato non poteva davvero funzionare. Far convergere tutto e il contrario di tutto difficilmente produce sviluppi apprezzabili…