Riflessioni darwiniane
Evoluzione, pensiero intuitivo, mutazioni, deriva genetica, neuroscienze, animismo, razionalità, superstizioni…
di Giorgio Chelidonio
Da qualche parte delle mie letture ricordo di aver notato che in una delle sue ultime lettere (a chi non mi riesce di ripescarlo) Charles Darwin [LINK 1] abbia scritto di ritenersi l’ultimo dei “non darwinisti”. Chissà se l’incrocio fra la mia memoria e la sua inevitabile evoluzione anagrafica mi stia creando qualche scherzo ma proprio a questo ho pensato ricevendo (tramite la pagina Facebook di “Archeologie Unige”) la riflessione che ricopio parzialmente qui sotto: nel suo titolo ri-echeggia tutto il dibattito delle generazioni che separano il 1882 (mio nonno materno aveva 2 anni) dai dubbi e dalle scoperte del nostro tempo. Quasi nulla del nostro “sapere scientifico attuale” era noto a Darwin eppure fu capace di intuire la chiave dell’evoluzione umana, l’essere e il rimanere adatti ai continui mutamenti delle condizioni ambientali in cui, per oltre 2.000.000 di anni, siamo stati immersi.
Pensando che, in modi diversi ma convergenti, ho più volte “postato in bottega” alcune mie riflessioni sul tema medesimo [LINK 2], credo opportuno sottoporvi anche questo punto di vista evidenziandone alcuni passaggi che, a mio avviso, rilanciano la riflessione su quello che ho intitolato (nel 2006, come proposta dell’allora circolo Arci “Arcipelago”) «Divenire umani migrando» [LINK 3].
Ogni altro contributo “darwiniano”, dubbioso o convinto sarà gradito. Astenersi: darwinisti e eugenetici di ogni tipo o mutazione razzistica in corso.
“RIFIUTARE DARWIN È DARWINIANO”
di IGNAZIO
(citazione parziale da https://www.facebook.com/HominesScientist/?fref=nf )
L’Origine delle Specie è stato pubblicato il 24 novembre del 1859, ma è stato un cantiere aperto per altri tredici anni. Darwin ci ha lavorato anche post pubblicazione e se provate a leggere la versione del 1872 vi accorgerete che è un libro diverso da quello del ’59. Per i super appassionati è consigliato “Variorum”, un grande volume di tutte le versioni de L’Origine delle Specie, dove troverete, frase per frase, tutte le revisioni e le modifiche apportate dal naturalista britannico.
Una volta Darwin rivelò ad Huxley alcune preoccupazioni sulla sua Teoria evolutiva, e gli disse che era preoccupato del fatto che non sarebbe mai stata accettata, in quanto l’umanità, per buone ragioni adattative, è per natura predisposta al pensiero intuitivo. Questo pensiero intuitivo per Charles Darwin era il nemico numero uno, un vincolo cognitivo profondamente radicato in ognuno di noi. E aveva ragione. Proprio nell’ultima edizione de “L’Origine delle Specie” Darwin parla spesso di questo aspetto. Vi è un capitolo dedicato all’evoluzione dell’occhio (tra l’altro straordinariamente esplicato considerata l’epoca, ed è altrettanto straordinario come “ci abbia azzeccato” per quel che ne sappiamo oggi), dove, a fine spiegazione, sostiene che il lettore sarebbe certamente rimasto scettico e che avrebbe continuato a pensare che l’occhio sarebbe stato un artefatto, aggiungendo perfino che non li avrebbe biasimati, in quanto è naturale che i lettori pensino in quel modo.
Dunque il vero nemico di Darwin è la mente umana, e Darwin stesso lo aveva già capito. Darwin non ha solo un problema con i creazionisti, ma anche con tutti coloro che, pur accettando l’Evoluzione, mettono in discussione la spiegazione darwiniana in quanto inaccettabile per la sua assenza di scopo. É questo il tema centrale del rifiuto verso Darwin. La spiegazione evoluzionistica di Darwin non vi dirà mai che un esito evolutivo era inevitabile, ma vi dirà che era possibile, dunque non necessario. In soldoni la spiegazione evoluzionistica è una spiegazione probabilistica, inoltre la traiettoria complessiva dell’evoluzione è stata fortemente contingente; ciò vuol dire che l’evoluzione avrebbe potuto prendere tutt’altra direzione in molte occasioni. Vi sono anche meccanismi totalmente random (mutazioni, deriva genetica, eventi ambientali, etc). Dunque ripetendo il film della vita tot volte otterrete film diversi per tot volte.
Da ciò si evince che la presenza umana sul pianeta era possibile, ma non era affatto inevitabile. Avremmo potuto benissimo non esserci e per un pelo un sacco di volte abbiamo rischiato di non esserci. Questo è probabilmente il vero piatto indigesto per chi non accetta la teoria evoluzionistica, e non è affatto un discorso circoscritto ai sostenitori dell’Intelligent Design.
Ma perché Darwin aveva ragione? Cosa sappiamo oggi delle sue intuizioni? Da molti articoli di Etologia comparata, Psicologia dello Sviluppo e Neuroscienze si evince che il nostro cervello ha dentro di se una struttura che si compone di eventi neurali che gli scienziati hanno chiamato “precursori naturali”. Detta in soldoni i precursori naturali sono delle tendenze cognitive molto profonde che ci fanno preferire delle spiegazioni rispetto ad altre. Il nostro cervello, fin da giovanissimo, dunque ben prima che abbia influenze culturali ed esperienziali, è estremamente competente nel distinguere entità animate e inanimate. Siamo dei “dualisti intuitivi”, cioè siamo stati abituati, dall’evoluzione, a discriminare e a giudicare, ad esempio, se qualcosa è vivo o non è vivo, perché se è vivo potrebbe essere potenzialmente una minaccia rispetto a qualcosa di inanimato. Inoltre ci spingiamo oltre e siamo stati abituati a dare un’iper-attribuzione di animismo, cioè tendiamo ad attribuire intenzioni o presenze di un agente anche a cose che non lo sono. Abbiamo questa forte capacità di interpretare la realtà in termini animistici o intenzionalistici. Dunque se assistiamo ad un fulmine che si è schiantato per terra e ci ha spaventato e veniamo esposti a due spiegazioni, di cui una intenzionalistica e una razionalistica, noi tendiamo a credere nella spiegazione non razionale. Se la prima spiegazione è quella per cui il fulmine è un monito per cui non ci siamo comportati bene (e quindi c’è dietro un’intenzione) e la seconda spiegazione è quella per cui è una normale scarica elettrica dovuta a tot motivi che per tot motivi si è scagliata nelle tue vicinanze, noi siamo predisposti nel credere intuitivamente alla prima spiegazione.
La nostra mente, per buone ragioni darwiniane (sembra paradossale), ha una forte competenza teleologica, ovvero noi siamo bravissimi a vedere il mondo in chiave intenzionale e finalistica.
Ma perché è adattativa questa capacità? E’ probabile che se tu dai un’iper-attribuzione di intenzionalità magari molte volte ti sbagli, però eviti di sbagliarti nell’altro senso; ovvero se tu vivi in un posto pieno di predatori e vedi un rametto spezzato sul bordo del sentiero hai due spiegazioni alternative fra loro, quella meccanica (ad esempio il rametto è cascato dall’albero e poi gli è caduto addosso qualcosa e si è spezzato) e quella intenzionale (il rametto è stato spezzato dal passaggio di un grosso predatore e nascosto nei cespugli a lato del sentiero c’è un feroce felino appostato per attaccarti). Se scegli la prima opzione sei probabilmente uno scienziato, razionalista e probabilmente hai ragione, perché nel 99% dei casi è proprio così, ma se ti capita che si presenta proprio quell’1% di casi in cui ad aspettarti acquattato c’è un grosso felino, allora tu, scienziato e razionalista, sei molto bravo e ragionevole, ma sei un uomo morto (e per inciso i tuoi geni da scienziato e razionalista non si tramandano alla discendenza, quindi sfatiamo la convinzione per cui a tramandarsi siano i geni che col senno di poi riteniamo “migliori”. Non è così, sopravvivono i geni che meglio si sono adattati all’ambiente). Quindi ti conviene iper-attribuire intenzionalità, perché al massimo fai uno sforzo cognitivo in più e resti vivo.
É chiaro che più in avanti, nella storia dell’uomo, questi vincoli cognitivi profondi sono stati cooptati per produrre sistemi di credenze. In fondo cos’è la superstizione? Nient’altro che vedere una serie di correlazioni dando delle iper-attribuzioni. Ad esempio una volta ti è andata male qualcosa e ciò lo colleghi al fatto che il giorno prima sei passato sotto una scala. Oppure prima di un esame magari uno studente tocca ferro, in fondo cosa ci costa toccare ferro? Assolutamente nulla. Magari si è anche consci del fatto che non c’è nessuna correlazione oggettiva tra il toccare ferro e l’andamento del proprio esame, ma non si sa mai… in fondo non costa nulla. Così come nulla costa pensare che dietro a un ramo spezzato c’è un grosso felino e nell’1% dei casi potrebbe salvarti la vita. L’iper-attribuzione vince sempre.
É chiaro che ad un certo punto della storia questi vincoli cognitivi profondi vengono adottati dall’evoluzione culturale umana, una evoluzione sociale che si muove attraverso le comunità e i piccoli gruppi. Dunque questi sistemi di credenze si sono trasformati in un collante sociale potentissimo, sono diventati, dunque, uno strumento che rafforzava il gruppo stesso per coesione e cooperazione. Ed è in questa maniera che abbiamo un gruppo più capace di vincere la competizione con altri gruppi. La “Teoria della Selezione Culturale di Gruppo” è molto citata e sta avendo molti riscontri in campo scientifico. Il meccanismo di coesione religioso è quello di immaginare, attraverso l’iper-attribuzione di intenzionalità e il conseguente sistema di credenze, l’esistenza di un’entità che ti controlla anche se tu non la vedi. Un grande Dio che ti osserva costantemente e da cui non puoi nasconderti, dunque devi comportarti bene con i membri del tuo gruppo. A questo punto si sviluppano dinamiche competitive tra gruppi e non per questo i sistemi religiosi più efficaci e potenti sono proprio quelli che accentuano sempre di più questa suggestione della sorveglianza: i grandi monoteismi.
Ora: fortunatamente la natura è ambivalente, da sempre. Noi, ad esempio non siamo né buoni e né cattivi, ma siamo esattamente entrambe le cose. Dunque il fatto che siamo nati con questi vincoli non vuol dire che debbano per forza governarci, nient’affatto. Il nostro cervello è un organo incredibilmente plastico ed è proprio per questo che molti di noi non credono in un Dio antropomorfo o semplicemente che un ombrello aperto dentro un luogo chiuso porti sfortuna. Del resto non saremmo nemmeno qui a spiegarlo.
- http://www.treccani.it/enciclopedia/charles-robert-darwin/
- https://www.labottegadelbarbieri.org/la-democrazia-dei-creduloni/ +
https://www.labottegadelbarbieri.org/la-democrazia-dei-creduloni/ +
https://www.labottegadelbarbieri.org/nati-per-credere-e-per/ - http://www.ilcondominionews.it/?p=13701
Almeno due punti importanti sui quali non concordo: il primo sull’origine della superstizione e conseguentemente delle religioni; se ha un senso l’esempio del ramo spezzato non è comunque possibile alcun parallelo con il passare sotto una scala o il gatto nero che ti attraversa la strada. E sarebbe in ogni caso un discorso semplicistico. Se la nostra specie è riuscita in un qualche modo a distanziarsi dal mondo in cui vive, a oggettivarlo, questo comporta non solo vantaggi (abbiamo più potere su di esso) ma anche un prezzo da pagare. Abbiamo bisogno di sistemi, invenzioni che proteggano quel piccolo grado di libertà che, forse, abbiamo acquisito. Il mondo magico o religioso, che dir si voglia, sono stati indispensabili, e in una certa misura lo sono ancora, per garantire il nostro stesso esserci nel mondo. Una garanzia che non si può mai dare per scontata. La battaglia illuminista, razionalista della modernità è anch’essa una battaglia fideistica, un atto di fede. Il secondo è sulla ‘natura ambivalente da sempre’ che farebbe sì che non si sia né cattivi né buoni ma entrambe le cose. Al di là che per la ‘natura’ bene e male non hanno significato, dal nostro punto di vista, specificamente culturale (che per non incorrere in equivoci di sorta considero sempre un prodotto naturale, noi non siamo altro che un esperimento molto sofisticato della natura) distinguere ciò che è bene da ciò che è male non è mai deciso una volta per tutte e soprattutto è qualcosa che deve necessariamente passare al vaglio della nostra evoluzione come specie. Evoluzione da intendere non come progresso, conquista etica che tende alla solidarietà per il vantaggio cooperativo; perché questo lo fanno, in un qualche modo, anche gli altri animali. Ma piuttosto perché la nostra specie sta sperimentando qualcosa di assai diverso, più difficile: provare a sfruttare una nuova capacità che per altri esseri sarebbe improduttiva se non fatale; mentre per noi potrebbe rivelarsi come l’unica chance di sopravvivenza. Sto parlando di quella cosa che ha vari nomi come: amore, empatia, caritas, compassione, ecc. Philip K. Dick in un suo romanzo spiega che se un ragno provasse empatia per l’insetto intrappolato nella sua ragnatela, morirebbe di fame. Noi, per l’infinita serie di casi che ci hanno portato a questo stadio evolutivo, al contrario potremmo trarre vantaggio, forse, solo seguendo fino in fondo questa ‘strana’ caratteristica antiselettiva apparentemente non naturale, ma prodotta, in ultima istanza, sempre dalla natura stessa. È infine una scommessa postumana. E come ebbe a dire Nietzsche: “L’uomo è qualcosa che deve essere superato” perché è un ‘ponte’ non uno scopo. Una ‘transizione’ verso l’altro.