Riflessioni prima e dopo Siena
due interventi di Rosangela Pesenti
L’IMPREVISTO DELLA STORIA SIAMO NOI
Che cosa ci muove, più di mille donne, su una chiamata che non ha ancora un programma e delle mete precise?
Certamente la fiducia, che accordiamo a donne che hanno scelto di usare la propria visibilità, la posizione di piccolo o grande potere già raggiunta, a favore di tutte.
Certamente la speranza, di riuscire ad andare oltre le parole e trovare le azioni per mettere sul tappeto della politica un cambiamento radicale, con un passo per volta, ma radicale.
Certamente la determinazione, perché molte di noi hanno cominciato tanti anni fa e sappiamo che continueremo la nostra lotta, nonviolenta, quotidiana, rivoluzionaria.
Certamente la tenerezza, per le ragazze e i ragazzi che cominciano adesso e noi sappiamo già che ci saranno momenti di scoraggiamento, ma proprio per loro testimoniamo che si può fare.
Certamente la saggezza perché sappiamo che fare rete tra donne migliora comunque la vita, di tutte e tutti.
Certamente la memoria, di tante donne, di tante lotte, di tante storie cercate scoperte ascoltate, di tanti eventi costruiti, e voglio ricordare l’ultimo, per me straordinario, il decennale di Punto G a Genova.
Vorrei che a Siena potessimo dire insieme alcune cose:
1. Che l’economia della riproduzione è quella che tiene in piedi il mondo.
La riproduzione biologica: crescere bambini e bambine; metterli al mondo, accudirli, educarli;
la riproduzione domestica: tutto il lavoro di pulizia e manutenzione della casa e, a partire dalle case, di tutti i luoghi fino all’intera città e territorio. Sono lavori non riducibili, mai interamente meccanizzabili, totalmente indispensabili per vivere;
la riproduzione sociale: sanità, scuola, pubblica amministrazione che significa anche assistenza, trasporti, comunicazione, gestione della vita collettiva.
Non a caso tutti questi lavori sono mortificati, mal pagati, addirittura cancellati dalla concezione “forte” del lavoro perché sono svolti per la maggior parte dalle donne.
Rimandiamole a casa, ci dicono, così lavorano lo stesso, ma sono fuori dall’ambito della considerazione economica.
Tutta questa economia non dà profitto, ma qualcosa di molto più importante: il benessere.
L’altra economia, quella che costruisce il profitto appropriandosi del lavoro umano, quella che gioca al massacro sulle risorse dell’ambiente e della specie, quella che stabilisce il valore delle merci non sull’utilità, ma sulla misura del profitto, oggi vuole presentare i conti del suo disastro proprio al mondo del lavoro, tutto.
I personaggi che hanno giocato con la finanza devastando le economie locali oggi vogliono di nuovo l’economia della riproduzione sottomessa gratuitamente alla logica della speculazione e il lavoro umano subalterno alle fantasie feudali di pochi.
Vorrei che insieme potessimo dire: noi donne non ci stiamo e con noi alzassero la voce anche gli uomini che vogliono cambiare strada.
2. Vorrei che tutte le donne che sostengono il patriarcato, che l’hanno sostenuto negandone l’esistenza o perché pensano che la gerarchia sociale, la cooptazione invece della democrazia, il privilegio invece del diritto, siano cose buone e giuste perché salvaguardano la loro vita e quella dei loro figli, le donne che sostengono il patriarcato non solo privatamente, dentro le famiglie, ma nei luoghi pubblici, nei luoghi dove si dovrebbe presidiare la democrazia, vorrei che queste donne facessero un passo indietro.
Non chiedo a nessuna di rinnegare la propria storia, ma semplicemente di non contribuire a sbarrare la strada a un’altra storia.
Non basta essere donne. C’è una donna al ministero per l’istruzione e se avesse bisogno di aiuto le sarei vicina come a qualsiasi altra, ma oggi io la considero venduta al patriarcato, lei è una donna che lavora contro di me, contro la mia intera storia, se lei fosse stata in quel posto quando io ero piccola oggi non sarei qui perché sarei stata tra quelli che non hanno merito.
Conquistare dignità e giustizia per noi significa restituire visibilità anche alle donne che sono state qui prima di noi: ci sono eredità da raccogliere, nomi e volti a cui restituire memoria e ci sono eredità da rifiutare.
Non ci sono eredità innocenti che noi possiamo prendere e usare per la nostra vita senza sapere da chi ci vengono, quali donne soprattutto, quali uomini anche, dove e quando hanno conquistato per noi i benefici di cui godiamo. E chi, dove quando e perché, li ha cancellati o riservati a pochi.
3. Voglio pari diritti e opportunità per tutte le donne, la democrazia paritaria in ogni luogo, l’accesso a tutte le carriere, e per questo è urgente la clausola di non sopraffazione tra i sessi. Ma non tutte le donne possono rappresentarmi, non qualsiasi donna solo perché dichiarata tale all’anagrafe. E non è la carriera di una donna che garantisce anche per me, oggi, se non si accompagna al diritto, di fatto, per tutte e alla garanzia delle procedure democratiche.
Non è una meta vicina, ma voglio almeno vedere la strada.
Se la diversità è ricchezza voglio che abbia rappresentanza tutta quella differenza che non trova nemmeno rappresentazione. Le donne confinate nei lavori più duri e mal pagati: domestiche e operaie, badanti e inservienti, le insegnanti che resistono con il lavoro volontario all’abbrutimento della scuola, le operatrici ospedaliere che resistono al peggioramento del servizio sanitario, le impiegate degli sportelli pubblici mortificate dal nuovo modello aziendalista e tutte quelle che non posso nominare qui, ma che per me sono visibili, sempre.
Voglio le donne competenti, certo, ma anche quelle che hanno saputo dire di no a certe carriere, alle cooptazioni compiacenti, alle complicità sorridenti, che hanno esercitato la competenza per conservare la propria dignità anche nella solitudine, nell’emarginazione senza perdere mai la relazione con le altre donne.
Vorrei che questa nostra lunga storia, quella di chi è stata cancellata, ma ha continuato a vivere, praticando forme di resistenza, le mille forme di resistenza che creativamente immettono nella vita ciò che la politica in Italia ha ferocemente cancellato, fossero finalmente rappresentate.
Sono disponibile al dialogo, com’è stato per tutta la mia vita, ma non sono disposta a tacere se vedo la mistificazione, se ascolto belle parole che contraddicono scelte e pratiche di vita politica. Non sono disposta a tacere perché non ho niente da perdere. Quello che io ho già perso l’abbiamo perso in moltissime e sul piano della dignità è stato sottratto a tutte.
Non posso avere dignità se ci sono donne accanto a me che non hanno nessun diritto.
Molte di noi sanno usare le parole, le ho imparate anch’io, per questo ne conosco il potere deformante, la capacità di manipolazione della realtà, per questo il femminismo è stato prima di tutto un pensiero situato, un pensiero che nasce lì dov’è il mio corpo e lo rende visibile con tutta la sua storia.
Ricordiamoci che le donne non tornano mai a casa, è una menzogna che ha deformato la storia, non sono mai tornate a casa le partigiane e nemmeno noi, generazione del femminismo, la verità è che ci hanno cancellate, ci hanno oscurate, derise, disprezzate, considerate reperti archeologici, ma noi siamo qui, accanto alle donne che si affacciano oggi alla vita e, come noi abbiamo fatto tanti anni fa, si chiedono dove sono le donne che hanno lottato perché il mondo fosse più accogliente anche per loro.
Noi siamo qui perché non ce ne siamo mai andate e possiamo costruire un altro pezzo di strada insieme.
4. Ho già lottato per la parità, ora si tratta di affermarla, ma non basta essere donne per volere un mondo migliore di questo. Io voglio di più, voglio la giustizia, quella che abbiamo chiamato pari opportunità e che deve cominciare con la nascita.
Questo non è un paese per donne perché è un paese per pochi uomini e per le poche donne che ricavano privilegi dal sostenerli.
Tutti gli altri, uomini e donne che li guardano come rappresentanti anche dei loro interessi, sono vittime di un sogno, un brutto sogno venduto dalla disinformazione e dalla rete di piccole grandi complicità che hanno sottratto a questo paese il valore della dignità.
Vorrei da ognuna di noi un gesto, visibile lì dove la sua storia l’ha collocata, che dia un segnale chiaro e inequivocabile della scelta di un libero patto che oggi insieme possiamo cominciare a costruire.
So che è un cammino ancora lungo, ma vorrei prendessimo fiato e questo pezzo potremmo farlo di corsa.
La storia non è un percorso piano e lineare, vorrei che noi oggi segnassimo l’imprevisto.
INCLUSIONE
Inclusione. Di tutte le parole dette nella due giorni di Siena (bellissimo appassionante appuntamento, generosamente organizzato) questa è certamente la più condivisibile eppure la più ambigua, per come è stata affermata e ripresa, dopo che qualcuna, poche oltre a Lidia Menapace, ha nominato alcuni contenuti come l’antifascismo, il patriarcato, il capitalismo, sui quali è quanto meno necessario aprire il dibattito.
Per includere almeno quella memoria storica che dobbiamo alle donne venute prima di noi e per onorare il diritto delle generazioni più giovani a sapere, come chiedono.
Inclusione, come se qualcuna volesse escludere qualcuna.
Curioso che la questione sia posta proprio a favore di chi sta in uno schieramento politico che condivide l’affermazione della gerarchia sociale e ha inventato il pessimo neologismo della meritocrazia per rilegittimarla.
Curioso che sia posta a favore di donne che svolgono libere professioni, hanno fatto carriera, sono in parlamento.
Hanno scoperto che essere donna significa poter subire discriminazioni a tutti i livelli?
Questo lo sappiamo da sempre e lo affermavamo anche negli anni ’80, quando si cercò di cancellare il femminismo perché, mi si diceva, il patriarcato era morto e noi, che ancora vedevamo sfruttamento esclusione emarginazione cancellazione delle donne, eravamo vetero, lo affermavamo anche negli anni ’90 quando, proprio le donne della destra, presentandosi sulla scena politica, riproponevano il modello dell’emancipazione imitativa (siamo brave come e più degli uomini perché abbiamo anche fascino e virtù femminili) diventando egemoni anche nella cultura delle donne di “sinistra”, lo dicevamo nel nuovo secolo a Punto G di Genova (e di nuovo oggi dopo dieci anni) perché il nostro sguardo è attento alle donne della porta accanto come a quelle che abitano la curva del mondo che sta ben oltre il nostro orizzonte.
Curioso che si parli di inclusione per donne che hanno a disposizione la visibilità dei media e che, anche a Siena, hanno avuto la possibilità di parlare dal palco.
Non c’era tempo per tutte, è vero, ma a me dispiace che non abbia parlato dal palco, ad esempio, Patrizia De Vico, una sconosciuta si è definita, che abbiamo ascoltato in quattro mentre registrava il suo messaggio web e ci ha commosse, ci ha fatto sentire che ce la possiamo fare perché veniamo da lontano, perché sappiamo riconoscerci tra sconosciute e soprattutto possiamo essere migliori di come la vita ci costringe ad essere.
L’inclusione vorrei che fosse anche per donne come lei.
Perché la mia domanda è: inclusione per chi, inclusione dove? Inclusione per fare cosa?
Nel movimento c’è posto per tutte, e ormai perfino tutti, da molto molto tempo, e le lotte, siccome sono concrete, ridisegnano ogni volta i confini della partecipazione.
Spesso siamo state poche e invisibili, ma non per questo le nostre ragioni erano irragionevoli.
Quale inclusione perciò?
Inclusione nel diritto allo studio che non è mai stato raggiunto per tutte e tutti in Italia (dati ISTAT) e oggi viene cancellato?
Inclusione nel diritto alla salute che non c’è mai stato per i lavoratori e le lavoratrici delle produzioni più dure, dei servizi considerati più umilianti e meno retribuiti ai quali oggi viene aumentato l’orario di lavoro in cambio di salari più bassi e precarietà?
Inclusione dei disabili appena inclusi nella scuola e già a rischio di espulsione?
Inclusione dentro redditi dignitosi, dentro case e quartieri che non siano orrende caserme degradate, dentro la possibilità di avere casa, ma anche la quieta bellezza dell’armonia con l’ambiente?
Inclusione delle oneste e onesti che pagano le tasse?
Inclusione nell’indignazione verso i grandi evasori fiscali, i politici corrotti e corruttori, la zona grigia (tanto per restare a Primo Levi) di chi non vuole vedere?
Inclusione nei movimenti di chi, conti alla mano e lungimiranza per il futuro, manifesta contro la devastazione del territorio, come le donne e gli uomini di No Tav, Dal Molin, L’Aquila, per citare solo gli ultimi?
Inclusione di quelle e quelli che stanno sopra e sotto i tetti e le gru, dei/delle migranti rinchiusi nei CIE,
Inclusione nei lavori faticosi, difficili, precari, magari tra il personale carcerario che gestisce l’insopportabile sovraffollamento delle carceri?
Inclusione di quelle e quelli che non hanno accesso all’informazione eppure continuano tenacemente a usare la propria parola, intelligenza, sorriso per proporre il proprio punto di vista?
Noi, che ieri eravamo a Siena, siamo tutte già incluse, nella cittadinanza (vergognosamente ancora fondata sul diritto di sangue) e quindi nell’esercizio di diritti che sono, di fatto, privilegi, se commisurati con i dati relativi alla condizione delle donne, in Italia e non solo.
Lo voglio dire con categorie che qualcuno trova demodé: sono contenta che le donne della borghesia (piccola, media, grande, tutte quelle che vogliono) dopo aver fruito della sacrosanta emancipazione che le ha portate nella scuola, nel lavoro, nelle carriere, alla pari con i fratelli, oggi vogliano la parità nel governo di tutta la società.
Voglio solo ricordare che se loro hanno messo le parole per la lotta, perché per prime hanno avuto accesso alla scrittura e ai luoghi prestigiosi della cultura e delle professioni, le grandi conquiste legislative non ci sarebbero state senza la moltitudine anonima delle donne, delle lavoratrici male o per nulla retribuite, protagoniste a testa alta della propria vita, che hanno fatto movimento diffuso nelle piazze e dentro le case, producendo la più grande e pacifica rivoluzione che la storia ricordi.
Una rivoluzione che è solo cominciata perché oggi da quello spiraglio aperto del diritto allo studio sono entrate anche le figlie delle serve, delle operaie, delle lavandaie, stiratrici, balie, sarte, mondariso, delle donne sfruttate e non pagate sotto la copertura sociale del casalingato.
All’inizio poche, della mia generazione in quantità irrisoria, poi sempre di più e sempre più brave, competenti, capaci di parola.
Per questo (e l’ho già scritto) le politiche neoliberiste dei governi degli ultimi vent’anni hanno attaccato per prima cosa il diritto allo studio, insieme alle leggi a favore della libera scelta della maternità (applicazione della Legge 194, Legge 40, dimissioni in bianco, servizi per l’infanzia e via dicendo).
Solo attaccando la condizione delle donne e dell’infanzia si attacca efficacemente la democrazia alla radice.
Hanno lottato per la repubblica democratica le donne della Resistenza e prima ancora le donne che si sono opposte al fascismo e prima ancora le femministe dell’inizio ‘900 (e potremmo ritrovare, andando all’indietro così, tutta un’alta storia).
Abbiamo lottato e non siamo mai tornate a casa, non lo faranno certamente le donne che hanno cominciato adesso a prendere in mano la propria vita.
In questo movimento c’è posto per tutte e tutti. Quale posto però dovremo discuterlo insieme così come le mete. “Noi” è una straordinaria parola politica che va conquistata nella concretezza del confronto e nella chiarezza dei patti, con i quali possiamo definire mete condivise senza cancellare differenze, ma imparando a gestirle per quel bene comune che si chiama prima di tutto democrazia.
A Siena ci siamo accordate sulle prime tappe, insomma, come diciamo sempre, abbiamo solo cominciato a dare nome alle cose che vogliamo.
Adesso si tratta di pensare al come andiamo avanti, tutte insieme, ma una strada non vale l’altra, i mezzi e modi dicono tutto sui fini.