Riflessioni sul 25 aprile (1945-2018)
di Franco Astengo
Norberto Bobbio, molti anni fa, affermava che la celebrazione della Resistenza rappresentava una sorta di esame di coscienza laico sul presente e il momento della consapevolezza della grande distanza tra gli ideali partigiani e l’Italia contemporanea.
Questa affermazione può rappresentare la linea –guida da mantenere per ricordare quei fatti della tragedia che il popolo italiano ha vissuto più di settant’anni fa.
A patto però che per guardare all’attualità e per traguardare il futuro non si dimentichi la memoria.
Abbiamo vissuto mesi nel corso dei quali ripetutamente la memoria della Resistenza è stata offesa da rigurgiti neo – fascisti comparsi da un passato cui non possiamo permettere di ritornare.
E’ il momento di rispondere con grande solennità assumendoci tutti assieme un impegno inderogabile.
C’è di più in questa post -modernità: il fascismo vive tra noi, nei comportamenti quotidiani dell’egoismo, dell’individualismo, della ricerca della sopraffazione degli altri, nell’inganno quotidiano della politica ridotta a pura lotta per il potere, alla guerra che dilania interi popoli e rischia, ancora una volta, di incendiare il mondo.
Ricordare oggi il 25 Aprile, il giorno più importante della storia repubblicana, significa prima di tutto compiere un dovere civico e morale di altissimo valore, significa stare dalla parte di chi considera la storia patrimonio insuperabile delle radici di un popolo, significa combattere per la verità e per la difesa dei principi di fondo della nostra convivenza civile e politica.
Viviamo un clima culturale, assistiamo all’emergere di silenzi, zone d’ombra, vuoti, a pentitismi rivolti magari in altre direzioni, ma che sostanzialmente coinvolgono la memoria di quello che è stato l’avvenimento fondamentale nella storia d’Italia.
L’ANPI si è, nel recente passato, coerentemente schierata contro l’idea di deformare la Costituzione, alterare l’equilibrio tra i diritti e i doveri dei cittadini, restringere l’esercizio delle libertà democratiche.
Quell’impegno va rivendicato e deve rappresentare l’agenda quotidiana per tutti quelli che intendono impegnarsi per difendere e affermare la nostra convivenza civile.
Allora bisogna ricordare, è necessario avere il coraggio di ricordare senza cedere alle mode corrente del revisionismo: alla liberazione dell’Italia dalla dittatura si poté arrivare grazie al sacrificio di tanti giovani, ragazzi e ragazze che, pur appartenendo a un ampio schieramento politico (c’erano i cattolici, i socialisti, gli azionisti, i militari monarchici, i comunisti. Ma si chiamavano con un solo nome: I Partigiani).
Questi ragazzi combatterono fianco a fianco, con unità d’intenti e d’azione, con un grande traguardo comune: il riscatto dell’Italia invasa e un diverso avvenire, fatto di giustizia e di eguaglianza
La storia dell’Italia Repubblicana sta scritta per intero su quel monumento che Piero Calamandrei definì “Ora e Sempre Resistenza”.
Sandro Pertini parlò della Resistenza come di un “Secondo Risorgimento, i cui protagonisti, questa volta, furono le masse popolari”.
Per favore nel ricordare questi passaggi determinanti per la nostra democrazia non si ceda all’idea che si tratti semplicemente di retorica.
Si tratta, invece, di ricordare e ricostruire i momenti determinanti della vita della nostra Nazione e dell’Europa nel momento della sconfitta del nazismo, Nazismo che è stata l’espressione più evidente della ferocia della “banalità del male”. Nazismo del quale il fascismo fu corresponsabile, pienamente corresponsabile e non semplicemente complice.
Non c’è nessuna ritualità, nessun adempimento di un ormai stanco cerimoniale nel ricordare la storia della Resistenza ed esiste uno stretto legame fra il 25 aprile e la battaglia che oggi deve essere condotta contro le diseguaglianze, le sopraffazioni, i fenomeni di sfruttamento, la disgregazione sociale che caratterizzano drammaticamente l’attualità.
Così come esiste una stretta connessione tra il 25 aprile e la ricerca della pace: un tema oggi assolutamente centrale in una situazione che vede, in diverse parti del mondo, pericoli concreti di ripresa bellica.
Parlando della Resistenza oggi non intendiamo certo approfondire la ricostruzione storiografica di quei fatti, ma semplicemente sfatare quella teoria revisionista che, negli ultimi anni, va molto di moda nell’indicare la Resistenza come semplice “Guerra Civile”.
Quelle ragazze e quei ragazzi di sessantacinque anni fa che si erano dati l’appellativo di Partigiani si accinsero, da subito, dal 26 Aprile a ricostruire il proprio Paese.
Genova, soltanto per fare un esempio, fu liberata dal popolo: l’orgoglioso Juncker Prussiano; Meinhold depose la propria spada davanti all’operaio Remo Scappini e subito la Città riprese a funzionare in tutte le sue attività.
Quando gli alleati, tra il 27 e il 28 Aprile, risalendo la riviera di Levante arrivarono a Nervi scoprirono, con loro grande stupore, che funzionava già perfino il servizio tranviario.
Eppure pensate ai bombardamenti, alle deportazioni, alle stragi che avevano colpito la nostra terra in quegli anni: ma la volontà di riprendere a vivere era stata troppo forte.
Con la Liberazione dell’intero territorio nazionale dall’invasore nazista e dai mercenari della RSI quelle ragazze e quei ragazzi si accinsero a concorrere alla costruzione della nuova Italia, carichi di tanto impegno, dedizione, speranza.
Guardiamo agli anni che ci separano da quei giorni di lotta e di speranza.
Ci sono state contraddizioni, difficoltà, pagine brutte e belle ma per alcuni decenni possiamo dire che si è trattato di anni d’impegno per la coesistenza pacifica, per il dialogo internazionale, per la ricerca dell’unità europea oltre che di attività solidale verso i movimenti di liberazione nazionale in Africa, Asia, America, Europa.
Sono stati difesi e diffusi gli ideali antifascisti e democratici.
Sono stati anni di forte impegno contro ogni tentativo di sopraffazione mascherata da tentativi golpisti, da azioni terroriste e stragiste, da iniziative finalizzate a colpire e restringere ruolo e funzioni delle istituzioni nate dalla Resistenza e dalla Carta Costituzionale.
Sono stati anni impegnati nella difesa delle culture nazionali nel segno della solidarietà internazionale, contro ogni forma di discriminazione e per l’affermazione dei diritti dell’uomo e di uno sviluppo economico , sociale e culturale , nel rispetto della Giustizia.
Quelle ragazze e quei ragazzi non seppero soltanto respingere l’invasore e cacciare il tiranno.
Una sapienza politica illuminò la Resistenza: quella stessa sapienza politica che fu posta in opera nello scrivere la Costituzione Repubblicana.
L’insegnamento di fondo, che ci deriva dal ricordare quel momento storico deve guidarci anche oggi per mettere in primo piano, fra tutti, la difesa di quei valori, di quelle idee, di quelle prospettive che furono disegnate per il futuro.
Oggi quell’epoca appare terminata e sembra prevalere l’antipolitica del disegno oscuro della sopraffazione democratica, dell’esaltazione delle diseguaglianze sociali, del ritorno allo sfruttamento indiscriminato delle risorse e del lavoro umano.
C’è chi pensa di ricacciarci definitivamente all’indietro e usa tutte le armi, comprese quelle subdole della denigrazione strisciante, del distacco dalla storia, dell’umiliazione della cultura.
Noi dobbiamo dire : basta!
Basta a una campagna revisionista della storia, con la quale si vuole ridurre la Resistenza a un fatto marginale della guerra di Liberazione del Paese dall’occupazione tedesca e contro le formazioni di Mussolini, schierate in appoggio agli occupanti stranieri.
Siamo alla presenza di un massiccio tentativo demistificante parificazione dei valori, tra chi ha combattuto per la libertà e l’indipendenza nazionale e coloro che si sono posti al servizio dei nazisti, per negare quella libertà.
E’ preoccupante accusare le celebrazioni del 25 aprile di ritualità, di distanza dalla concreta realtà della vita quotidiana.
Si prepara un nuovo tipo di revisionismo, in linea con la scissione tra cultura e politica che appare oggi prevalente nel segno dell’individualismo, dell’egoismo, della riaffermazione di segnali corporativi.
Un nuovo tipo di revisionismo che porta a rappresentare il passato in forma agnostica, quasi come se nel passato tutte le vacche, hegelianamente, fossero nere.
Quando si affrontino tutti i temi politici e sociali del nostro momento storico appare sempre più necessario riferirci ai valori storici che nella Resistenza si espressero.
Non si può sottovalutare il sacrificio di 200.000 donne e uomini combattenti del Corpo Volontari della Libertà e nel nuovo Esercito Italiano schierato con gli alleati.
Non si possono obliare nella memoria collettiva le stragi dei civili, compiute con ferocia dai nazisti e dai fascisti (quanti esempi abbiamo, qui intorno a noi: la Benedicta, il Turchino,Travaso, Mannesi, tanti altri ( ma potremmo passare ore per elencarne soltanto una parte), con il solo intento di sottolineare fatti di sangue successivi al 25 Aprile e creare così un clima di responsabilità comune, nel quale le differenze si sciolgono e si stemperano e diventa, perciò, impossibile distinguere la figura della vittima da quella del carnefice.
Non si può cancellare la memoria del sacrificio dei nostri compagni assassinati perché lottavano per la libertà di tutti.
Occorre ogni giorno rinnovare il ricordo dei giovani massacrati e di quelli deportati nei campi di sterminio e nei lager tedeschi, come accadde a centinaia di migliaia di soldati italiani, sparsi per il mondo e traditi dalla Monarchia e dai Generali: soldati italiani capaci di farsi uccidere, come accadde alla Divisione Acqui a Cefalonia, per riscattare la propria moralità civile, messa in pericolo del folle comportamento degli Alti Comandi, all’8 Settembre.
Deve rimanere forte il ricordo delle donne della Resistenza che, offese, torturate e violentate seppero tacere dinanzi al carnefice.
Risalta ancora vivida davanti a noi l’immagine degli operai che bloccarono la macchina bellica nazista, facendo alle volte olocausto della propria vita: pensiamo allo sciopero del 1 Marzo 1944, ai lavoratori dell’Ansaldo e dell’Ilva che lo organizzarono (*) finiti in massa a Mauthausen, a Gusen a Ebersee.
Questa fu e rimane la Resistenza italiana con i suoi valori, che nessuna alchimia politica di parte potrà mai cancellare.
Al proposito vorremmo ricordare, ancora, un’affermazione di Piero Calamandrei, fatta all’indomani della Liberazione.
In quell’occasione egli disse “Abbiamo ritrovato la Patria”.
Era vero, con la Liberazione e ancor prima nella Resistenza si ritrovò la Patria, quella vera fatta di valori e di popolo, non di vuote formule retoriche, di inutili galloni, di facce impresentabili con dietro il vuoto di memoria, di cultura, di dignità.
L’Italia si ritrovò, dopo il disastro nazifascista, con gli impiccati di Bassano del Grappa, con le vittime innocenti di Boves, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, con la capacità delle umili genti dell’Ossola, di Montefiorino, della Valtrebbia di sapersi governare da sole, dentro quel frangente epocale.
L’Italia fu ritrovata da Salvo D’Acquisto, dai Martiri delle Fosse Ardeatine, dai Sette Fratelli Cervi.
Ricordiamo oggi uno degli episodi più significativi di quegli anni di ferro e di fuoco.
Rispondiamo così agli ispiratori di questa linea di cancellazione della memoria storica, di dilapidazione del patrimonio prezioso della Resistenza.
Concludiamo, tornando sul tema della memoria e dell’insegnamento ai giovani.
La forza dei nostri valori, la purezza e il prestigio delle donne e degli uomini che ancora oggi incarnano la verità di quei giorni drammatici e gloriosi, hanno saputo cementare nel tempo, attorno a noi, tra noi, il vero spirito dell’unità nazionale: quello dell’unità antifascista.
Coloro che condividono questi valori debbono rappresentare la coscienza critica di questa nazione: sapendo che nei decenni trascorsi è stato lasciato un segno indelebile nella coscienza popolare, nei giovani , nelle istituzioni.
E’ proprio pensando al seme dalla Libertà, della Giustizia, della Fratellanza, gettati in quei terribili inverni tra il 1943 e il 1945 che possiamo pensare di riprendere il cammino, sconfiggere chi sta spargendo il veleno del ritorno all’autoritarismo, dell’intolleranza, del razzismo.
Rifiutiamo il ritorno all’indietro, rifiutiamo la tentazione di un passato che non deve mai più affacciarsi sulla scena della storia!
L’antifascismo rimanga il fondamento storico, culturale, politico, dell’Italia repubblicana come si legge nel testo della Costituzione Repubblicana.
(*) cfr Gli scioperi del 1 marzo 1944
SUL 25 APRILE IN CODESTA BOTTEGA – ORGOGLIOSAMENTE ANTIFASCISTA – ABBIAMO PIU’ VOLTE RAGIONATO, OVVIAMENTE CON DIFFERENTI PUNTI DI VISTA. Se avete voglia di cercare molto troverete. A esempio sul 25 aprile del 2013 ci sono 24 post (uno ogni ora). Ma segnalo anche nel 2015 «Sono solo i partigiani a inventare un’altra Italia» (recensione a «La felicità dei partigiani e la nostra: organizzarsi in bande» di Valerio Romitelli) oppure – l’anno scorso – La Resistenza in Italia: una bibliografia minima… di Gualtiero Via e in gennaio Resistenza tradita e lotta di classe, la recensione di Franco Astengo al libro di Giovanni De Luna «La Repubblica inquieta». E non finisce qui: altri materiali sono già stati postati o lo saranno: per esempio oggi alle 18 troverete in “bottega” la seconda parte di una ricerca sui partigiani siciliani (spesso dimenticati). La vignetta in alto è di Vauromentre il dialogo qui sopra è una provocazione di Capo Giuseppe o, se preferite, di Chief Joseph. [db]
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
“in coda” ai partiti di regime e alle istituzioni legittimandole dall’interno come “democratiche”? o fuori con l’antifascismo antimperialista e contro la guerra neocoloniale?
SEGNALO questo post di Franco Astengo, interessante soprattutto per chi insiste sulla retorica patriottarda (e a mio avviso “statalista”). Ma il discorso, è ovvio, non finisce qui. – db
RESISTENZA E RISORGIMENTO
di Franco Astengo
E’ doveroso far notare come la comparazione tra Resistenza e Risorgimento, pur tentata ieri nel corso delle celebrazioni del 25 aprile dallo stesso Presidente della Repubblica, sia questione da maneggiare con cura e grande attenzione.
Essenzialmente essa va valutata sotto questi aspetti che è il caso di ricordare per buona memoria:
1) L’interpretazione gramsciana del Risorgimento che rimane punto di analisi insuperabile: Gramsci ha meditato a lungo sul processo storico che, nel secolo XIX, attraverso un travagliato percorso aveva prodotto lo stato unitario. A suo avviso tale processo era stato diretto fondamentalmente da forze moderate e il cosiddetto Partito d’Azione (cioè il complesso di forze che si richiamavano in parte a Mazzini e a Garibaldi) si era rivelato incapace di svolgere un’opera adeguatamente incisiva e trasformatrice nel contesto politico del tempo. Quella risorgimentale è stata, per usare un’espressione gramsciana, una “rivoluzione mancata”;
2) L’interpretazione fondativa della Resistenza come fatto storico è stata data, invece, da Claudio Pavone, nel 1991 attraverso il suo saggio “Una guerra Civile, saggio storico sulla moralità della Resistenza”. Frutto di anni di riflessioni e di ricerche “Una guerra civile”tocca– basandosi su un’amplissima gamma di fonti – diversi temi di grande rilievo: dal valore fondante della scelta compiuta l’8 settembre al problema della violenza, al rapporto tra politica e morale. Si tratta di una rilettura della storia degli anni 1943-1945 ferma nel sottolineare l’importanza decisiva della lotta di liberazione per la riconquista della dignità nazionale e per una vera rinascita di quella patria di cui era di moda allora quando Pavone scrisse ma anche adesso, nell’incipiente clima del «revisionismo», far risalire la morte all’8 settembre 1943. Ma nel saggio di Pavone si nota altrettanta attenzione a far risaltare differenze e chiaroscuri. Da un lato si distingue fra una «Resistenza in senso forte», la guerra partigiana combattuta soprattutto al Nord da una cospicua minoranza, e una «Resistenza in senso ampio e traslato», che era man mano diventata – anche per chi non vi aveva partecipato o aveva cercato di circoscriverne o manometterne la memoria – l’elemento legittimante del sistema politico repubblicano edulcorandone in parte il significato più profondo. Dall’altro interpreta la Resistenza a un tempo come guerra patriottica, combattuta per liberare il paese dall’occupazione tedesca e sentita in sostanza come nuova «guerra d’indipendenza», guerra civile, tra combattenti partigiani e i fascisti della Repubblica di Salò, e guerra di classe, combattuta, soprattutto dai comunisti al Nord nel nome di una radicale trasformazione sociale.
3) Proprio sulla base dell’analisi di Pavone è necessario ancora sottolineare un altro punto di fondamentale differenza con la fase risorgimentale. La Resistenza si sviluppò in forme diverse da una parte all’altra del Paese a causa della complessità degli eventi bellici che accaddero nella penisola nel corso del biennio 1943 – 45 ma è stato soprattutto al Nord, nel triangolo industriale, dove il nesso tra partecipazione popolare e restituzione della dignità nazionale, toccò la sua punta più elevata : quella forma di Resistenza che consentì di sottrarre l’Italia alla sudditanza agli Alleati e di recuperare immediatamente lo sviluppo politico di una democrazia che era stata coartata dal fascismo per oltre 20 anni. Non solo quella democrazia risultò comunque essere di tipo nuovo e non semplice ritorno alla “democrazia dei notabili” come da più parti si era pensato di realizzare. Il fatto decisivo in questo senso, prima ancora della formazione dei grandi partiti di massa che poi rappresentò l’elemento portante della forma di Stato repubblicana almeno per i suoi primi 50 anni, fu rappresentato da come avvenne la Liberazione delle grandi città del triangolo industriale e in particolare di Genova che si verificò in condizioni del tutto originali rispetto al contesto europeo con la resa delle truppe tedesche direttamente alle brigate partigiane.
4) Da lì, principalmente dall’esito della Resistenza in quel contesto sociale e politico dominato dalla presenza della classe operaia delle grandi fabbriche, derivò il processo politico che permise negli anni immediatamente successivi di stabilire, attraverso l’esito del Referendum istituzionale e il lavoro dell’Assemblea Costituente condizioni di agibilità della democrazia affatto diverse da quelle risorgimentali. Pur con contraddizioni, ritardi, vere e proprie battute d’arresto che non possono essere sottaciute, ma comunque verificatesi all’interno di un moto storico di evidente progresso sotto i fondamentali aspetti dello sviluppo economico e dell’uguaglianza sociale.
5) Se si pensa, infine, che tra il Risorgimento e la Resistenza intercorrono fatti storici di grandissima portata come l’aver trascinato l’Italia nella follia di due guerre mondiali, un ventennio di dittatura, l’esito grottesco dell’istituto monarchico dopo l’8 settembre, si comprende bene come – appunto – si cercava di sostenere all’inizio, certe comparazioni, soltanto ritualmente patriottiche, vadano ben più attentamente considerate nel loro sviluppo soprattutto sul piano storico.
ASSOCIAZIONE ARTICOLO 53 – SALVATORE SCOCA – MEUCCIO RUINI
FIRENZE – PRESSO CIRCOLO ARCI R.ANDREONI RENDIAMO LA PAROLA AI VERI COSTITUENTI L’IDEOLOGIA COMUNE SCRITTA NELLA COSTITUZIONE CHE POTRA’ SALVARE L’ITALIA!!
9-10-SETTEMBRE 1946
1a sottocommissione dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere e proporre,all’Assemblea Costituente, i diritti sociali che la Repubblica doveva/deve garantire in modo effettivo e strutturale.
Dopo vivaci e brillanti discussioni sulla presenza di una ideologia nella Costituzione, venne trovato l’accordo di alto profilo etico e morale, su una ideologia comune che possiamo ritrovare in queste parole dei Costituenti.
ODG presentato dal COSTITUENTE On.le Giuseppe Dossetti
“Venendo alla sostanza, cioè all’ideologia comune pongo questa domanda: si vuole o non si vuole affermare un principio antifascista che non sia riconoscimento della tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo Stato, ma affermi ” l’anteriorità della persona, che si completa nella comunità, nella famiglia, nelle associazioni sindacali, di fronte allo stato”?
Se così è, ecco che si viene a dare alla Costituzione una impostazione ideologica, ma di una ideologia comune a tutti.
Tale concetto deve essere stabilito non per una necessità ideologica, ma per una ragione giuridica.
Ora i giuristi hanno bisogno di sapere, e questo vale particolarmente quando si tratta di uno Statuto che codifica principi supremi, generalissimi, proprio per quella più stretta interpretazione giuridica delle norme, qual’è l’impostazione logica che sottostà alla norma”.
ALTRO COSTITUENTE (Palmiro Togliatti)
E’ assurdo si pensasse che debba scomparire la persona umana. Potremmo dissentire nel definire la personalità umana; però possiamo indicare come il fine di un regime democratico sia quello di garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana.
Poiché si discute tra persone in buona fede, credo che un accordo sia possibile, e che non sia necessario il richiamo diretto nella Costituzione alle ideologie da cui deriva una determinata posizione,che oggi può essere formulata nella Costituzione. E’ possibile però dare oggi una giustificazione della lotta che si conduce per instaurare la democrazia nel Paese.
Poiché si parte da una esperienza politica comune, anche se non da una comune esperienza ideologica, questo, a mio avviso, dovrebbe offrire un terreno di intesa
“.Ritengo indispensabile creare una Costituzione accessibile a tutti, una Costituzione che possa essere compresa dal professore di diritto ed in pari tempo dal pastore sardo, dall’operaio, dall’impiegato d’ordine, dalla donna di casa.”
La 1a sottocommissione riconosce “l’anteriorità della persona umana rispetto
allo stato e questi al servizio di quella”
E’ votato dai rappresentanti di tutti i partiti e con il voto contrario di quelli dell’ Uomo Qualunque e dei Monarchici.
Con questo accordo iniziò la discussione, su quali diritti sociali collettivi scrivere nella Costituzione e come lo stato doveva garantirli, e prescritti per il legislatore ordinario a venire.
ALTRO COSTITUENTE ( Francesco De Vita) “Finora abbiamo parlato troppo di diritti e poco di doveri. Dobbiamo mettere in equilibrio% diritti e doveri. E’ stato giustamente detto che il diritto senza dovere fa il padrone,che il dovere senza diritto fa il servo. Equilibrando i diritti e i doveri si fa l’uomo veramente libero. In questo equilibrio è tutto un uomo nuovo, e raggiungerlo è la grande missione di questo secolo”. Nel mese di maggio del 1947 venne dato forma alla Costituzione economica. Cioè venne deciso all’unanimità come la Repubblica doveva garantire in modo strutturale i diritti sociali.
La questione venne posta, in seduta plenaria, l’8 maggio del 1947 dall’On.le Francesco Saverio Nitti:” tutte le promosse fatte al cittadino per il diritto al lavoro,all’istruzione,alla sanità,alla previdenza, alla sicurezza, ad un reddito dignitoso per se e per e la sua famiglia anche nel caso di disoccupazione involontaria, e per tutti gli altri previsti in questa prima parte di Costituzione, non potranno mai essere garantiti nelle condizioni economiche in cui ci troviamo”. La risposta arrivò, sempre in seduta plenaria, il 23 maggio 1947 con l’approvazione dell’articolo aggiuntivo concordato con tutti i partiti, che sarà poi il 53 .
IL COSTITUENTE ON.le SCOCA SALVATORE E RELATORE ILLUSTRA i 2 COMMI DELL’ARTICOLO AGGIUNTIVO CONCORDATO AL MATTINO CON TUTTI I PARTITI
1° comma ” tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva”.
2° comma “ Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Anche nel nuovo sistema tributario la persona umana venne messa al centro con la sua vita economica e sociale che è fatta di ricavi e spese. Venne deciso da tutti i partiti :
“ Onorevoli colleghi, l’aspetto finanziario tocca e toccherà sempre di più tutti noi ed in misura sempre più notevole.
Il nostro sistema tributario è informato al criterio della proporzionalità, ma considerando che più dei tributi diretti danno i tributi indiretti sui consumi e questi attuano, non la progressività e neppure la proporzionalità, ma una regressività, tali tributi producono una grave ingiustizia sociale che colpisce in modo grave le classi meno abbienti e deve essere eliminata con una radicale e meditata riforma tributaria.
Quindi la regola della progressiività deve essere effettivamente operante.
Si può discutere sulla misura della progressione non sul principio.
Prima che il cittadino debba essere chiamato a destinare una quota della sua ricchezza allo stato per soddisfare i suoi bisogni, DEVE soddisfare i bisogni suoi che la vita quotidiana richiede e quelli dei suoi famigliari. Sono questi carichi economici che caratterizzano quella capacità contributiva che l’articolo concordato mette a base dell’imposizione. Così potremo accertare redditi e capacità contributive effettive e dare progressività al sistema tributario nel suo complesso.”%
Attuando la Costituzione nel suo articolo 53 avremo le risorse economiche per finanziare i diritti sociali collettivi per eliminare le disuguaglianze sociali ed impedire il riformarsi dei movimenti o partiti fascisti!