Rimpatri: la Tunisia è un “paese sicuro” ?
Come reazione alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre scorso – che ha bocciato il rimpatrio per gli immigrati trasferiti in Albania – il consiglio dei ministri ha partorito un decreto che rende fonte primaria l’elenco dei “Paesi sicuri” per il rimpatrio, per i quali si prevede quindi che le richieste di asilo avanzate dai loro cittadini vengono analizzate attraverso una procedura accelerata, mentre il richiedente asilo si trova in uno stato di detenzione. Anche nei nuovi centri costruiti in Albania.
Nell’elenco del decreto c’è anche la Tunisia. Ma può considerarsi un paese sicuro?
La Corte Penale Internazionale chiamata a indagare su crimini contro l’umanità in Tunisia
di Nicoletta Alessio (*)
Alla vigilia delle elezioni presidenziali in Tunisia del 6 ottobre 2024, la situazione dei diritti umani nel paese si aggrava sempre di più. Le autorità tunisine continuano a reprimere gli oppositori politici e a commettere violenze sistematiche contro la popolazione nera e migrante sul territorio, alimentando un crescente clima di terrore e repressione. La richiesta d’intervento alla Corte Penale Internazionale (CPI), già formulata il 5 ottobre 2023, oggi si fa ancora più urgente.
In un anno si sono moltiplicate le testimonianze dirette e prove raccolte sul campo che evidenziano la gravità delle violazioni in atto. Martedì 24 settembre i familiari di detenutə tunisinə e rappresentantə per la difesa dei diritti umani e delle persone migranti hanno indetto una conferenza stampa per riportare alcune di queste testimonianze e richiamare la CPI ad agire nei confronti del regime tunisino, accusato di crimini contro l’umanità.
La situazione dei migranti espulsi nel deserto, torturati e lasciati senza acqua né cibo ai confini del paese è drammatica. Le autorità locali impediscono anche l’intervento di ONG internazionali come Medici Senza Frontiere e nemmeno l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha libertà di azione. Le persone sono abbandonate in balia delle violenze, ferite e malate senza possibilità di accedere alle cure necessarie. Le persone nere e migranti sono costrette a nascondersi per paura di violenze e rastrellamenti; ogni gesto di solidarietà va compiuto clandestinamente e soggetto ad aggressioni e arresti arbitrari.
In Tunisia, l’oppressione politica è dilagante: Kaïs Saïed, determinato a consolidare il suo potere, ha escluso quasi tutti i candidati alle elezioni, rendendo impossibile qualsiasi forma di competizione democratica. Sono decine lə giovani incarceratə anche solo per un post sui social media. Continui gli attacchi anche sul piano legislativo, con l’approvazione di norme che riducono ulteriormente l’indipendenza della magistratura.
Le testimonianze riportate durante la conferenza stampa raccontano storie di sopravvivenza al limite: persone espulse nel deserto, senza alcun supporto, lasciate a morire di fame e sete. Queste testimonianze, accompagnate da prove audio e video, sono state consegnate alla CPI a sostegno della richiesta di avviare un’indagine formale.
«Comprendiamo perfettamente che in questo momento la Corte Penale Internazionale abbia un’agenda piena, data la situazione in altre parti del mondo, ma [vista la situazione in Tunisia], non sarebbe giusto che la CPI ignori [questo caso] sulla base del fatto che ha troppo altro lavoro da fare». – Rodney Dixon, rappresentante legale delle famiglie dellə detenutə politicə.
Kais Saied usa la popolazione migrante come capro espiatorio, diffondendo odio e teorie cospirazioniste per deresponsabilizzarsi dei problemi della nazione e per esercitare pressione nei confronti delle potenze europee. Usa le persone migranti come pedine per ottenere fondi esteri e consolidare il proprio potere e l’Italia e l’Europa stanno contribuendo a costruire una seconda Libia.
David Yambio, Co-founder of Refugees in Libya : «Come in Libia, migliaia di persone in Tunisia vengono abbandonate al confine. La Tunisia lascia lì queste persone che subiscono torture in entrambi i paesi. Non si può sostenere di risolvere il problema dei migranti che arrivano nel paese abbandonandoli nel deserto e allo stesso tempo di rispettare i diritti umani».
La Tunisia è già parte delle indagini che la CPI sta portando avanti in Libia. La richiesta è che non ne sia solo parte, ma che le indagini vengano estese a tutto il territorio Tunisino.
Il regime tunisino è l’ennesima rappresentazione di come la criminalizzazione e la brutalità a danno della popolazione migrante è strettamente collegata al degrado democratico, all’affermarsi progressivo dell’autoritarismo e di un modello economico basato sulla dominazione e sullo sfruttamento. Di come la violenza e la repressione sulle persone migranti è laboratorio di sperimentazione di dispositivi di controllo e oppressione su tuttə. Una dinamica che, sebbene con le sue specificità territoriali, investe anche molti paesi Europei, Italia compresa.
La comunità internazionale è chiamata a intervenire con urgenza. La CPI deve esprimersi su questi crimini e avviare un’indagine completa. Kaïs Saïed non può continuare ad agire queste violenze in un clima di totale indifferenza e impunità. è necessaria una dichiarazione forte e la minaccia di sanzioni concrete per arginare l’ondata di violenze contro la popolazione migrante e qualsiasi forma di solidarietà e dissenso politico sul territorio.
Il messaggio è chiaro: la Tunisia non può continuare su questa strada e il silenzio della comunità internazionale è assordante. La Corte Penale Internazionale non può più tacere e le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Saïed devono finire. Le prove sono schiaccianti e non possono essere ignorate.
(*) Tratto da Meltingpot Europa
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