Ritorno alla Diaz
di Gianluca Ricciato
Qualche giorno fa la scuola Diaz di Genova, teatro del noto massacro delle forze dell’ordine ai danni di manifestanti inermi durante il summit G8 del 2001, ha ospitato per la prima volta un incontro pubblico riguardante quei fatti. (*) Esattamente 15 anni dopo, nella palestra dell’edificio genovese, hanno preso la parola i rappresentanti di Amnesty International e dell’Osservatorio sulla Repressione, i genitori di Carlo Giuliani, alcune delle vittime di quella nottata e l’autore del libro «Happy Diaz». Proprio nei giorni in cui la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo condanna l’Italia per le torture alla Diaz. Proprio nei giorni in cui il Senato italiano, con perfetto tempismo, affossa il disegno di legge sul reato di tortura
Lorenzo Guadagnucci, giornalista inviato nel 2001 a Genova per «Il resto del Carlino», prende il microfono per iniziare il suo intervento e subito si volta verso l’angolo destro alle sue spalle, si ferma un attimo a guardarlo e poi dice: “ero esattamente qui, accanto al quadro svedese. Dopo essere stato picchiato, sono stato costretto insieme agli altri ad arrivare da qui a lì e mettermi seduto con le spalle al muro”. Indica il muro opposto, a 7-8 metri di distanza. “Ora mi rendo conto che sono pochi metri, ma in quel momento non riuscivo nemmeno ad alzarmi, ho dovuto farli strisciando. Mi sembrò un tragitto interminabile.”
Non è l’unica vittima di quelle terribili ore presente oggi, 21 luglio 2016, nella palestra della Diaz. C’è anche Mark Covell, giornalista anche lui, inviato di Indymedia UK, il cui intervento è una breve e lucida accusa del sistema politico italiano che reprime con una violenza al di fuori di ogni regola democratica e fa di tutto per coprire chi la usa. Ma finisce poi, con la voce rotta da un’emozione lunga quindici anni, dicendo che “siamo stati torturati per il loro divertimento, non perché coprivamo informazioni importanti” e ringraziando le persone presenti per essere ancora qui oggi, dopo tanti anni.
“Sembravano un gruppo di cinghiali sotto anfetamina, disse una delle vittime” c’è scritto in «Happy Diaz», il libro di Massimo Palma uscito qualche mese fa. É Massimo in realtà che introduce la serata, dopo le presentazioni di Paolo Bensi di Amnesty e dei genitori di Carlo Giuliani.
«Happy Diaz» è un libro sorprendente che racconta di una generazione, la sua e quella di Carlo (la nostra), intrappolata in quei fatti e che forse non è stata del tutto capace di rovesciarli, di reagire, “una generazione che è stata ammazzata di botte” e che il libro racconta attraverso la sua formazione musicale, le canzoni della rivolta britannica della generazione che ci ha preceduto e di cui siamo musicalmente imbevuti/e, i Joy Division, gli Smiths e tanti altri. L’intervento di Massimo è interrotto dall’ascolto delle canzoni a cui si riferisce, la prima su tutte, Love Will Tear Us Apart dei Joy Division, una lama di coltello nei nostri cuori mentre la sentiamo rimbombare oggi su questi muri allora ricoperti di sangue.
“Cosa ha fatto la nostra generazione per il lutto subito? Perché ci siamo fermati di fronte a questo lutto? La maggioranza di noi è rimasta silenziosa, ferita fino a bloccarsi. È una trappola quella di considerare Genova solo durante questi giorni. Non è solo la storia di una sommossa dello Stato contro i cittadini, ma è la storia di una repressione quotidiana.”
Eppure non è del tutto vero che ci siamo fermati/e. In questi quindici anni di cose sono state fatte e, soprattutto, le giornate di Genova ci hanno definitivamente fatto capire che tipo di maschera indossa chi oggi parla di democrazia da un ruolo istituzionale. Ci ha fatto capire il senso delle parole del genovese De Andrè, quando cantava che non possiamo continuare ad essere “così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. Almeno fin quando i poteri avranno la forma del capitalismo transnazionale che ci ha portato alla guerra infinita, all’economia criminale e alla devastazione della vita. Quei giorni ci hanno fatto capire l’aggancio del capitalismo alle pratiche naziste.
“20 luglio, Via Tolemaide, l’attacco durante il tratto autorizzato di manifestazione e la conseguente trappola in un quadrilatero chiuso dalle forze dell’ordine, nel Quartiere Foce. Centinaia di persone assediate senza senso, massacrate, che cercano rifugio dove possono, nei giardini delle case, ma non possono scappare da quel quadrilatero infernale. Ma subito dopo la reazione, l’istinto di sopravvivenza, le barricate con i cassonetti della spazzatura, perfino l’euforia. La resistenza giusta, la foto di Carlo in via Tolemaide poco prima di morire e poco dopo aver deciso di non andare al mare. La sua città, Genova, che vive nella rivolta. Migliaia di persone intrappolate che passano alla resistenza attiva contro il muro di forze militari. La gestione scellerata della piazza e la resistenza legittima, come riconobbe anche il Tribunale”. Questo fu lo scenario in cui fu ammazzato Carlo, se non bastassero tutte le altre evidenze documentarie a rendere quantomeno dubbia (per usare un eufemismo, per non dire oscena) l’archiviazione per legittima difesa del suo omicidio.
“Del resto”, ricorda poco dopo Emanuela Massa di Amnesty Liguria, “proprio nel quindicesimo anniversario del G8 di Genova, il nostro Senato sospende l’analisi del testo sul reato di tortura e Alfano arriva a dire che il reato di tortura potrebbe danneggiare le forze dell’ordine. Ma le forze dell’ordine sono un elemento fondamentale dello Stato proprio perché il loro operato deve essere trasparente, e sulla tortura lo Stato italiano è inadempiente da 27 anni. Massimo Nucera, il poliziotto che finse di essere stato accoltellato durante le operazioni alla Diaz, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi, prescritti. La settimana scorsa la polizia lo ha sospeso per un giorno (!), vuol dire che il suo tradimento nei confronti dello Stato e dei cittadini italiani equivale a una sanzione di 48 euro”.
Anche questa è un’ennesima tragicomica coincidenza di questi giorni. Ma forse non sono proprio coincidenze. Forse i casi di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, e per arrivare a oggi, della studentessa condannata per una tesi di laurea sul Movimento No Tav, degli attivisti friulani indagati per aver accompagnato dei profughi alla sede della Caritas, ci dicono che la repressione del dissenso ha ormai una connotazione strutturale, specialmente quando l’incubo terrorismo e gli stati di emergenza ne giustificano le pratiche.
Ma Italo Di Sabato, dell’Osservatorio sulla Repressione, dice no alla “depressione dei movimenti fermi sui temi della repressione”, perché è quello che vuole chi reprime. Cucchi e gli altri non sono casi isolati ma istituzionalizzati, è questo il livello di discorso su cui dobbiamo stare, che non si può giustificare con gli stati di emergenza. La frase ‘cultura della legalità’ in questo paese è diventata un luogo comune per attaccare i deboli. Quando invece i veri motivi della repressione sono proprio le istanze che i movimenti portano, sull’ambiente, sui diritti umani, sul lavoro”.
L’ultimo intervento, molto atteso, è quello di Arnaldo Cestaro. Oggi ha 77 anni, ne aveva 62 quando fu torturato alla Diaz subendo fratture alla tibia, all’avambraccio e alle costole, fu operato due volte e nonostante tutto oggi è qui, pieno di energia e di buon umore, per testimoniare che ha lottato tutta la vita perché fosse applicata la Costituzione, per invocare nonostante tutto “la mia polizia! il mio Stato!” che devono difendere i cittadini. Oggi può finalmente dire che ha vinto questa battaglia: la Corte europea dei diritti umani ha accettato il ricorso presentato dai suoi avvocati e ha condannato l’Italia per aver esercitato la tortura su di lui e su tutte le altre vittime della Diaz. “Dopo la sentenza mi sono ritrovato i giornalisti davanti casa. Uno di loro mi ha detto: ma lo sa che avrà 45000 euro di risarcimento? Gli ho urlato che non sono niente i soldi di fronte ai diritti calpestati, che nessuna cifra può risarcire la violenza subita”. Lo urla anche qui e lo scandisce, incazzato e indignato, e nella sua voce potente c’è il ribrezzo nei confronti di tutta una parte maggioritaria di informazione italiana, che in questi quindici anni si è rivelata meschina e infame come chi ha rivolto una domanda del genere ad un anziano cittadino torturato da uno Stato violento che si finge ancora democratico. Le parole di Arnaldo e la sua forza, insieme a quelle di Heidi e di Giuliano, sono il motivo che devono farci pensare che il nuovo mondo possibile è solo all’inizio e parte da qui.
(*) La serata alla Diaz è stato uno degli incontri del programma di iniziative “15 anni dal G8. Dal 15 al 24 luglio 2016” organizzate dal Comitato Piazza Carlo Giuliani.
www.piazzacarlogiuliani.it
www.osservatoriorepressione.info
www.amnesty.it
lorenzoguadagnucci.wordpress.com
www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-palma/happy-diaz/9788862318457
LE FOTO SONO DI GIANLUCA RICCIATO; invece il disegno in apertura, scelto da me, è di VINCENZO APICELLA. [db]