Roba loro: vilipendio, ridicolo, guerre
«Accuse contro gli antimilitaristi sardi» ma anche Carrara, Venezia, le manifestazioni del 12 marzo e il decreto del 15 novembre 2015.
Leggo oggi sul quotidiano «il manifesto» un bell’articolo di Costantino Cossu dove si racconta di tre attivisti antimilitaristi perquisiti di notte dai Carabinieri:ì i quali sequestrano computer, manifesti, volantini, magliette con slogan contro le basi militari. I tre vengono portati in caserma, interrogati. Uno di loro è accusato per «vilipendio della repubblica e delle forze armate» (ridicolo) e per «rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio» (ancora più ridicolo: vedi sotto il comunicato del «Comitato sardo Gettiamo le basi»).
Mentre il governo italiano si appresta all’ennesima guerra in Libia bisogna cercare di tappare la bocca a chiunque dissente.
Sempre su «il manifesto» di oggi Alessandro Dal Lago ricorda che è del 15 novembre 2015 un decreto con cui si pongono «i corpi speciali delle forze armate sotto il comando dell’Aise (servizi di sicurezza esterni) cioè di Renzi» ovvero «una carta in bianca al governo per qualsiasi guerra presente o futura». Lo sapevate?
A questo siamo arrivati
E perché sia chiaro che il “vil” concetto di vilipendio è un elastico lungo 100 anni sull’ultimo numero di «A rivista anarchica» si legge (pagina 56) che a Carrara il 4 novembre scorso «la nostra compagna Soledad ha intonato “O Gorizia”, il canto antimilitarista nato proprio nelle trincee della prima guerra mondiale. E’ stata fermata subito e trattenuta». Però non è finita lì. Per protesta – racconta l’Archivio Germinal di Carrara – si è organizzata una giornata di canti antimilitaristi in 4 piazze della città: pigliatevi in saccoccia i vostri vilipendi e le intimidazioni.
In questo clima martedì 8 marzo ci saranno contestazioni – cioè manifestazioni non autorizzate – a Venezia per l’incontro Renzi-Hollande. Vedi il link (di Radio Onda d’Urto): VENEZIA: MARTEDI 8 MARZO MOBILITAZIONE IN OCCASIONE DEL VERTICE ITALIA – FRANCIA
Per il 12 marzo sono previste manifestazioni in tutta Italia, vedi qui: 12 marzo: l’Italia ripudia la guerra. Speriamo che sia solo l’inizio di un ciclo di lotte contro i mercanti d’armi e gli assassini. Siamo in tempo: dobbiamo/possiamo fermarli.
E per concludere sul tragicomico ecco il comunicato del «COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI» che rivela quanto siano “segreti” i segreti e quanto scemi quelli che ci credono.
RIVELAZIONE SEGRETI MILITARI, ACCUSA AI TRE GIOVANI: ANCHE CAPITANERIE ED ENAV DIFFONDONO STESSI “SEGRETI”. OSCURIAMO LORO SITI?
Sollecitiamo Procura della Repubblica e forze dell’ordine a oscurare e a sequestrare i siti delle Capitanerie di porto, le NOTAM, Notice to airmen dell’Ente aviazione civile, gli “Avvisi ai naviganti”, per violazione di segreti militari, gli stessi che avrebbero diffuso i tre giovani indagati a Cagliari. Da oltre mezzo secolo, infatti, queste fonti pubblicano e per di più diffondono a mezzo stampa, radio e tv il calendario delle esercitazioni militari.
Gli inquirenti non sanno o fingono di non sapere che il calendario addestrativo delle forze armate è pubblico e deve essere portato a conoscenza della popolazione? Quale è l’ipotesi peggiore?
Oltre lo smaccato tentativo di reprimere l’opposizione popolare alla schiavitù militare imposta alla Sardegna, nei fatti di questi giorni legati all’accusa di rivelazione di segreti militari ai tre giovani del circolo cagliaritano, s’intravede un disegno più pericoloso e più subdolo: intimidire, imbavagliare il Comitato misto paritetico Comipa per erodere il diritto, di legge, della Regione Sardegna, quindi del popolo sardo, all’informazione sull’uso che le forze armate fanno della nostra isola. Un diritto inviolabile a tutela della collettività basato sulla trasparenza, prerogativa piuttosto sconosciuta nel mondo con le stellette.
Comitato Gettiamo le Basi, tel: 346 7059885
LE VIGNETTE SONO di MAURO BIANI in alto e di APICELLA sotto.
Venerdì sera si è tenuto un incontro presso l’università di Cagliari, dal titolo: “Libertà costituzionali – Pensiero unico – Criminalizzazione e repressione del dissenso”
Nella locandina si informava della “partecipazione e del contributo al dibattito di gruppi e persone che sono attuale bersaglio politico della repressione”
Non c’è stato il comunicato del Rettore che invitava a far partecipare anche i repressori, per la completezza del dibattito, ma c’è stato nella notte l’intervento dei carabinieri, a carico di“tre giovani antimilitaristi indagati per “rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio” e “vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate”(si legge su Sardiniapost.it)
Due cose, fra le altre, sono state evidenziate nell’incontro, la persecuzione verso chi lotta per la pace e la tranquilla attività di chi produce e vende bombe, in partenza da Elmas, verso paesi che le usano in guerra (la legge lo vieterebbe, se fosse applicata) e il silenzio assordante delle istituzioni, e non solo, verso questi fatti.
Per finire, vorrei segnalare due persone, straniere, per giunta, che vilipendono le forze armate, leggete quello che scrivono:
L’intelligenza militare è una contraddizione in termini – Groucho Marx
Disprezzo dal più profondo del cuore chi può con piacere marciare in rango e formazione dietro una musica; soltanto per errore può aver ricevuto il cervello; un midollo spinale gli basterebbe ampiamente – Albert Einstein
KURDISTAN: LA LOTTA CONTINUA
(Gianni Sartori – 6 marzo 2016)
SCIOPERO DELLA FAME DEI PRIGIONIERI CURDI
I prigionieri curdi del PKK e le prigioniere curde del PAJK (Partito della Liberazione delle Donne del Kurdistan) hanno iniziato uno sciopero della fame nelle prigioni turche dove sono rinchiusi. Lo sciopero si preannuncia a tempo indeterminato e in alternanza, a turno.
Deniz Kaya, parlando a nome del PKK e del PAJK, ha dichiarato che questa protesta dei prigionieri va interpretata come un “avvertimento” al presidente turco Recep Tayyp Erdogan e al governo AKP. Con questo sciopero i prigionieri intendono rivendicare “il riconoscimento dell’autonomia per il popolo curdo e le liberazione di Abdullah Ocalan”.
I prigionieri hanno così voluto portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’attuale politica di annientamento condotta, con una barbarie senza precedenti, dal governo turco contro la popolazione curda.
Deniz Kaya si è rivolto a quanti si considerano “intellettuali, scrittori o giornalisti, ma restano in silenzio sul brutale massacro” chiedendo loro di “rispettare i valori umani” mettendo poi in guardia sul fatto che “la guerra condotta da Erdogan contro i curdi sta portando la Turchia sull’orlo di un baratro”.
E proseguiva: “Noi dobbiamo dire chiaramente che non abbiamo mai ceduto davanti a questi politici corrotti durante 43 anni e che non abbiamo mai abbandonato la lotta. Bruciando la gente ancora viva dentro gli scantinati e appendendo i corpi nudi delle vittime, il governo AKP dimostra apertamente di non rispettare né le leggi di guerra, né l’umanità”.
Appare evidente come Erdogan e i suoi complici abbiano ormai superato il limite della decenza e “un giorno saranno giudicati dal popolo curdo” avverte il comunicato. Nel comunicato si informa che lo sciopero iniziato oggi (6 marzo 2016) proseguirà condotto da gruppi di prigioniere e prigionieri che si alterneranno ogni dieci giorni. Rivolge poi un appello tutte le “orecchie sensibili” affinché denuncino pubblicamente le atrocità commesse dal governo turco e diano sostegno al popolo curdo.
ALTRE PROVE DELLA COMPLICITA’ TURCA CON L’ISIS
“Isis assassino, AKP collaborazionista” gridavano i manifestanti turchi scesi in strada per protestare contro il loro stesso governo, ritenuto complice dello stato islamico, dopo gli attentati del 20 luglio 2015 in cui avevano perso la vita 32 militanti di sinistra. Ora altre prove si sono aggiunte, a conferma di questa collaborazione in chiave anti curda e anti Assad.
In un recente articolo di Martin Chulov (sul “Guardian”) veniva spiegato come tra gli effetti collaterali di un recente raid contro il complesso residenziale di Abu Sayyaf (responsabile finanziario dello stato islamico, ucciso nel raid), vi fossero ulteriori prove che funzionari turchi di alto livello trattano direttamente con dirigenti di Isis (o Isil, o Daesh…). Sayyaf era il responsabile della direzione delle operazioni del gas e del petrolio in Siria per conto di Daesh che guadagna circa 10 milioni di dollari al mese dalla vendita di idrocarburi al mercato nero.
Il sequestro di vari documenti e chiavette (“unità flash”) sembrano confermare in maniera inequivocabile (“in modo chiaro e inequivocabile” si legge nell’ articolo) i collegamenti tra Turchia e Isis. Le prove così ottenute potrebbero secondo l’articolo del Guardian (riportando le dichiarazioni di un “alto funzionario occidentale” che ha potuto accedere ai documenti sequestrati): “avere profonde implicazioni politiche nel rapporto tra noi e Ankara”.
Niente di nuovo. Le buone relazioni tra Ankara e l’Isis (in particolare il vasto contrabbando di armi e di combattenti verso la Siria, sia per provocare la caduta di Bashar Assad che, soprattutto, per combattere i curdi) erano stati denunciati perfino da Joe Biden. Va ricordato quanto dichiarava nel novembre 2015 un ex membro di Isis a Newsweek: “I comandanti di Isis ci avevano detto che non temevano nulla perchè c’era piena cooperazione con i turchi” aggiungendo che “isis vedeva l’esercito turco come un suo alleato specialmente quando si è trattato di attaccare i curdi in Siria”.
E più recentemente, in febbraio, un diplomatico occidentale aveva detto al The Wall Street Journal che: “ la Turchia adesso è intrappolata, ha creato un mostro e non sa come affrontarlo”.
ANCHE TURKMENI E ARABI NEL MIRINO DI DAESH E ANKARA
Mi aveva sinceramente colpito la notizia (risalente ancora al 2014) che i militanti curdi del PKK erano intervenuti per portare in salvo gli abitanti di un villaggio di turkmeni attaccato dall’Isis. Ma come, mi dicevo, non sono stati forse i “turcomanni” (popolazione linguisticamente turcofona) a collaborare in passato con la Turchia contro i curdi (v. l’attacco al campo profughi di Atrush nel 1997)?
Come mai ora vengono attaccati dall’Isis, notoriamente “in batteria” con Ankara? Forse dipendeva dal fatto che quel villaggio aveva, agli occhi dei fascisti di Isis, un grave difetto: gli abitanti sarebbero stati in maggioranza sciiti e quindi “eretici”. Bontà loro, i curdi (che evidentemente non portano rancore) si sono prodigati per proteggerli, così come hanno fatto con cristiani, alawiti e yazidi. Questi ultimi, una popolazione curda, vengono considerati ancora peggio che eretici (“pagani” addirittura) da Isis che si conferma come l’odierna versione islamica della “Santa” Inquisizione.
Un altro villaggio a maggioranza turmena (Tel Abyad) è stato attaccato in questi giorni da Isis, con il sostegno turco. In un comunicato, Xali Redur denuncia che “i gangster di Daesh hanno massacrato 2 turkmeni, 3 curdi e 3 arabi, mentre durante la nostra liberazione di Tel Abyad nessun civile era stato ferito”. E aggiunge il portavoce di YPG: “con il sostegno dello stato turco, Daesh si accinge a massacrare anche turkmeni e arabi della regione”.
CHE FINE HANNO FATTO LE DONNE EZIDE SEQUESTRATE DA DAESH?
Un dramma senza fine quello delle donne curde ezide sequestrate a centinaia nell’agosto del 2014, considerate “bottino di guerra” e violentate dai terroristi di Daesh. Secondo il sindaco di Sinjar (nord Iraq) sarebbero state deportate in altri paesi come l’Afghanistan, il Pakistan, la Libia e la Cecenia. Una notizia confermata dalle dichiarazioni di numerose donne ezide liberate, dopo il pagamento di un riscatto, grazie all’opera di mediatori.
“In questo momento -ha spiegato il sindaco di Sinjar(liberata dalla coalizione curda il 13 novembre 2015) – non sappiamo quanti giovani donne sono state portate al di fuori dell’Iraq e della Siria, ma riteniamo che Daesh ha potuto farle uscire clandestinamente per via terra”.
In precedenza altre donne erano state portate nelle città di Mosul e di Tel Afar, ma al momento si troverebbero in località siriane ritenute “più sicure” per Daesh.
Ha poi aggiunto che “molte donne sequestrate possono ancora utilizzare i loro telefoni portatili, parlano con i loro familiari e chiedono di essere riscattate”. In base ai dati forniti da uffici governativi, delle oltre seimila e duecento persone ezide sequestrate, quasi quattromila sono ancora nelle mani dei rapitori e tra loro circa duemila sono donne e bambine.
Hussein Koro che si occupa delle persone sequestrate per conto del governo regionale del Kurdistan iracheno (KRG) spiega che “abbiamo pagato il riscatto di molte vittime di rapimento” ma non sempre il pagamento garantisce la liberazione delle donne rapite. In altri casi sono state le famiglie a pagare anche se, purtroppo, in molti casi le persone che si erano offerte come intermediari sono risultate dei truffatori.
Xudeda Misto, un anziano membro della comunità yazida di Shingal (a cui Daesh nel 2014 ha rapito la moglie, tre figlie e un figlio) ha raccontato che gli erano stati chiesti 15mila dollari per riavere la figlia maggiore (detenuta in Siria) “ma io ne possedevo soltanto 5mila”.
Secondo le associazioni per i diritti umani, migliaia di donne e ragazze ezide sono state costrette a sposarsi o sono state vendute come schiave sessuali dai terroristi di Daesh. Nel novembre dell’anno scorso, l’ONU ha definito l’attacco alla popolazione ezida come “un possibile genocidio”.
Da parte sua il Parlamento europeo ha riconosciuto Daesh “colpevole di genocidio per aver rapito migliaia di donne curde ezide e ucciso migliaia di uomini, donne e bambini a Shengal”.
Gianni Sartori