Roberta Pinotti, ministra delle guerre

di Luca Cellini (*)

Giuramento sulla Costituzione di Roberta Pinotti (foto di Archivio Pressenza)

 

Il ministero della Guerra in Italia è stato abolito il 4 febbraio 1947, sostituito dal ministero della Difesa, teniamo a sottolineare Difesa: in seguito all’approvazione della nostra Costituzione, la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali è stata ripudiata.

Probabilmente la nostra ministra Pinotti, sopravvissuta del “fu governo Renzi” e attuale rappresentante del governo Gentiloni, deve essersi persa questo importante passaggio della storia del nostro Paese, o per lo meno pare essersene “scordata” in più di un’occasione.
In questi giorni, a margine della sfilata degli Alpini, la ministra ha messo la freccia a destra superando addirittura Matteo Salvini.

Veniamo ai fatti e alle relative dichiarazioni della ministra:

–  14 febbraio 2015: «L’Italia è pronta. Si parla soltanto di ipotesi per ora, ma se dovesse essere chiesto al Paese di mettersi alla testa di una coalizione internazionale per un intervento in Libia, non ci tireremmo indietro». “Pronti a guidare la coalizione. Almeno 5.000 uomini” dichiarava a gran voce la ministra Pinotti, in un’intervista al Messaggero, per poi continuare in tono marziale: «Ragioni storiche individuano nell’Italia la nazione col ruolo di protagonista per le aspettative dei libici».

Non se ne abbia a male la ministra, se le ricordiamo che le “ragioni storiche” che più ci hanno legato alla Libia vedevano l’occupazione militare della stessa da parte dell’esercito italiano fascista durante il “ventennio”.

Invece, egregia ministra, non riusciamo bene a interpretare cosa intendesse per “aspettative dei libici”, visto che il governo ufficiale libico non ha mai chiesto l’intervento diretto di alcuno Stato occidentale. Ricordiamo bene inoltre che l’Italia all’epoca era gregaria della coalizione occidentale guidata da Francia, Usa e Regno Unito. Coalizione che già nel 2011 fece disastrosi danni, appoggiando i cosiddetti “ribelli libici” (come li chiamavano allora i nostri organi di stampa ufficiali, gridando alle rivoluzioni della primavera araba). Peccato che subito dopo l’uccisione di Gheddafi, i ribelli si siano trasformati in combattenti mercenari del sedicente Stato jihadista del Daesh, detto anche ISIS o Califfato. Peccato pure che a seguito dell’intervento occidentale per soddisfare le allora “aspettative dei libici” si siano creati “danni collaterali” come una sanguinosa guerra civile che si protrae da più di 6 anni e che adesso proprio dalla Libia senza più nessun controllo partano migliaia di poveri disperati, spesso destinati a morire affogati nell’indifferenza generale. Dispiace anche ricordare che sempre in Libia proprio a causa della guerra civile, ci sono vaste zone del Paese in mano a gruppi armati criminali, aree nelle quali insistono delle strutture chiamate connection house o “ghetti” nella loro lingua, edifici dove vengono portate ragazzine minorenni, schiave e vittime della tratta, che in quei luoghi subiscono ogni tipo di violenza e abuso, una specie di iniziazione, prima di essere avviate poi al fiorente mercato della prostituzione in Europa.

2 aprile 2016: in un servizio televisivo la ministra Pinotti dichiara: «Non esiste alcun problema di uranio impoverito tra i nostri militari». Il giorno dopo alla sua dichiarazione assistevamo alla morte di Gennaro Giordano, 331a vittima, deceduto per un tumore fulminante, ennesimo militare italiano morto tra atroci sofferenze, proprio per via dell’esposizione all’uranio impoverito.

4 ottobre 2016: la ministra Roberta Pinotti va in visita ufficiale dai “reali” sauditi, proprio nei giorni dei massicci bombardamenti dell’Arabia a danno della popolazione civile dello Yemen. Una visita presso uno degli Stati più retrogradi e maschilisti che la storia dell’umanità contemporanea ricordi, uno Stato dove i diritti umani sono un optional, la pena di morte uno standard, un Paese in cui le donne sono riconosciute in qualità di mammiferi, in cui vigono la lapidazione e la flagellazione pubblica degli oppositori politici. La Pinotti all’epoca, in veste di ministra e prima ancora di “donna”, andò in pellegrinaggio presso la corte del re, per promuovere bombe e armi Made in Italy, nonostante la legge italiana vieti di vendere armi a Paesi “in stato di conflitto armato” e in pieno contrasto con le direttive Onu, incurante persino di una risoluzione del Parlamento europeo che invitava i Paesi membri a interrompere immediatamente la vendita di armi ai sauditi. Invece niente, la nostra ministra era lì a Riad, proprio per incontrare il monarca assoluto arabo Salman, fargli persino la riverenza e pregarlo di comprare i nostri armamenti, diciamo così per meglio massacrare il popolo yemenita. Rientrata subito alla base dalla missione Roberta Pinotti, si attivò sottoponendo al parere del Parlamento l’ennesima lista della spesa per nuovi armamenti: carri armati ed elicotteri da guerra, i micidiali “AW-129 Mangusta” con una versione per l’estero che è stata acquistata dal nostro “amico” il presidente turco Recep Tayyip Erdogan… mezzi adesso in dotazione all’esercito turco che li stanno utilizzando per bombardare con più efficacia gli insediamenti della popolazione curda.

1 marzo 2017:  la ministra Pinotti dichiara candidamente il proprio sogno: «La nascita di un Pentagono italiano» ossia un’unica struttura per i vertici di tutte le forze armate, una copia in miniatura di quello statunitense. Sempre in quella occasione la ministra dichiarò che il “sogno” stava per diventare realtà. «La nuova struttura» annunciò in un’intervista al quotidiano Repubblica «è già in fase progettuale ed è previsto un primo stanziamento nel budget della Legge di stabilità».

Tutto questo costa circa 23 miliardi di euro, pari all’1,8% del PIL. L’Italia ad oggi spende per la difesa in media 63 milioni di euro al giorno, a cui si devono aggiungere anche le spese per le missioni militari e i principali armamenti, iscritte nei budget di altri ministeri. Ma ciò non basta, come espresse all’epoca la Pinotti: «L’Italia dovrà presto essere in grado di portare la spesa per la difesa al 2% del PIL come richiede la Nato».

9 aprile 2017: proprio nei giorni dell’attacco americano in Siria con 59 missili, “gentile omaggio” del neo-insediato presidente Trump, la tensione alle stelle tra Russia e Usa, l’invio di navi nella penisola nordcoreana, in un crescendo che di giorno in giorno fa salire la paura di un conflitto su larga scala, la nostra “affezionatissima” ministra della Difesa Pinotti, in occasione del varo in Fincantieri di Castellammare di Stabia del troncone di prua dell’unità di supporto logistico LSS (Logistic Support Schio) Vulcano, unità commissionata a Fincantieri nell’ambito del piano di rinnovamento della flotta della Marina Militare, per non essere da meno dichiara trionfale: «È un momento di grande orgoglio, abbiamo superato momenti di grande difficoltà e ora guardiamo al futuro con occhi diversi […] Amplieremo la flotta, il momento lo richiede […] con l’esigenza di rinnovare le navi della flotta della Marina Militare. Abbiamo deciso di farlo in modo intensivo, poiché lo scenario internazionale lo prevede». In altri termini si va verso uno stato di guerra e noi ci buttiamo dentro a capofitto, ovviamente in barba all’articolo 11 della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

14 maggio 2017: apprendiamo a margine della sfilata degli Alpini che la ministra, col mento alto e lo sguardo fiero, come si addice a tutti i comandanti in arme e capo in pectore, sorpassa a destra persino Salvini e dichiara: «La riproposizione di una qualche forma di leva obbligatoria declinata in termini di utilizzo dei giovani in ambiti di sicurezza sociale non è un dibattito obsoleto», ovvero ripristino della chiamata, la finalità poi si vedrà.

Sì perché per la precisione, cara ministra Pinotti – dobbiamo ricordarglielo – è stata solo sospesa la chiamata al servizio militare non la leva obbligatoria, che secondo la legge 226 del 23 agosto 2004, in vigore dal 1 gennaio 2005 non è mai stata abolita.

A questo punto aspettiamo qualche altra altisonante dichiarazione ad effetto, magari in tenuta marziale, giusto per la parata militare del prossimo 2 giugno. Vorremmo rammentare alla ministra che prima ancora che dell’esercito è la festa della nostra Repubblica, sicuramente non la celebrazione delle armi e della guerra.

Faccia pure le sue dovute considerazioni “l’egregia” ministra e non ce ne voglia, se fra queste ricordiamo che – in quanto rappresentante più alto del dicastero della Difesa – è stata investita della sua carica giurando sulla nostra Costituzione, che ripudia fermamente la guerra;  e che ricopre il ruolo di ministra per servire i suoi concittadini e non, ci sia passata la provocazione, per dare ordini ai suoi “umili sudditi” e soprattutto per rendere un servizio al nostro Paese non alla lobby delle armi, né alle banche armate, tanto meno ai Signori della guerra o a coloro che grazie alla guerra stanno capitalizzando investimenti e profitti, sempre sulla pelle degli altri.

(*) ripreso dall’agenzia «Pressenza» del 14 maggio con il titolo «La Ministra della “Guerra”, chiama alle “armi”»

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