Rohtko

susanna sinigaglia

Rohtko

di

Anka Herbut

regia

Łukasz Twarkowski

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Complesso e originale questo lavoro del regista polacco presentato nell’ambito della rassegna “Presente indicativo” del Piccolo Teatro.

Un misterioso rider un po’ attempato esce dalla porta di un non meglio precisato edificio basso, un capannone in lamiera sembrerebbe. E dopo aver percorso una traiettoria a gomito, si dirige verso il pubblico. Allora ci si rende conto che è un’immagine a video… poi il piccolo edificio sul fondo si apre allo sguardo rivelando la scritta che campeggia sopra la porta, RESTAURANT, e il suo interno composto da vari locali, due sale per gli avventori – seduti o in piedi – e le cucine con una coppia donna/uomo di cuochi cinesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’uso sapiente della macchina da presa manovrata dai due operatori presenti sul palco, che proiettano le immagini dal vivo moltiplicandole su piccoli o grandi schermi per inquadrare particolari della scena altrimenti trascurati dallo spettatore, conferisce al tutto spessore e un marchio inconfondibile quanto inedito.

A onor del vero e benché in modo molto diverso, avevo già visto una tecnica paragonabile nelle performance di Agrupación Señor Serrano, dove la macchina da presa inquadrava modelli in miniatura dei protagonisti proiettati poi in tempo reale su grande schermo, accoppiati in scena da oggetti e personaggi reali o presi a prestito da vecchi film con effetti esilaranti.

Qui però l’effetto è completamente diverso. Il contesto è reso inquietante dalla vicenda intorno alla quale si snoda il lavoro: l’improvvisa scoperta che un quadro, da molti anni ritenuto un Rothko e venduto per 8 milioni e mezzo di dollari, era invece un falso. Non perché imitasse un vero Rothko, ma perché era stato attribuito all’artista in quanto ne presentava le caratteristiche. Il titolo dello spettacolo, con l’h spostata come se si trattasse di un refuso dovuto a una svista, è eloquente.

Nel bar ristorante si trova l’uomo ingannato dalla gallerista, peraltro ignara del falso, che gli aveva venduto il quadro e che cerca disperatamente di raggiungere al telefono. Vi vediamo inoltre tutta una serie di personaggi senza scrupoli, figure metaforiche del mercato dell’arte: dei giovani, falsi commercianti di quadri; il gallerista che cerca di sfruttare gli artisti; il direttore di museo che, selezionando a suo piacimento le opere, ne determina il valore e la quotazione; l’esperto che illustra il concetto di NFT – Non Fungible Token – copia unica dell’opera in .jpg (!?) dal valore ignoto e probabilmente soggetto alle variazioni d’umore del mercato; e ci rendiamo conto, con un certo stupore straniante, che l’esperto è il rider visto all’inizio uscire solitario dalla porta del bar-ristorante cinese. Con un ardito sfasamento dei piani temporali, vi vediamo anche Rothko con la moglie; il loro ormai infelice rapporto sarà forse uno dei fattori che spingerà l’artista al suicidio nel febbraio 1970.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infine nel bar-ristorante delle meraviglie si trova un attore di scarso successo, afflitto perché avrebbe voluto interpretare Rothko nello spettacolo, e invece lì incontra l’amore che lo fa rinascere.

Le scene sono caratterizzate da un’intensa illuminazione rossa, uno dei colori privilegiati da Rothko, e da cambi di scena girevoli accompagnati da note musicali assordanti, come a gridare al pubblico l’“udite udite” di antica memoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le atmosfere del bar-ristorante rievocano i quadri di Edward Hopper, quegli interni con gli avventori appoggiati al bancone, o anche i fumosi locali affollati degli impressionisti.

Negli scambi fra i personaggi si fa sempre più chiara la distorsione di vero e falso in una vertigine che va a confondere tutto, dove il solo fatto reale – perché storicamente comprovato – è il suicidio di Rothko.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla fine del primo atto assistiamo a un improvviso e sorprendente tripudio liberatorio fra tutti i personaggi che al di là del vero e del falso ballano e si abbracciano l’un l’altro, tanto da convincermi che fosse quella la fine dello spettacolo.

E invece ci aspettava un secondo tempo. Vi vengono ripresi rilanciandoli i temi portanti, dove i dialoghi si fanno più insidiosi e si precisa meglio la problematica, i suoi risvolti anche drammatici; e dove la crisi coniugale fra Rothko e la moglie rappresenta la faccia tragica della medaglia di quell’apparente superficialità dei rapporti fra le persone presenti al bar-ristorante, fra sorrisi a denti stretti e sguardi sfuggenti. Parrebbe che la storia finisca felicemente solo per l’attore fallito che incontra l’amore…

Questa seconda parte tuttavia, mi è parsa meno interessante quando inclina al registro didascalico. Per esempio, nel dialogo fra Rothko e la moglie si esplicitano troppo i motivi della loro crisi in qualche modo banalizzandoli;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

o in un altro dialogo, fra uno dei commercianti e una giovane donna, si scorge troppo palesemente l’intento fraudolento di lui che perciò non trae in inganno la giovane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avrei preferito che il lavoro finisse col primo tempo, lasciando i non detti e l’indefinito ad aleggiare sospesi: poiché il teatro vive nell’immediatezza del suo farsi, senza spiegazioni.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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