Rotta balcanica: «respingimenti illegali» a catena fra…
… Italia, Slovenia, Croazia e Bosnia
di Lillo Montalto Monella (*)
Migranti alla stazione di Trieste soccorsi dai volontari dell’associazione Linea d’Ombra – foto di Francesco Cibati
L’Italia ammette di riportare migranti in Slovenia in maniera informale. Lo fa scrivendolo nero su bianco. Si tratta di una procedura illegale, secondo gli esperti di diritto, e innesca una catena di trasferimenti che si snoda fino in Bosnia ed Erzegovina, passando dalla Croazia.
Nessuna prova scritta, nessuna traccia, nessun documento pubblicamente consultabile. Migranti trovati in stazione a Trieste che salgono su un furgone, svaniscono come fantasmi e riappaiono in Bosnia, fuori dalla UE. In mezzo, le brutalità già ampiamente documentate da parte della polizia croata.
Asgi, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, li chiama senza mezzi termini: respingimenti illegali. Dall’altra parte del confine, in Slovenia, gli avvocati concordano.
Il Viminale, in risposta ad un’interpellanza dell’on. Magi, le definisce invece “procedure informali di riammissione” e dice che sì, sono perfettamente legali.
“Non comportano la redazione di un provvedimento formale”, vengono fatte “per prassi consolidata” sulla scorta di un accordo di riammissione Italia-Slovenia siglato nel 1996, otto anni prima dell’entrata nella UE di Lubiana. Ma soprattutto, possono essere applicate “anche qualora sia manifestata [da parte dei migranti] l’intenzione di richiedere protezione internazionale”, si legge nella risposta all’interrogazione parlamentare.
Ma su questo punto la Commissione Europea è chiara, e dice a Euronews che gli Stati membri non possono trasferire richiedenti asilo ad un altro Stato confinante solo perché provengono da lì.
Storia di Ahmed: dalla stazione di Trieste fino in Bosnia in 24 ore
Il 20 luglio scorso, Ahmed*, pakistano, viene trovato dalla polizia di Trieste nel piazzale davanti la stazione assieme ad altri due gruppi di migranti. Hanno lasciato la Bosnia ed Erzegovina qualche giorno prima, tentando il cosiddetto “Game”. Alle ore 12, Ahmed viene avvistato da tre agenti.
Trasferito con gli altri in una tenda, gli vengono prese le impronte digitali e parla con un mediatore culturale. Gli viene garantita la possibilità di ottenere asilo in Italia. Alle 17 viene trasferito in un van e consegnato alle autorità slovene. Passa la notte in una stazione di polizia, gli viene dato del cibo, gli vengono prese di nuovo le impronte e viene consegnato, il mattino seguente, alla polizia croata. Alle ore 20 del 21 luglio, è abbandonato assieme agli altri compagni di viaggio lungo in confine bosniaco, nella zona di Velika Kladusa.
La sua storia viene raccolta a Bihać, in Bosnia ed Erzegovina, dall’Ong Ipsia.
Ora Ahmed è ripartito. Prima di andarsene, assieme agli altri ragazzi parla delle violenze subite dalla polizia croata lungo il confine bosniaco: la distruzione di effetti personali (zaini, telefoni, power bank etc.), insulti, pestaggi, distruzione di documenti e indumenti (scarpe e giacche).
L’unico documento rilasciato dalla polizia di frontiera di Trieste, e firmato dai ragazzi, è il “verbale di identificazione, elezione/dichiarazione di domicilio e nomina del difensore resa da persona indagata”. Una denuncia per violazione “del 10bis” per ingresso irregolare nel territorio nazionale.
Ahmed è riuscito a nasconderlo e non gli è stato sequestrato in Slovenia o Croazia.
La denuncia evidenzia due cose. La prima è che le autorità di polizia italiane non negano bensì ammettono che le persone sono entrate in Italia. La seconda che la celerità della procedura di riammissione non impedisce di procedere a questa denuncia.
“A maggior ragione è incredibile che l’unico provvedimento che non viene assunto è quello che motiverebbe in fatto e in diritto la decisione della riammissione”, commenta Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi. “L’unica ragione per cui il provvedimento non viene fatto è perché si vuole evitare che l’atto materiale della riammissione non sia oggetto di un sindacato di fronte a un giudice”.
L’unico documento che Ahmed ha potuto firmare in Italia (Cortesia della ong Ipsia)
A testimonianza della delicatezza della questione, le autorità di frontiera a Trieste, contattate da Euronews, rimandano al Ministero. Sono argomenti di alta amministrazione e responsabilità politica, ci dicono al telefono. Anche la Prefettura del capoluogo giuliano non commenta.
L’avvocato d’ufficio suggerito ad Ahmed – e da lui mai contattato – si stupisce che “il respingimento sia avvenuto in stazione, mi sembra un po’ lontano. Pensavo avvenisse solamente appena oltre il confine con Fernetti”, confessa a Euronews. Non ha mai ricevuto alcuna chiamata da nessun migrante per casi di riammissione in Slovenia, aggiunge.
Lorena Fornasir, fondatrice dell’associazione Linea d’Ombra che fornisce cibo, riparo e conforto ai migranti alla stazione di Trieste, dice che storie come quelle di Ahmed non sono rare, e coinvolgono anche minori, afghani o pakistani del Kashmir – tutti soggetti tutelati dal diritto internazionale.
“Dopo che sono stati presi, di loro più nessuno ha traccia. Non sappiamo neanche se sono stati deportati. Diventano fantasmi che riemergono poi in Bosnia, quando mi inviano le foto di come sono stati massacrati dalla polizia croata durante il loro respingimento”, dice Fornasir.
Racconta come la settimana scorsa ha visto 13 ragazzi salire su un cellulare per essere portati in Slovenia. “Non abbiamo potuto fare foto, la polizia ci ha bloccato. Ma sentivamo le urla e le grida disperate di questi ragazzi intercettati dalla polizia”.
I problemi di questa procedura che non lascia tracce
Ai migranti non viene garantito l’accesso alla procedura d’asilo. Impossibile quindi accertare il loro eventuale status di rifugiato che li metterebbe in salvo da qualsiasi espulsione.
Non solo: le riammissioni effettuate “senza formalità” non possono essere impugnate dai migranti, che si ritrovano così alla mercé della polizia.
Secondo Schiavone di Asgi tutta la procedura seguita dalle autorità italiane ha delle grosse pecche: l’accordo di riammissione del ’96 è di dubbia legittimità in quanto mai ratificato con legge dal parlamento; non si applica ai richiedenti asilo e contraddice il regolamento di Dublino che organizza il diritto di asilo europeo, nato proprio per evitare rimpalli di frontiera tra uno Stato e l’altro.
La nota ministeriale con la quale si ammette il respingimento dei richiedenti asilo, che è proibito dal diritto europeo ed interno, rappresenta una rivendicazione di una gravità mai vista prima in Italia. Pensavamo di aver sentito e visto di tutto specie nell’epoca Salviniana, ed invece no
Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi
Il Ministero dell’Interno scrive che non c’è alcuna violazione del diritto d’asilo, e quanto al rischio di “respingimenti a catena”, Slovenia e Croazia sono membri dell’Unione Europea e quindi Paesi sicuri.
Non la pensa così la corte amministrativa slovena che a luglio ha condannato la Slovenia per violazione del diritto all’asilo, negato ad un 24enne camerunense. Le autorità lo avevano riportato in Croazia, e da lì la polizia croata lo ha trasferito in Bosnia.
Nella sentenza, i giudici sloveni scrivono che è stato violato il principio del non respingimento – cardine del diritto internazionale, comunitario e nazionale, anche in Italia – perché non è stato tenuto in conto del reale rischio di essere sottoposto a tortura o trattamento inumano in Croazia.
Tante infatti sono le prove dei comportamenti violenti della polizia croata raccolte da giornalisti, Ong, attivisti, volontari e politici. Anche qui, l’informalità della procedura ha fatto sì che il migrante non abbia potuto aver accesso alle necessarie tutele legali.
Anche la Slovenia usa la stessa giustificazione dell’Italia
La Slovenia giustifica queste “riammissioni” come fa l’Italia, ovvero sulla base di un accordo bilaterale siglato nel 2006 con la Croazia.
Tuttavia, il Difensore Civico sloveno, che ha partecipato al processo che ha visto protagonista il giovane camerunense, indica che quel testo va “contro l’ordinamento giuridico europeo”.
La maggior parte dei pushback in Europa oggi, scrive, sono giustificati con simili accordi bilaterali – tutti impugnabili in tribunale.
Il PIC, il centro legale di protezione per i diritti umani in Slovenia, concorda con la posizione degli avvocati italiani di Asgi.
“Si tratta di una procedura che non rispetta la legge europea: non c’è decisione scritta sul perché o sul dove i migranti vengono riportati, non ci sono garanzie procedurali, né possibilità per i migranti di ricorrere legalmente contro questa decisione”, dice a Euronews Katarina Bervar Sternad, direttrice del PIC.
“Secondo l’accordo tra Slovenia e Croazia, non vengono esclusi nemmmeno i minori, e la polizia slovena non viene sanzionata se non informa i servizi sociali in caso la procedura coinvolga minori, come vuole il protocollo”.
Si tratta di un espediente per aggirare l’illegalità
Katarina Bervar Sternad (Pravno-informacijski center nevladnih organizacij – PIC)
Statistiche della polizia slovena indicano che le autorità italiane hanno riportato al di là del confine 158 migranti nel 2018 e 147 nel 2019. Quasi tutti vengono poi consegnati nelle mani della polizia croata.
Nei primi sei mesi del 2020, il numero delle “riammissioni” dall’Italia alla Slovenia è salito a 291.
Foto: cortesia dell’associazione Linea d’Ombra – Francesco Cibati
La puntualizzazione della Commissione Europea e UNHCR
Interrogata in merito, una portavoce della Commissione Europea si limita a dire a Euronews che, secondo la direttiva UE sui rimpatri degli irregolari – entrata in vigore nel 2009 – gli Stati membri possono continuare ad applicare gli accordi bilaterali siglati prima di quell’anno.
Asgi fa notare che sebbene la possibilità di applicare tali accordi di riammissione sia prevista tanto dal diritto dell’Unione Europea quanto dal diritto nazionale, queste riammissioni non possono mai violare il sistema comune di asilo, oppure essere effettuate in violazione dei diritti umani fondamentali.
“Il diritto degli Stati di respingere coloro che siano sprovvisti di permesso all’ingresso e di espellere chi non ha titolo per rimanere sul territorio nazionale, seppur lecito in quanto espressione del principio di sovranità statale, trova dei precisi limiti”, scrive Asgi in un comunicato.
Insomma, se uno straniero si trova in uno Stato – anche irregolarmente – ma chiede che vengano accertati i presupposti per ottenere asilo o protezione internazionale, nessun Paese può riportarlo indietro privandolo dell’accesso alla procedura.
Sollecitata su questo punto, la Commissione UE puntualizza: il regolamento europeo sul diritto d’asilo non consente il trasferimento di richiedenti asilo nello Stato membro confinante, neanche se provengono da lì. “Se lo Stato membro dovesse considerare un altro Stato membro competente per l’esame della richiesta d’asilo, il primo dovrà comunque rispettare le procedure del regolamento prima di trasferire il richiedente”, afferma la portavoce di Bruxelles.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel corso degli anni, è intervenuta per rendere vincolante il principio di non respingimento per tutti gli Stati aderenti. Schiavone di Asgi ha chiesto all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, di monitorare la situazione a Trieste inviando almeno un funzionario.
Lo staff di UNHCR in Italia scrive a Euronews che il numero di persone riammesse in Slovenia è in aumento rispetto all’anno precedente, e di “verificare con le autorità competenti le notizie riguardanti la riammissione in Slovenia anche di persone che intendono chiedere asilo in Italia”.
“Ogni Stato ha il diritto di esercitare il controllo delle proprie frontiere e di gestire i flussi irregolari di persone, ma, allo stesso tempo, deve evitare di fare uso eccessivo o sproporzionato della forza e assicurare il funzionamento di sistemi che consentano di prendere in carico domande di asilo secondo procedure ordinate”, si legge nella nota inviata da UNHCR.
(*) ripreso da it.euronews.com