Rushdie, il tribalismo e noi
Un articolo di Gianluca Cicinelli (*). A seguire alcune considerazioni della “bottega” sull’Apostasy Day, “scordata” che purtroppo più non si può.
Adesso che Salman Rushdie sta meglio, vorrei provare a uscire dallo schema che riduce tutto a buoni e cattivi, troviamo il nemico e siamo più sollevati. Sappiamo tutti che le interconnessioni del mondo sono molto più complesse di così e io ho il vantaggio di essere estraneo a qualsiasi religione, il che mi consente di sovvertire la semplicistica dicotomia mondo islamico integralista contro Occidente laico. Schema che non regge proprio alla prova dei fatti oltretutto, basta guardare ai gruppi cristiano integralisti che stanno portando gli Usa sull’orlo della guerra civile predicando l’odio, per capire che i “matti” col botto, i fanatici, si trovano ampiamente rappresentati in maniera crescente in un Occidente che regredisce a grandi passi da quella che sembrava una libertà laica conquistata assai faticosamente negli anni passati.
Provo quindi a tracciare un tratto comune che tiene insieme l’integralismo islamico e cristiano, trumpiani usa e trumpiani nostrani (ma c’è anche un integralismo ebraico, uno induista e molti altri ancora in campo religioso) con la camorra e le altre forme di criminalità organizzata. Il tribalismo è la vera chiave. E ci riguarda tutti. Ci aiuta la Treccani a definirlo: tribalismo nel linguaggio socio-politico indica il prevalere della mentalità tribale e degli interessi etnici sugli interessi nazionali e collettivi o, se preferite, il comportamento particolaristico di piccoli gruppi.
Anche i coatti romani e di altre città sono tribali, per capirci e addentrarci in una complicata disamina di quello che viene definito impropriamente “medioevo” e invece è la contemporaneità. Tizio guarda la fidanzata di un altro, finisce a coltellate con il gruppo che sostiene, senza alcun motivo logico, l’accoltellatore. Succede a Roma, a Milano, a Napoli, ovunque. La tribù ragiona non in base alla categoria vero/falso buono/cattivo ma noi/voi. Tutto ciò che è “voi”, l’esterno della tribù, è negativo e va represso. Il reato, l’accusa è aver spezzato l’unità della tribù, per questo finisci se ti va bene all’ospedale o se ti va male, come usiamo dire a Roma, in omaggio ai cipressi dei cimiteri, “all’alberi pizzuti”.
Conosco persone picchiate da altri, con cui dividevano la cella in prigione, soltanto perchè si sono infilate i pantaloni del pigiama davanti a tutti, restando per un momento in mutande, anzichè andare nell’angusto spazio bagno, chiamiamolo così: colpevoli di aver violato le regole di “decoro” della tribù ‘ndranghetista con cui convivevano forzatamente. Io stesso sono stato tribale negli anni 70, quando ho coperto reati commessi da altri per non recare danno al “movimento”. Voi siete tribali quando difendete i vostri figli indipendentemente da quello che hanno fatto. Tutti abbiamo la tribalità nel sangue, una sorta di archetipo che precede la nostra nascita perchè appartiene agli albori dell’umanità, quando la tribù era un elemento essenziale per la difesa del singolo. Oggi l’individuo si è emancipato uscendo dal gruppo (avrebbe dovuto almeno) e non avremmo più bisogno della tribù, ma l’archetipo permane nella cultura e produce omertà.
Un’analogia a mio avviso molto interessante è quella tra i leader religiosi che hanno emesso una “sentenza” di morte contro Salman Rushdie e i capi della camorra che hanno condannato Roberto Saviano a morte. In entrambi i casi i due scrittori sono accusati della stessa cosa: aver parlato liberamente e criticamente di due “culture” in cui il sangue è parte di un rito fondante e la morte è la punizione per chi vuole essere libero.
Se poi pensiamo che prendere a coltellate un dissidente sia più violento che perseguitarlo per tutto il mondo da parte della tribù a stelle e strisce “esportatrice di democrazia”, per chiuderlo a vita in una cella di due metri per due come avviene con Julian Assange, beh, se lo pensiamo ci acceca il tribalismo della presunta “superiorità occidentale”. Al netto della tribalità di prevedere nel proprio ordinamento giuridico la pena di morte, che non si capisce perchè ci scandalizza per Cina e Iran ma non per gli Usa.
E’ tribale Qanon, come il cospirazionismo. Tribale l’assalto a Capitol Hill, sono tribali le minacce di morte contro chi indaga su Trump.
Il terrorismo di qualsiasi matrice è tribale ma lo è qualsiasi cultura chiusa dove chi tenta di gettare ponti con altre culture è un traditore che va eliminato anche fisicamente. Il fanatico che colpisce è il punto debole della catena, colui che avendo scarsa autostima trova un’identità assorbendo in sè il compito di giustiziere e difensore della tribù, il guerriero (schizzato) del ventunesimo secolo.
Il nostro nemico – intendo nemico della civiltà, dell’intercultura, dell’inclusività – dunque è il tribalismo. Che questo si presenti sotto aspetti religiosi o politici ha importanza perchè spiega origine e provenienza di quella cultura. Ma si tratta comunque di un figlio sostanziale della tribalità. Questo ha un significato ancora più drammatico di quel che pensiamo comunemente, perchè la tribalità è dentro di noi e porta anche noi (che riteniamo di non esserne portatori) talvolta a muoverci in quella direzione; per esempio quando eliminano un cattivo cattivissimo di questo secolo e godiamo anche noi per quella violenza perchè fa fuori uno esterno alla nostra tribù, che riteniamo essere quella dei “buoni” (occidentali? cattolici? democratici?).
A storici e antropologi il compito di capire come sia stato possibile che un mondo che sembrava avviato (a metà del secolo scorso) verso la laicità – intesa qui proprio come contraltare alla religiosità tribale – sia potuto spostarsi indietro di un secolo. Come sia stato possibile il ritorno delle crociate, non soltanto fra islam e cristianesimo ma proprio di tutti contro tutti.
Se volessimo riprendere il cammino verso la civiltà e il laicismo (che confina alla sfera individuale il rapporto con il magico, la descrizione di attribuzioni illogiche a determinate cause, che comprende la religione) dobbiamo avere il coraggio di abbandonare le facili soluzioni per cui il tentato omicidio di Salman Rushdie sarebbe soltanto un problema di fanatismo religioso. Il tribalismo chiama in causa il rapporto che ciascuno di noi ha con il suo gruppo di appartenenza o provenienza. Per questo è molto più difficile da sradicare.
(*) originariamente pubblicato su diogeneonline.info
ALCUNE CONSIDERAZIONI DELLA “BOTTEGA” SU RUSHDIE E SULL’APOSTASY DAY
Sottoscriviamo per intero il ragionare di Gianluca Cicinelli. Alle tante ipocrisie e menzogne bisogna aggiungere che certi (presunti) “laici” possono anche spendere una parola se a criticare le religioni sono intellettuali o riviste satiriche ma si girano dall’altra parte se si tratta di gente “qualunque”.
Il 22 agosto 2020 fu dichiarata da una coalizione internazionale di organizzazioni ex-musulmane la prima «Giornata internazionale dell’apostasia». Apostasia è l’atto di abbandonare o rinunciare a una religione: è punibile con la morte in Afghanistan, Iran, Malesia, Maldive, Mauritania, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Emirati Arabi Uniti e Yemen, ed è criminalizzata in molti altri Paesi. Ma poco se ne parla perchè si può criticare l’Iran ogni giorno ma l’Arabia Saudita quasi mai.
Noi continueremo a scriverne e grazie a chi ci aiuterà.
In “bottega” cfr Viva la blasfemia ovvero libertà di… e Dove dio continua a farsi Stato ma anche Laicità: non c’è libertà senza responsabilità, «Liberate Mubarak Bala», condannato in Nigeria a… e Marocco: ragazza italo-marocchina condannata per blasfemia.
Cugina stretta dell’apostasia è la blasfemia, punita in molti Paesi (anche nella “democratica” Italia). Segnaliamo “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi!” (su Micromega) una bella conversazione fra Moni Ovadia e Emanuela Marmo.
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
Come sempre, quasi sempre, Cicinelli colpisce nel segno: la distinzione non è più, se mai c’è stata, fa vero/falso, buono/cattivo, ma fra noi/voi e, aggiungo, tu/io. E questo vale per tutto: guerra, pandemia…
fra vero/falso