Saccargia, è apparsa la Bellezza (ma…)
di Daniela Pia
Una settimana fa, ho potuto rendere grazie, per la prima volta nella mia vita, all’ennesima e pericolosissima «Fabbrica ‘e Sant’ Anna» che è la nostra Carlo Felice. Inconsapevole e piuttosto annoiata, dopo l’ennesima deviazione, a circa 15 km dal Capo di sopra, Thathari Manna, improvvisa, fra un gioco di nuvole incombenti e immaginifiche è apparsa La Bellezza. Lei, la torre campanaria si stagliava in un alternarsi di bianco e nero, da altezze che invocavano l’unione al cielo. Il pomeriggio era silente e un poco appannato ma la valle era degna cornice a quell’inatteso dono. E’ vero, non sono più avvezza alla bellezza, essa mi appare come qualcosa che non so contenere, e allora mi dilungo in esclamazioni ripetute di commozione che sa di lacrime. Solo le lacrime, a volte sanno raccontare la bellezza quando ti coglie impreparata: sorgono improvvise perché sanno realizzare di mani sapienti, di esseri umani capaci di testimoniare, dal passato, il religioso silenzio e la superba arte capace di esprimere il contatto con l’incommensurabile, fuggendo dal quotidiano correre. Dov’ero? Non ne sono stata subito consapevole: Saccargia, mi è sorto il nome da non so dove, e ancora non riuscivo a collocare la visione. Ci siamo fermati e sono scesa. In religiosa beatitudine ho ammirato incredula questa chiesa medievale, romanico-pisana, che lo Judike turritano Costantino e la moglie Marcusa fecero erigere come ringraziamento per essere riusciti a generare l’erede al trono Gonario, così si tramanda. E mi sono sentita parte di un tutto, la mia Sardegna, capace di raccontarsi fra il monotono procedere della 131 in sprazzi di ardita architettura frammista a malvone, torri di ferula e chiazze di lentisco. Chiusa. Era chiuso al pubblico questo gioiello prezioso, nonostante il cartello raccontasse di un’ apertura continua, da aprile a ottobre, dalle 9 alle 18, di un prezzo del biglietto, impossibile da pagare, che era di per sé un’offesa: due euro. La bellezza sottratta. Non compresa. L’occasione persa, il lavoro mancato. Un pianto, di rabbia stavolta. Così si è fatta strada la certezza che l’interruzione della Carlo Felice non ha consentito, nonostante la agevolasse, la fruizione della Bellezza. Alcuni turisti, tedeschi e inglesi, sorpresi e sbigottiti da tanto splendore volgevano intorno lo sguardo quasi a cercare conferma del deserto umano là intorno. Rassegnati li ho visti riprendere la strada, dopo un’ indigestione fotografica, verso le auto e le moto, con sguardo quasi sgomento. Pensando forse con rimpianto ai dipinti annunciati dai pannelli muti. Unici testimoni di siffatta ricchezza seppur sottovalutata. Così mi si affacciò fra le labbra una rivisitazione dell’invettiva del Sommo: «Ahi Sardegna di insensibilità ostello, nave sanza nocchiero alla deriva nella tempesta di una Cultura incompresa», amen.
T
GRAZIE D.
Inviato da iPad
grazie!
Conosco il posto, capisco i tuoi tumulti interiori, l’episodio citato è il simbolo del dissipamento storico-artistico de l’Italia tutta. Roma docet. Ottimo articolo.