Saguaro, in edicola un alter-Tex
Forse il fumetto italiano ha un nuovo, stabile eroe: Saguaro. Infatti contrariamente alle ultime uscite («Brad Barron», «Demian» o le due creazioni di Gianfranco Manfredi, «Volto nascosto» e «Shangai Devil») non si tratta di una mini-serie di soli 18 numeri ma di una pubblicazione che durerà nel tempo, ovviamente se verrà premiata dalle vendite. Ciò significa che l’editore Sergio Bonelli crede molto nel nuovo personaggio – Thorn Kitcheyan detto Saguaro – e nel suo inventore, Bruno Enna, un sassarese poco più che quarantenne.
Thorn è un ex-militare, nato fra i navajo. Viene ferito durante la guerra in Vietnam e, nel 1972, torna a casa. Compra un terreno arido, al confine fra Arizona e Nuovo Messico, e vi si stabilisce da solo. O quasi: intorno a lui svolazza Little Eye, uno strano “falco-lupo” che forse avrà un ruolo nella serie.
Nel primo episodio – uscito a maggio – Saguaro si scontra con trafficanti di droga. C’è un bambino da salvare, Miguel: testimone troppo pericoloso per restare in vita. Da subito incontriamo Kai, poliziotta e anche lei pellerossa, destinata a una storia d’amore con Thorn; una bella differenza con l’asessuato Tex. Per il suo coraggio e forse per i suoi modi spicci, al limite della legge, Saguaro viene ingaggiato per una speciale unità di nativi (proprio come l’ex bandito Tex diventa un ranger): Bruno Enna si è ispirato agli Shadow Wolves, agenti federali scelti fra gli indiani e attivi anche contro l’immigrazione non “regolare”.
Al di là dell’azione e del ritmo, componenti essenziali dei fumetti bonelliani, i primi 3 numeri mostrano un personaggio sfaccettato. Fra i co-protagonisti sembrano interessanti Art Parker, il vecchio sciamano Howi, il giovane Jude, Nastas (fratello di sangue di Saguaro) oltre che Miguel e il padre di Kai. Nella tradizione bonelliana ogni numero è aperto da una pagina per dialogare con chi legge e da un’altra di approfondimenti. Come d’abitudine in Italia, non c’è un disegnatore fisso bensì una squadra che per ora risulta all’altezza del compito ma un po’ tradizionalista.
Nel terzo numero il Vietnam torna (sotto le spoglie del tenente Brest, riciclatosi in killer) a ossessionare Thorn. L’episodio si chiude su un episodio importante della recente storia statunitense: la rivolta dei pellerossa, appunto nel 1973, a Wounded Knee, sede di un celebre massacro nel 1890. Sarà interessante vedere nel quarto episodio – fra pochi giorni – come Saguaro avrà a vedere con la protesta. Sinora sembra di capire che lui si sente più statunitense che navajo. Ma, al contrario di Tex, lui è un indiano. O magari Thorn è diviso fra due mondi, come Magico Vento, un bianco adottato dai Sioux: e sono forse anche il successo e la nostalgia di quel personaggio (la serie si è conclusa dopo 130 numeri, fra le proteste dei lettori che avrebbero voluto continuasse) ad aver spinto Bonelli verso un nuovo western, sia pure di ambientazione contemporanea.
A proposito, il saguaro – la Carnegiea Gigantea – è una pianta dura e spinosa, capace di sopravvivere, anche per 200 anni, nelle condizioni più ostili: un cactus enorme che arriva a 13 metri in altezza. Lo si trova solo nei deserti fra Arizona e Messico; anzi no, è anche nelle edicole italiane (98 pagine per 2,90 euri) una volta al mese.
UNA BREVE NOTA
Avevo già parlato, ma brevemente, in blog di «Saguaro» quando era uscito. Invece questo mio articolo è uscito (al solito; parola più, parola meno) il 18 agosto nelle pagine culturali del quotidiano «L’unione sarda». Nel frattempo però – fine agosto – è uscito il numero 4 e mi tocca fare un post scriptum…
PS: SAGUARO E WOUNDED KNEE, 1973
Il numero 4 di «Saguaro» si apre in un ufficio Fbi dove due dirigenti discutono se ci si possa fidare di Thorn Kitcheyan, quell’«hippy» appena arruolato. Per il tipo più giovane: «è stato un soldato, uno di quelli sempre in prima linea. Ha servito il nostro Paese meglio di molti “bianchi”» e – vignetta successiva – «se poi conti che la guerra ormai ce l’abbiamo in casa, direi che si tratta della persona giusta nel posto giusto». L’altro sbotta: «è un dannato indiano maledizione» poi si scusa: dopo 70 giorni (con 2 morti e molti feriti) di occupazione dei pellerossa a Wounded Knee – «una figuraccia con i media di tutto il mondo» – ha i nervi tesi.
Non dirò molto dell’episodio (ricordo che la regola base del recensore intrigofilo è: accennare la trama senza svelar troppo) ma è evidente che questa contraddizione attraverserà questo numero, il successivo (infatti il “prossimamente” annuncia che continua la rivolta dei «giovani navajo», in parallelo a quella di Wounded Knee) e probabilmente altri episodi. Insomma da che parte deve stare Saguaro? Con i governi degli Usa, con chi si ribella o in un improbabile terreno neutro?
Nell’ultimo numero – sono 4 vignette a pagina 67 – gli “estremisti” spiegano (anzi urlano) ai moderati: «Quando, dall’alto della loro benevolenza, i bianchi ci hanno donato l’autodeterminazione, hanno parlato di libertà di scelta… Ci hanno concesso di amministrare i nostri programmi sanitari, scolastici, di previdenza sociale… Ci hanno dato l’illusione del controllo. Ma la verità è che voi, in questo consiglio, continuate a discutere e a promulgare leggi sotto ricatto del governo federale. E così, giorno dopo giorno, aiutate quella gente a perpetrare il nostro genocidio silenzioso». Se davvero è così, che scelta resta a Saguaro?
il numero 3 non mi era piaciuto granché mentre con il 4 (appena letto) la trama inizia ad infittirsi sempre di più. Comunque giudizio positivo dopo 4 mesi. Speriamo che faccia successo anche nelle vendite, perché merita