Salute e lavoro nella letteratura: Carlo Cassola e oltre
di Vito Totire (*)
Dedicato agli amici e compagni ferrovieri impegnati nel rinnovo del contratto.
E, visto che si parla di Grosseto, in particolare anche all’indimenticabile Bruno Puccioni
Il filone di ricerca non è nuovo; diversi anni fa fu oggetto di una pubblicazione della regione Emilia-Romagna dedicata in particolare agli studenti delle medie superiori che focalizzò la frequenza con cui la letteratura classica di tutto il mondo ha avuto occasione di citare il tema del rapporto fra lavoro e salute , anche a proposito degli infortuni. Ne uscì un libretto con copertina gialla distribuito gratuitamente nelle fiere annuali di “Ambiente/lavoro”; se esaurito, la Regione dovrebbe ristamparlo anche pensando alla condizione di deprivazione socio-sensoriale indotta dalla epidemia. Molte/i di noi hanno dato fondo al patrimonio personale di libri detenuti (non nel senso di privati della libertà) ma trascurati, della serie : bello, lo prendo , lo leggo quando posso…
E’ nell’ambito di questo sentiero, diciamo da topo di biblioteca (senza offesa per il topo) che mi spunta fra le mani una raccolta di racconti di Carlo Cassola con prefazione di Giorgio Bassani.
Cassola già emana un suo grande fascino quando dice «amo la periferia più che la città, amo tutte le cose che stanno ai margini». Dunque è ovvia l’aspettativa di trovare nelle sue opere cose importanti, ben oltre quelle forme di poesia e di letteratura destoricizzate che fanno pensare più alla opportunistica volontà di non essere “divisivi” che allo scomodo impegno di raccontare la realtà.
Allora in uno dei racconti del libro «Il taglio del bosco» (BUR 1998) – di per sé tutto interessante dal punto di vista della storia dei lavoratori – intitolato «Rosa Gagliardi» (che, ci ricorda Bassani, fu scritto nel 1946 e pubblicato nel 1947) ecco uno sguardo sulle condizioni di lavoro di un ferroviere. Gli anni di redazione e pubblicazione sono importanti se riflettiamo sul fatto che ancora oggi i “decisori” che siedono ai tavoli padroni-sindacati mostrano di non voler prendere atto della gravosità del lavoro, del suo potenziale usurante e dell’impellente necessità di adottare azioni di miglioramento in particolare per contrastare lo stravolgimento dei naturali ritmi circadiani (oggi che la questione amianto è storia – pare – del passato per quanto rigurda l’esposizione a rischio ma ancora drammatica storia del presente in quanto a malattie tumorali asbestocorrelate).
Si può verificare una tendenza alla rimozione dei problemi per chi ha avuto più occasioni di fare soltanto letture che non includono Cassola o altri autori che si occupano della condizione operaia ma la tendenza alla rimozione e alla negazione può verificarsi anche per chi ha letto Cassola e altri sulla sua stessa lunghezza d’onda ma ha preferito dimenticarli.
Allora veniamo a Guglielmo, il protagonista ferroviere che – racconta Cassola – era il marito di Amelia.
«Faceva servizio sui merci da Saline a Pisa o da Saline a Grosseto. Stava fuori anche 36 ore di fila. Non aveva orario. Tornava a casa alle ore più impensate, magari alle tre o alle quattro di notte…
“Anche lui fa una vita sacrificata” disse (Amelia).
“E dei suoi dolori come sta?” chiese Rosa…
“Come vuoi che stia?” rispose Amelia “Sono gli incerti del mestiere. Ti pare una cosa logica che un uomo di trent’otto anni debba essere reumatizzato come un vecchio di ottanta?”
Erano tre o quattro anni che Guglielmo aveva cominciato coi dolori a una spalla e alla schiena. Ora gli si erano acutizzati , tanto che pensava di prendere un congedo…
“Io sono dell’idea che Guglielmo deve lasciare le ferrovie…
“A lungo andare” riprese Amelia” il lavoro che fa Guglielmo, di notte , con qualunque tempo…”
“Si capisce. E’ un lavoro che logora…”
Quando la bimba era piccina allora Amelia stava sempre con la paura che succedesse qualche disgrazia al marito , o che lo mettessero fuori , come furono lì lì per metterlo fuori al tempo del fascismo…».
I rischi lavorativi – come acutamente sottolinea Cassola – si riverberano psicologicamente (oltrechè fisicamente) anche sui familiari.
Né sfugge a Cassola l’opportunità di sottolineare – con una capacità di osservazione da “psicologo del lavoro” – che la nocività delle mansioni non è connessa a demotivazione personale visto che certo Guglielmo «era dovuto entrare in ferrovia» (a seguito della morte del padre) ma «(egli) era di buon carattere e non rimpiangeva che le cose fossero andate così».
Spesso si parla di “cultura” come opportunità di business, cerchiamo invece e piuttosto di far uscire dall’oblio la cultura che contribuisce a costruire equità e giustizia.
Grazie a Cassola ma… cercando troveremo una miniera di valori sociali e possiamo riportarli alla luce scavando senza i rischi fisici delle miniere (sono passati pochi giorni dall’anniversario della strage di Marcinelle) … quelle nel senso letterale e fisico del termine.
(*) Vito Totire, portavoce della «Rete per la ecologia sociale»