San Basile: «Gjaku jonë…
… i shprisht» (il nostro sangue sparso)
L’ennesimo viaggio ciclosofico di Pierluigi Pedretti
Il ragazzo del bar-edicola è traforato dal piercing ma nonostante l’aspetto truce è gentilissimo. Mi serve cappuccino e cornetto mentre mi delucida sul paese. Sto per iniziare il mio ennesimo viaggio ciclosofico. Prima di partire entro nella chiesa che domina la piazza. Lo stile è un tardo barocco settecentesco. Tuttavia ha qualcosa di particolare al suo interno, perché l’altare è separato da un tramezzo ligneo, l’iconostasi, che la rivela come appartenente al cattolicesimo di rito greco-bizantino. Eh, sì, San Basile (Shën Vasili) è un paese albanofono, scelto recentemente dal FAI come un simbolo delle bellezze di Calabria. Appartiene alla comunità arbëreshë, cioè a quegli albanesi rifugiatisi nel Mezzogiorno d’Italia dopo la conquista turca nonostante la resistenza del loro eroe, Giorgio Castriota Scanderbeg. Ancora oggi quando essi si incontrano, si salutano con dolorosa nostalgia con la frase: «Il nostro sangue sparso».
Questo è uno dei motivi che mi ha spinto quaggiù, l’altro è che sono qui anche per partecipare alla prima edizione del Pollino Bike Festival. E’ una grande festa degli appassionati della bicicletta, da quelli più sportivi, che si “daranno battaglia” per le strade che conducono verso il valico di Campotenese, ai bikers amanti della montagna, che saliranno per gli impervi sentieri del Parco del Pollino, fino ai cicloturisti appassionati delle bellezze paesaggistiche e culturali di questi luoghi. Non mancheranno mostre fotografiche e incontri culturali. Ho lasciato l’auto nelle vicinanze della piazza centrale. Un gruppo di operai al lavoro mi osserva curioso mentre preparo la bici. Sono vestito di tutto punto, abbigliamento tecnico per traspirare al meglio, casco e guanti. Non dimentico di riempire la borraccia per idratarmi perché, nonostante mi trovi alle pendici nord-orientali della Catena del Pollino, fa tanto caldo, proprio tanto.
Prima di avviarmi inquadro il bel palazzotto municipale, davanti al quale verso mezzogiorno incontrerò Vincenzo Tamburi, il sindaco che ha fortemente voluto l’iniziativa cicloculturale, insieme a Francesco Paolo Lavriani, il mio amico fotografo, esperto di costumi e tradizioni arbëreshë. Prendo una tortuosa strada in discesa, i cui tornanti mi fanno godere il panorama fatto di vegetazione mediterranea e pinnacoli rocciosi. Non c’è tempo di riflettere su quanto sia bella questa regione che, giunto sul ponticciolo in fondo alla gola, intravedo la salita che mi impegna fino a Castrovillari, la capitale del Pollino.
In men che non si dica attraverso la moderna e deliziosa cittadina, su cui non ho tempo di soffermarmi perché voglio raggiungere al più presto Morano Calabro. Rimanderò ad altro viaggio la visita in bici del centro storico, almeno per vedere il Protoconvento francescano e il Castello aragonese. Cerco ora la pista ciclabile ricavata sul vecchio tracciato ferroviario Castrovillari-Lagonegro delle defunte Ferrovie Calabro-Lucane. Fino ad alcuni decenni fa era spesso l’unico modo per arrivare d’inverno in Calabria. Come le gemelle tratte ferroviarie, Cosenza-Catanzaro e Cosenza-San Giovanni in Fiore, essa consentiva di togliere dall’isolamento intere popolazioni delle due più estreme regioni meridionali. Chiuse oggi per frane e disservizi vari, potrebbero diventare in futuro volano economico se riaperte al pubblico dei turisti e dei ciclisti.
Intanto dalla ciclabile godo della visione delle seducenti cime del Pollino, del Pollinello e del Dolcedorme. Davanti a me la rigogliosa vegetazione arborea si alterna a spicchi di campagna sempre più coltivata che preannuncia il paese, Morano. Rimango ogni volta stupito quando lo vedo: una piramide di case. Ripenso ai tanti viaggiatori del Grand Tour che lo hanno descritto nei loro racconti di viaggio, classico esempio della pittoresca Calabria. Questi luoghi meritano un soggiorno, per il paesaggio, la gentilezza dei suoi abitanti, per la gastronomia e il buon vino. A proposito, è tempo di rifocillarmi. Lascio ( per ora) la breve ciclabile con rimpianto e mi addentro nel borgo, scelgo un bar proprio sotto la muraglia di case antiche. Mentre sorseggio un caffè e addento un bocconotto ripieno di marmellata, il barista mi racconta che il paese è ancora vivo nonostante la forte emigrazione, diretta nei decenni soprattutto in Brasile. Amaro destino per una regione che si sta svuotando delle sue forze migliori.
Inforco la bici, aggiro la impressionante “cinta muraria” di case affastellate l’una sull’altra e prendo la ripida strada per il castello. Da lassù il panorama è incredibile, la vista si allunga dai monti verso la piana di Sibari. Medito sulle enormi potenzialità della Calabria, mentre passo davanti al monastero di San Bernardino da Siena, complesso tardo gotico, che conserva il famoso Polittico del Vivarini. Imbocco poi la strada provinciale per San Basile, pedalando in lunga solitudine nella macchia mediterranea. L’ennesima curva mi spalanca gli occhi sull’enclave albanese in terra calabra. Mi infilo nel dedalo di viuzze dell’abitato per raggiungere infine il Santuario di Santa Maria, uno dei soli tre monasteri di rito greco-bizantino esistenti in Italia, sorto intorno all’antico cenobio bizantino di San Basilio Craterete. La fine è vicina. Solo la visione dei monti boscosi e del mar Ionio in lontananza allieta il mio animo. Seduto sotto un platano un vecchio mi saluta: «Gjaku jonë i shprisht».
Bel articolo e bella esperienza con Pierluigi nel nostro mondo arberesh ricco di tradizioni storia e cultura.