Sanità: un ventennio di contratti a perdere
di Francesco Cappuccio (*)
A seguire: l’ospedale unico di Imperia, un (cattivo) esempio fra i tanti
Dal 2000 ad oggi si sono succeduti tre grandi eventi che hanno modificato pesantemente il nostro potere di acquisto.
- Nel 2009, il passaggio da un contratto biennale a triennale. Misura ispirata dal ministro della P.A. Renato Brunetta. Il rinnovo contrattuale, avrà pensato, è pur sempre una turbativa, si possono accendere aspettative, meglio diluire nel tempo. Padronato e sindacati sono sulla stessa linea.
- L’anno dopo, per realizzare il contenimento della spesa pubblica, il governo Berlusconi nella figura del ministro dell’economia Giulio Tremonti decide il blocco dei contratti. Il blocco dura 6 anni: dal 2010 al 2015. Qualche mal di pancia ma padronato e sindacati di regime sono sulla stessa linea.
- Esplode la crisi finanziaria – anch’essa pandemica – del secolo (2007-2013) datata ufficialmente come in parentesi ma ancora in corso nelle tasche dei lavoratori.
- C’è un quarto evento, più sfumato ma non meno determinante: l’erosione della quota tabellare dello stipendio in favore del salario di risultato. La promozione della meritocrazia, giustificata e combinata con la lotta all’ assenteismo: condita dalle campagne denigratorie contro i fannulloni e i furbetti di ieri, sono i cavalli di battaglia tesi a conseguire da una parte l’affossamento dei CCNL e dall’altro andare alla costruzione di buste paga, dove le voci variabili hanno un peso crescente su quelle fisse.
Il vantaggio per il padronato è che le voci variabili partecipano meno alla costruzione delle posizioni pensionistiche. Surrettiziamente sì è introdotto una sorta di cottimo legalizzato. La necessità di tenuta salariale ha forzosamente come contro partita: flessibilità, valutazione delle performance, pagelline ecc.
La contrattazione di secondo livello serve, oltre a diffondere i veleni della concorrenza tra i lavoratori, a destrutturare progressivamente il Contratto Nazionale e imporre rapporti con le Direzioni mediati individualmente.
Il welfare aziendale, già attuato fra le altre categorie, trasforma quote della contrattazione economica in servizi, bonus e benefit. La Sanità Pubblica doveva essere un presidio invalicabile per la difesa di una sanità universale, gestita dallo Stato e non dal padrone, ma ora sia pur a piccoli passi è già accolta nei contratti del Pubblico Impiego. Risultato: qualche servizio assistenziale in più ma meno soldi in busta paga. Da una parte la fidelizzazione dei lavoratori ai destini aziendali occupati e dall’altra meno contributi versati all’INPS dalle aziende. Le pensioni da fame sono solo una conseguenza per i lavoratori; e per i disoccupati o sottoccupati meno copertura assistenziale pubblica.
Ma quanto servirebbe per recuperare il potere d’acquisto perso con il congelamento dei rinnovi contrattuali?
Per determinare la cifra dobbiamo individuare l’incremento salariale medio annuo su base mensile al netto del blocco dei rinnovi per un infermiere che abbia raggiunto un livello di anzianità intermedio: un D3 ad esempio.
Biennio 2000-2001 = 53 euro inflazione media biennio 2.65%
Biennio 2002-2003 = 94 “ inflazione media biennio 2.45%
Biennio 2004-2005 = 109 “ inflazione media biennio 1.85%
Biennio 2006-2007 = 118 “ inflazione media biennio 1.85%
Biennio 2008-2009 = 86 “ inflazione media biennio 1.95%
Triennio 2016-2018 = 110 ” inflazione media triennio 0.7%
(Fonti ARAN ed ISTAT)
Abbiamo quindi 570 euro da suddividere in tredici anni distribuiti all’interno dei sei rinnovi. Si ha una media di 44 euro di aumento mensile ogni anno. Nei sei anni di congelamento l’infermiere ha perso – seguendo il trend descritto – 264 euro mensili lordi. Sono stati 13 anni di contratti in perdita.
Secondo questa impostazione che non parte dai bisogni dei lavoratori ma da quano mette sul piatto il padrone pubblico il prossimo triennio sarà un’altra occasione mancata di recupero salariale.
Retorica a parte, per gli infermieri “eroi” le conseguenze della crisi economica mai terminata (oggi acuita dalla epidemia) saranno più sacrifici: pensano a gabbie salariali regionali “perché al sud si spende meno che al nord” alla faccia dell’europeismo cosmopolita, a patti di stabilità capestro, a pareggi di bilancio che noi dovremo colmare.
A un privato è consentito per prassi socializzare a carico della collettività i debiti e capitalizzare i profitti.
E’ proprio questo che sta attuando il padronato pubblico ai danni di operatori sanitari e della Sanità Pubblica!
(*) di SI COBAS
E INTANTO SI CONTINUA A SMANTELLARE LA SANITA’ PUBBLICA: IMPERIA E’ UN ESEMPIO FRA I TANTI
Imperia sabato 1° agosto.
Una delegazione del S.I. COBAS SANITÀ era presente, insieme ai compagni del FGCI Imperia, al presidio contro la costruzione dell’«OSPEDALE UNICO». La protesta è stata promossa da CITTADINANZA ATTIVA e anche altre realtà cittadine hanno voluto manifestare dissenso verso l’ennesima, vergognosa sottrazione di Salute Pubblica.
Il piano regionale prevede la costruzione ex novo di un ospedale ad Arma di Taggia e contemporaneamente la “svendita”, in odor di speculazione edilizia, di 2 ospedali e relativi Pronto Soccorso: quelli di Imperia e Sanremo.
Dopo lo smantellamento di decine di servizi territoriali, ci vogliono imporre un’altra decisione scellerata, che mette a rischio la vita e la salute di un vasto territorio.
Dai Comuni coinvolti in questo cambiamento risulterebbero tempi di percorrenza per raggiungere la zona destinata, dai 30 ai 52 minuti sull’unica strada esistente: tempi troppo lunghi anche in condizioni ottimali, che diventano un’eternità in caso di traffico intenso.
Queste tempistiche NON sono compatibili con interventi terapeutici efficaci in caso di emergenza.
Una vera e propria scelta criminale!
I giovani compagni del Fronte stanno partecipando attivamente alle iniziative. Un gruppo di giovanissimi studenti ha sentito la necessità di formare il Comitato per la Sanità Pubblica Imperia.
Abbiamo intervistato questi compagni che dichiarano:
«Non possiamo rimanere impassibili dinanzi a questo sistematico smantellamento della sanità pubblica. Nemmeno in questo momento di estrema necessità si è pensato di rivedere le priorità di questo sistema, che pone il profitto davanti alla tutela della salute. Questa piazza dimostra che si può fare qualcosa, la sanità deve essere pubblica e universale».
Questi giovani studenti-lavoratori vivono il precariato e lo sfruttamento. E a partire da questa condizione sociale che è maturata la scelta di essere al fianco di tutta la classe sociale sfruttata e resa sempre più precaria nell’assottigliamento dei salari e dei servizi.
Condividiamo ogni parola. L’unione delle lotte è l’unica strada percorribile.
Sabato era una giornata molto calda. Vogliamo che l’autunno lo sia ancora di più!