«Sardigna ruja» (e non solo) di Gianfranco Pintore
di Francesco Masala – un libro da recuperare, anzi due: 24esima puntata (*). A seguire alcuni video.
Sardigna ruja – Gianfranco Pintore
Un libro pubblicato nel 1981, e poi scomparso. Ma sotto ne trovate un altro, sempre di Gianfranco Pintore
È un libro scomodo, dipinge la realtà come è- Mica solo in Sardegna: un libro così lo capiscono in tutto il mondo, in India, in Messico, in Val di Susa, in Nigeria, insomma tutti i Paesi rappresentati all’Onu (ma anche quelli non rappresentati) sono coinvolti.
Una potente impresa petrolchimica vuole insediarsi in Sardegna (e volere è potere), compra politici, compra giornali, compra le persone, con la promessa dei posti di lavoro (cose così non succedono mai, robe da romanzo, vero?).
C’è chi prova a resistere, con mezzi legali e no, ma storie così è difficile, molto difficile, che finiscano bene, il Potere non fa prigionieri.
Gli esempi sono infiniti, attivisti, indigeni, politici e giornalisti non in vendita l’hanno sempre pagata, a volte con la galera, a volte con la vita.
I romanzi servono per evadere (che è un modo per fare politica) oppure per fare politica con altri mezzi: Sardigna ruja è del secondo tipo.
Abbiamo bisogno di libri che ci ricordino che il nostro non è il migliore dei mondi possibili.
Il romanzo inizia cosi:
I carabinieri spararono a raffica. Di tanto in tanto, nell’aria secca e pulita, rimbomba un colpo di moschetto. Due li hanno presi stamattina, quando la giustizia ha liberato Giacomo Lavini. Dicono che sono feriti: Pascale alla spalla e Chichissu a una coscia.
In piazza siamo rimasti solo una decina a sentire il conflitto a fuoco, laggiù. I vecchi dicono che un marzo così freddo non l’hanno mai conosciuto, colpa delle atomiche e dei razzi che bucano il cielo.
Molti sono seduti dentro il bar ed escono a ogni colpo di moschetto e interpretano che cosa sta succedendo.
Il vento si trascina giù il gelo dal monte. C’è una donna e ha gli occhi sbarrati; ha un fremito ogni volta che sente i mitra della giustizia. Aspetta, come tutti noi, che risponda il colpo secco del moschetto per sapere che l’uomo è ancora vivo. Due soli sanno con certezza a chi stanno sparando.
Una è la donna dalla grande pancia gonfia che allarga la sottana. L’altro sono io.
Dissenti ha una sola speranza. Che cali presto la notte. Con il buio è salvo. Conosce troppo bene SU Pradu perché lo possano prendere al buio. Dicono che anche il maresciallo Sanna conosca bene questo terreno. Ma per Dissenti è diverso: lui, lì, ci ha fatto il pastore. Difficile che l’altro conosca così come le conosce Dissenti le grotte, le nurre, le forre che si infilano nel ventre dei colli.
La gente è zitta. Ci appoggiamo al pullman fermo in piazza. È un riparo dal vento. Zia Mauredda, invece, è ferma davanti al muretto. Le folate le muovono di dietro il fazzoletto nero annodato sulla testa. Anche gli altri hanno capito. Mariangela Floris le si avvicina: “Venite, zia Maure’; vi accompagno a casa”.
Lei si volta, guarda la ragazza. È come se si fosse accorta solo ora della presenza di tanta gente: “Sì, andiamo”.
Ci passa vicino, tenendo Mariangela stratta per un braccio. Si aggiusta con l’altra mano i capelli sotto il fazzoletto. Ziu Jubanne Cossu le va incontro: “Coraggio, Maure’. Vedrete che ce la fa”.
“Chissà chi sarà quel meschinetto” risponde lei a voce alta. Poi stringe la mano sul braccio di Mariangela. “Beh, andiamo. Non mi volevi accompagnare a casa?”
Un’altra scarica di mitra. Ci rigiriamo a guardare zia Mauredda. No si volta neppure, ha solo un attimo di esitazione, poi continua a camminare, impettita. Ora la gente riprende a parlare, a dare consigli all’uomo braccato dai carabinieri. Qualcuno si dirige al bar. Ziu Jubanne Cossu mi si piazza davanti: “O Ma’, perché?”.
“Che cosa perché, ziu Juba’?”
“Perché sta succedendo tutto questo bordello?”
“Peggio per chi ha fatto la spia, ziu Juba’. Non vorrei esser lui neanche per tutto l’oro del Perù.”
Il vecchio mi guarda, fisso, scuote la testa. Si toglie il berretto e se lo riposa strisciandoselo sul capo. “L’ha fatta grossa, quel qualcuno, e la pagherà cara.”…
ED ECCONE UN ALTRO: “Sardegna-Regione o colonia?” – Gianfranco Pintore
Nel 1974 Gianfranco Pintore pubblicò per l’editore Mazzotta “Sardegna-Regione o colonia?”.
È un’inchiesta giornalistica, un saggio, un lavoro partigiano, con gli strumenti dei fatti e delle parole, per (di)mostrare come il Capitale e il Potere, nella loro necessità di uniformare e anonimizzare la realtà, condussero una guerra politica, militare, economica contro la Sardegna interna, e soprattutto contro quel simbolo e nodo di Resistenza che allora era Orgosolo.
Giornalismo esemplare, testimonianza di una lotta senza quartiere, fra oppressi e oppressori. avvincente come la letteratura. Una storia di Resistenza, in tempi – non così lontani – in cui “la Rivista dell’Arma dei Carabinieri pubblicava due articoli, uno nel 1967 e uno nel 1969, con soluzioni estreme contro i banditi: “Si adoperino gli stessi mezzi del maresciallo Graziani contro i ribelli in Cirenaica”, e “Vogliamo che nelle battute delle foreste del Supramonte si usino i lanciafiamme. si seguano razionali sistemi di caccia con squadriglie armate di mortai e di armi automatiche, come facevano i Tedeschi negli Appennini contro i partigiani” (https://www.sardiniapost.it/cronaca/quando-scrivevano-buttiamo-il-napalm-sui-sardi/)
Un libro da rileggere, per non dimenticare.
QUI si può vedere il documentario SA LOTA – PRATOBELLO – ORGOSOLO 1969, di Maria Bassu e Francesca Ziccheddu
[…] Nel 1868, il Consiglio comunale di Nuoro, formato da non pochi grossi proprietari, decise di vendere ai privati i terreni di “Sa Serra” e il “comunale”, ancora aperti al pascolo libero. I pastori, nel giro di poco tempo, avrebbero dovuto ritirare le greggi che pascolavano in quei territori. Il “piano di lottizzazione” prevedeva la vendita “a rate”: chi avesse fatto domanda per ottenere in proprietà i terreni, avrebbe potuto pagare subito la metà del prezzo pattuito e l’altra metà, come si direbbe oggi, “in comode rate”. Il 26 aprile, avvenne la violenta rivolta de su connottu. Cominciarono una cinquantina di pastori e contadini poveri a manifestare sotto la sede della sottoprefettura di Nuoro. Gridavano a su connottu, vogliamo che si torni al conosciuto, alle terre in comune.
In poche ore i manifestanti diventarono alcune centinaia in marcia verso il comune. Vi fecero irruzione, si impadronirono delle armi della guarnigione e saccheggiarono; i piani di lottizzazione furono dati alle fiamme insieme ai registri dello stato civile. La sommossa cessò solo quando il sottoprefetto, il capo dei carabinieri e il procuratore del re promisero che a su connottu si sarebbe tornati e che il Consiglio comunale si sarebbe dimesso. I laici, anticlericali ma legati mani e piedi al colonizzatore, che se li era comprati con la terra sottratta ai contadini poveri e ai pastori, accusarono i nuoresi poveri di essersi lasciati strumentalizzare dal vescovo di Nuoro, Salvatore Angelo Demartis, intenzionato solo a screditare le autorità civili.
In effetti, sembra che Demartis abbia avuto una parte di primo piano in sa die ‘e su connottu (il giorno del già noto). Nel momento in cui si sentivano derubati dai “laici” e nel momento in cui il vescovo era, per fatti suoi, contro i “laici”, pastori e contadini poveri hanno saputo sfruttare con molta intelligenza politica questa potente alleanza. Né era la prima volta che i pastori si schieravano contro il re piemontese, trovando alleati persino nei feudatari. […]
– Tratto da “Sardegna: regione o colonia?” – di Gianfranco Pintore (1974).
qui e qui si ricorda Gianfranco Pintore (scomparso nel 2012)
(*) L’idea di questa rubrica è di Giuliano Spagnul: «… una serie di recensioni per spingere alla ristampa (o verso una nuova casa editrice) di libri fuori catalogo, preziosi, da recuperare». Ecco l’elenco:
1 – Gunther Anders: «Essere o non essere» (2 aprile) di Giuliano Spagnul
2 – L’epica latina: Daniel Chavarrì a (14 aprile) di Pierluigi Pedretti
3 – «Poema pedagogico» di Anton Makarenko (30 aprile) di Raffele Mantegazza
4 – «Il signore della fattoria» di Tristan Egolf (12 maggio) di Francesco Masala
5- «Chiese e rivoluzione in America latina» (26 maggio) di David Lifodi
6 – «Teatro come differenza» di Antonio Attisani (9 giugno) ancora di Giuliano Spagnul
7 – «Dizionario della paura» di Marcello Venturoli e Ruggero Zangrandi (23 giugno) di Giorgio Ferrari
8 – «Arrivano i nostri» di Dario Paccino (il 7 luglio) di Giorgio Stern
9 – «Un debole per quasi tutto» di Aldo Buzzi (21 luglio) di Pierluigi Pedretti
10 – «Protesta e integrazione nella Roma antica» (4 agosto) di Giuliano Spagnul
11 – Athos Lisa: «Memorie» (18 agosto) di Gian Marco Martignoni
12 – «Le donne del millennio»: un’antologia con… (1 settembre) di Giulia Abbate
13 – «Gli antichi Greci» di Moses Finley (15 settembre) di Lella De Marco
14 – «La vita è sovversiva» di Ernesto Cardenal (29 settembre) di David Lifodi
15 – «Il cammino dell’umanità» di Angelo Brelich (13 ottobre) di Giuliano Spagnul
16 – «325mila franchi» di Roger Vailland (27 ottobre) di db
17 – «La favolosa Hollywood» di Otto Friedrich (10 novembre) ancora di Spagnul
18 – «Coscienze di mulini a vento» di Flavio Almerighi (24 novembre) di Lucia Triolo
19 – Charles Bettelheim: «Le lotte di classe in Urss» (8 dicembre) di Mauro Antonio Miglieruolo
20 – «Le note, vol. 2» di Ludwig Hohl (22 dicembre) di Francesco Masala
21- «Plotone di esecuzione» di Enzo Forcella e Alberto Monticone (5 gennaio) di Daniele Barbieri
22- «I giorni» di Taha Hussein, con un occhio ad… (19 gennaio) di Karim Metref
23 –«America latina: l’arretramento de los de arriba» (2 febbraio) di David Lifodi
Ci siamo dati una scadenza quattordicinale, all’incirca. Se qualcuna/o vuole inserirsi troverà le porte aperte. [db per la “bottega”]
Non ho mai avuto modo di leggere “Sardinia Ruja”. Ma “Sardegna regione o colonia”, sì. Un ‘libretto’ indispensabile e imprescindibile per chi voglia capire che davvero la Sardegna come e perché è sempre stata una colonia, in tutti gli aspetti della dimensione sociale, politica, militare, culturale e con ciò, oltre che colonizzata anche coglionizzata. Dalla colonizzazione si può uscire; molto più difficile uscire dalla coglionizzazione che comporta il venire impregnati da valori estranei (‘estranei’ non è ‘esterni’ necessariamente), disorganici a una cultura (quindi disvalori) cui si sovrappongono in maniera artificiosa, violenta, col controllo militare del territorio, con l’imposizione dei modelli economici disastrosi. E parlando di coglionizzazione, un esempio lampante è l’essere l’opera colonizzatrice riuscita a far passare anche nelle forze sindacali, per esempio (da cui ci si attenderebbe chiare prese di posizione a favore di un’economia per quanto possibile, ‘organica si dice, in armonia con il territorio, un modello di industrializzazione fallimentare e disastroso anche in termini di danni all’ambiente, irreparabili, e con ciò anche un’azione dirompente e traumatica nella società.
Non dimenticherei di consigliare per una conoscenza e riflessione sui temi di colonizzazione, coglionizzazione e identità, l’ampia indagine di Ugo Dessy “Quali banditi?”, ma anche “La rivolta dell’oggetto” di Michelanglo Pira, e gli scritti di tanti altri: Bandinu, Eliseo spiga (anche un testo di narrativa-documento “Sardegna come utopia”) e Antonello Satta, Francesco Masala, Michele Columbu lo stesso Giovanni Lilliu e tantissimi altri. Ma se si vuole davvero vedere come colonizzazione e coglionizzazione forzate hanno proceduto in realtà specifiche non mi stancherò mai di consigliare “Il golpe di Ottana” troppo dimenticato, di Giovanni Columbu che mostra come il modello di ‘industrializzazione’ fosse strumento di un controllo politico-culturale: un progetto ‘legittimato’ dal disegno, dichiarato a chiare lettere, di inserire nel centro della Sardegna un’azione dirompente nella società pastorale.
Quando morì Pintore, ormai quasi dieci anni fa, scrissi due righe a commento di un ricordo che ne fece Vito Biolchini sul suo Blog (nell’articolo si trova il link), e che riporto qui:
…da qualche parte ci sono, in una di quelle due o tre scatole che mi seguono di trasloco in trasloco da trent’anni, le lettere di Gianfranco Pintore. Assieme alle altre lettere e cartoline di quando si comunicava così, e stando chiusi in una cella c’era il tempo e la necessità di scrivere e leggere. Traccia a metà di uno scambio di idee, opinioni, scazzi, l’altra metà (le lettere che scrivevo io) persa o magari solo dispersa in altre scatole assieme ad altre mezze tracce.
Per un lungo periodo, dopo esserci conosciuti alla fine degli anni ’70, ci siamo scambiati opinioni epistolari, sognando una Sardigna libera dalle presenze pesanti che l’avevano segnata, e finalmente “laboratorio” di esperienze e sperimentazioni autoctone, ma con respiro internazionale, nel campo della cultura e dell’economia, delle aggregazioni sociali, delle allora poco conosciute energie alternative.
Poi, dopo il carcere, solo un brevissimo e fugace incontro, poi più niente. La lettura saltuaria del suo blog, e la convinzione ci sarebbe stata l’occasione di riprendere quei discorsi, l’inconsapevolezza del trascorrere del tempo, tempo che si fa giustamente beffe dell’arte malinconica del rimandare.
Mi toccherà andare a cercare quelle lettere…
Pintore sicuramente è stata una figura importante, e lucida, anche se non era facile districarsi nella palude dei limiti che risucchiano l’ambiente dell’indipendentismo sardo, finito, come ha scritto qualcuno, da un lato nel sovranismo leghista, e dall’altro in una frantumazione settaria, spesso ingenua quando non apertamente razzista. Ma so poco delle ultimo periodo di Pintore, anche se ogni tanto davo uno sguardo al suo blog, per cui non dico altro.
Mentre voglio citare un libro recente che mi ha ricordato un pochino Sardigna Ruja. Anche qui speculazioni che accomunano speculatori continentali e malapolitica e malaffare isolano “faccendieri locali, interessati a mettere le mani sul patrimonio di archeologia industriale e sui ricchi affari che possono derivare dal disinquinamento del territorio”. Ma, e anche da qui si capisce che son passati 40 anni dall’uscita di Sardigna Ruja, qui il fulcro della “resistenza”, in un paesaggio bello e terribile come quello delle zone minerarie devastate e abbandonate dell’Iglesiente, è un gruppo di ragazzi che vogliono realizzare un centro sociale in uno degli stabili oggetto delle mire speculative. Di contorno, solo un po’ velate, le trame di Gladio e dei gruppi neofascisti mano armata della speculazione, i traffici di droga e quant’altro.
Lo ha scritto Marco Corrias, giornalista in pensione e attuale sindaco di Fluminimaggiore, uno dei centri dell’area mineraria del Sulcis-Iglesiente, che dimostra la profonda conoscenza degli argomenti di cui tratta, e lo fa in maniera piacevole.
Piombo Fuso, Marco Corrias, ed. Il Maestrale 2018
http://www.edizionimaestrale.com//IT/Products/270/Piombo-fuso