Covid: scienziati o esperti?
Come il Covid ha cambiato il rapporto tra scienza e società
di Marco d’Eramo (*)
Non abbiamo mai visto tanti camici bianchi come nell’ultimo anno: epidemiologi, virologi, infettivologi, medici e primari di tutte le specializzazioni, da rianimazione a pneumologia, spuntano come funghi da ogni telegiornale, in ogni social medium. Grazie al Covid sembra che gli scienziati abbiano fatto irruzione nella nostra vita. Ma è un’invasione destinata a diventare occupazione permanente, oppure è un fenomeno transitorio? Forse è giunto il momento di chiedersi come se l’è cavata la scienza in questo frangente e come è cambiato il rapporto tra scienza e società, un rapporto ambiguo, almeno a stare alle resistenze che nel mondo si manifestano contro la vaccinazione, persino tra gli stessi operatori sanitari.
Intanto, come ha fatto osservare Isabelle Stengers in una recente intervista, questo rapporto va inquadrato in una situazione di panico. Una parola scomoda da usare, perché a nessuno fa piacere ammettere di essere preda di questo sentimento. Eppure la parola è appropriata:
“il confinamento va capito a partire da una reazione di panico. E quando c’è panico dimentichiamo tante cose! Reagiamo sotto la spinta di un’emergenza che impedisce di pensare. Questo panico ci ha guidato, ha accentuato tutte le disuguaglianze sociali, tutti i rapporti di forza … In fondo credo che abbiamo assistito a un’indifferenza a tutto ciò che non era mantenimento dell’ordine pubblico”.
La seconda osservazione di Stengers è che bisogna parlare di scienze al plurale e non di scienza al singolare:
“Per quel che riguarda le scienze, il punto che mi ha fatto davvero male è di sentire dire – in particolare dai medici – ‘la scienza’. E di vedere i politici riprendere questo termine: ‘noi ascoltiamo la scienza’, perché gli faceva comodo. All’improvviso, in un altro riflesso di panico hanno dimenticato la politica ed è ‘la scienza’ che si è messa a guidarci. Ora, è sempre una pessima idea chiedere a ‘la scienza’ cosa bisogna fare perché non è il suo mestiere. Il suo mestiere è cercare di porre domande pertinenti. Appena si dice ‘la scienza’, si dimentica la pertinenza delle domande. Si fa come se ci fosse un metodo scientifico per tutte le stagioni capace di rispondere a tutto in modo oggettivo. È anche un modo di far tacere la gente, perché è ben noto che la gente è incapace di capire ‘la scienza’. Mi ha colpito che la pluralità delle scienze sia esplosa con questa denominazione unificante de ‘la scienza’. Questa pluralità dipende proprio da quello con cui le scienze hanno a che fare, dalle domande che questo suscita e a cui ogni scienza può rispondere nel modo che le è proprio”.[1]
Il punto è proprio quello che Stengers chiama la “pertinenza” delle domande. Perché quando i politici dicono che “ascoltano la scienza”, in realtà poi “ricorrono agli esperti”. E non c’è niente di più distante dallo scienziato quanto l’esperto. Come scrive un gruppo di ricercatori,
“lo scienziato decide oggetto e domande d’indagine; l’esperto – colui che vanta un’esperienza di valore riconosciuto – è chiamato ad applicare conoscenze e capacità di giudizio a un quesito che altri gli pongono. Questo solleva una serie di problemi: 1) la risposta al quesito spesso non è riconducibile a un campo disciplinare preciso. Il Covid-19 solleva contemporaneamente aspetti virologici, epidemiologi, di ordine pubblico, economici, sociali, di organizzazione dei servizi ospedalieri, e così via; 2) occorre dare una risposta al quesito, in tempi stretti o comunque entro una scadenza precisa, quasi sempre non congrui per lo scienziato per concludere una ricerca che, oltretutto, spesso si conclude con un punto di domanda, che richiama una ulteriore fase di studio; 3) la multidimensionalità del quesito fa inoltre sì che spesso l’esperto dia una risposta che trascende i confini di quanto, restando nel recinto della propria disciplina, sarebbe autorizzato a dire, scatenando conflitti e polemiche solo in parte riconducibili alle controversie scientifiche strettamente intese”.[2] …
Distinguo interessante che dovrebbe essere esteso ai “politici”: la “politica” dovrebbe essere “scienza sociale” che ricerca soluzioni a domande. Purtroppo ci sono più polticanti cioè esperti o aspiranti tali nel cercare e mantenersi una “poltrona” e sfruttarla più a lungo possibile e “mungerla,” diventa la loro specialità. Di politici, insomma, se ne sono visti pochi
…..
di questo aspetto, cioè la differenza tra scienziato ed esperto, ne parla bene Donatella DI Cesare nel libro Virus sovrano: capitalismo asfittico