Sciopero delle donne tra 15 giorni
Nel rammentare la scadenza del 25 novembre, data dello sciopero delle donne di cui qui sotto forniamo le coordinate, pubblichiamo anche un terzo contributo di Maria G. Di Rienzo contro la violenza che, qui da noi e in ogni parte del mondo, si continua a esercitare contro le donne.
(Mauro Antonio Miglieruolo d’intesa con la redazione del blog)
Per maggiori informazioni andare ai link:
http://www.scioperodelledonne.it/
http://scioperodonne.wordpress.com/
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Si può aderire allo “sciopero” scrivendo a scioperodonne2013@gmail.com
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Libertà di Espressione
dal blog lunanuvola di Maria G. Di Rienzo
“Dopo una serie particolarmente disgustosa di minacce (provenienti da un’anonima massa di picchiatori da tastiera che desiderava stuprarmi, uccidermi e urinare su di me) ho deciso di rendere pubblici alcuni dei messaggi su Twitter ed il responso che ho avuto è stato enorme. Moltissime donne hanno cominciato a condividere le loro storie di molestie, abusi e intimidazioni.
E’ incredibile quanto tempo e quanto lavoro alcune persone siano disposte a spendere pur di tentare di punire una donna che osa avere delle ambizioni, o delle opinioni, o che meramente è presente in uno spazio pubblico. I commentatori che si lamentano della mancanza di forti voci femminili chiudono gli occhi su quanto questa storia è diventata “normale”. La maggior parte delle mattine, quando controllo la mia posta elettronica, Twitter e Facebook, sono costretta a navigare fra minacce di violenza, speculazioni sulle mie preferenze sessuali e sull’odore dei miei genitali, nonché fra i tentativi di cancellare qualsiasi idea diversa con la dichiarazione che – visto quanto poco attraenti siamo io e le mie amiche – qualsiasi cosa noi si abbia da dire è irrilevante.
L’implicazione che una donna debba essere sessualmente attraente per essere presa in considerazione non è nuova: internet, tuttavia, ha reso più facile per i ragazzi fare i bulli nelle loro camerette solitarie. E non sono solo giornaliste, blogger e attiviste ad essere prese di mira. Dalle donne d’affari alle studentesse che postano i loro video-diari, ci sono state e sono in corso innumerevoli campagne di intimidazione create per cacciarle fuori da internet, da gente convinta che l’unico uso che una donna può fare della moderna tecnologia è mostrare le tette a pagamento.” Così Laurie Penny, giovane scrittrice, giornalista ed attivista femminista inglese, scriveva un paio di anni fa.
Alla Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, sta capitando la stessa cosa. Minacce di morte, di stupro, di sodomia, di tortura, fotomontaggi del suo volto su corpi sgozzati o violentati. I giornali parlano di migliaia di messaggi di questo tenore. Boldrini dichiara: “… non è una questione che riguarda solo me. Ci sono due temi di cui dobbiamo parlare a viso aperto. Il primo è che quando una donna riveste incarichi pubblici si scatena contro
di lei l’aggressione sessista: che sia apparentemente innocua, semplice gossip, o violenta, assume sempre la forma di minaccia sessuale, usa un lessico che parla di umiliazioni e di sottomissioni. E questa davvero è una questione grande, diffusa, collettiva. Non bisogna più aver paura di dire che è una cultura sotterranea in qualche forma condivisa. Io dico: un’emergenza, in Italia. Perché le donne muoiono per mano degli uomini ogni giorno, ed è in fondo considerata sempre una fatalità, un incidente, un raptus. Se questo accade è anche – non solo, ma anche – perché chi poteva farlo non ha mai sollevato con vigore il tema al livello più alto, quello istituzionale. Dunque facciamolo, finalmente. (…) So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela. Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web. Me lo domando, chiedo che si apra una discussione serena e seria. Se il web è vita reale, e lo è, se produce effetti reali, e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada”. Apriti cielo. Una donna intelligente e capace, che come troppe altre sta subendo un’aggressione disgustosa, ha detto cose intelligenti e condivisibili. Allora che si fa? Si apre con la doverosa presa di distanza dalla violenza in uno sproloquio pseudo-solidale (è un obbligo di cortesia, chi la fa non sa nel 99% dei casi di che accidenti sta parlando), poi si parte in quarta a difendere la libertà di espressione degli aggressori. Per dire a Boldrini di non menarla tanto e di ingoiare la spazzatura con un sorriso, si sono scomodati il primo emendamento alla Costituzione statunitense, le opinioni dei “congressmen” su Al Qaida (se tengono aperti i loro siti sappiamo di più su di loro) e la solita solfa del “se gli chiudi la pagina poi la riaprono” e “non diamo visibilità a una minoranza di imbecilli”. In più, è stata chiamata a rispondere di tutto quel che non ha fatto e non ha detto, e cioè dei commenti dei giornalisti e dei titoli dati dai caporedattori. Ah, e non dimentichiamo che in tutto il mondo la garanzia della libertà di internet non è in discussione blah blah blah solo noi in quest’Italia bigotta blah blah blah e postare un fotomontaggio di uno stupro non ha nessun effetto sull’azione reale blah blah blah e per 32 donne uccise muoiono 68 uomini (già, di vecchiaia, di cancro, di incidente stradale o suicidi dopo aver accoppato la moglie, ma nessuno viene ucciso perché maschio: cosa c’entra? Da dove viene ‘sta statistica del menga? Eh, dovete chiederlo a chi ha commentato con il 32/68 non a me.) blah blah blah.
Allora: in tutto il mondo il problema della violenza di genere online invece se lo stanno ponendo. Potete verificarlo su http://www.genderit.org/ oppure su http://www.internetdemocracy.in/
Metto solo due indirizzi perché non voglio privare nessuno del piacere di impegnarsi come mi impegno io quando voglio verificare una notizia o dei dati. Non dimenticate di contattare le persone di riferimento, di verificare la situazione con le vostre amiche-parenti-conoscenti, di dare un’occhiata ai documenti in rete e nelle biblioteche o librerie. Per esempio, sugli “effetti dell’esposizione a lungo termine a rappresentazioni violente e sessualmente degradanti delle donne” potete proprio andarvi a cercare: Effects of long-term exposure to violent and sexually degrading depictions of women, di Linz D.G., Donnerstein E., Penrod S. – Communication Studies Program, University of California, Santa Barbara. Ecco, nei mitici Stati Uniti del primo emendamento si fa anche questo. Potete anche provare con “The Offensive Internet: Speech, Privacy, and Reputation”, di Saul Levmore e Martha C. Nussbaum. Riassuntino: ha effetto l’esposizione ecc.? Purtroppo sì. Desensibilizza. Proprio come il mero linguaggio violento. Rende cioè gli individui meno inclini ad aver simpatia per chi subisce violenza e a sentirsi legittimati (così fan tutti) qualora decidano di agire violenza loro stessi. Alcuni finiscono persino per dover maneggiare il quinto emendamento, sapete, quello che si sente a iosa nei film polizieschi: ha il diritto di avere un avvocato e di restare in silenzio, ma tutto quello che dirà potrà essere usato in tribunale contro di lei. Che peccato, però, quando questo accade la vittima di sesso femminile è già stata violentata, picchiata e/o uccisa. Pazienza, l’importante è che il suo aggressore sia stato libero di esprimersi con lei come desiderava. Qualsiasi altro scenario è bieca censura.
Seguitemi un attimo. Quando una donna esce per strada le molestie diventano prima o poi parte della sua esperienza, perché si trova in uno spazio pubblico e per troppi farabutti lo spazio pubblico non è (non deve essere) accogliente per le donne, non è il loro spazio. Quel che capita ad una donna per strada lei se lo va a cercare, sostengono i farabutti, semplicemente non doveva essere là. Il che equivale a dire ad ogni molestatore o stupratore o assassino che quel che lui fa è ok. E’ titolato a farlo. La violenza è normale, inevitabile, levatrice della storia, e la rivoluzione non è un pranzo di gala. Vogliamo chiudere le strade per questo? Che le donne stiano a casa. Allo stesso modo se una donna esprime opinioni sul web la valanga di insulti, minacce e molestie che riceve se la va a cercare, vero o no? Ha una voce, quella voce ha un genere (femmina) e quel genere non è benvenuto. Vogliamo prendercela con internet per questo? Che le donne stiano offline. Ed è proprio quel che fanno, in strada e online. Restringono il proprio spazio, mutano percorsi, cercano di essere invisibili e chiudono account e cancellano siti e cambiano e-mail. Ma in molti sono assai più preoccupati della libertà di espressione di chi le terrorizza. Impedire a qualcuno di investire le donne con messaggi che annunciano loro morte e stupro, con loro immagini ritoccate per diventare pornografiche o la rappresentazione di un bel pestaggio, con minacce ai loro familiari ed amici, o dispiegando in pubblico i loro dati sensibili, è insopportabile censura. D’altronde, si tratta solo di maleducazione. Non tutti usano la netiquette, spiegano i difensori dei farabutti a Laura Boldrini e a centinaia di migliaia di altre, come non tutti sono educati in piazza o al bar. Non possiamo mica toccare piazze e bar perché qualcuno è scortese. Come se le minacce dirette ad esempio a Boldrini (“ti devono linciare, puttana”, “abiti a 30 chilometri da casa mia, giuro che vengo a trovarti”, “ti ammanetto, ti chiudo in una stanza buia e ti uso come orinatoio, morirai affogata”, “gli immigrati mettiteli nel letto, troia”) fossero davvero semplici atti di maleducazione, tipo il ruttare davanti al bancone o far la pipì su un lampione.
Gli uomini si scambiano online insulti feroci e cretini al massimo grado, eventualmente possono arrivare ad augurarsi reciprocamente lo stupro, anche se è davvero raro, più spesso si accusano l’un l’altro di omosessualità, ma nessuno di loro vive la propria vita con la spada di Damocle della violenza domestica e/o sessuale appesa sulla testa. Noi donne sì. Tutte. Bambine, ragazze, adulte, anziane. Stupende, passabili, brutte come il peccato. Di destra, di sinistra, di centro, apolitiche, agnostiche, credenti, atee, italiane o straniere, indigene o migranti. Non fa differenza. In tutte le categorie che ho menzionato trovate vittime di stupri e molestie. Cari difensori della libertà di espressione dei nostri aguzzini, preoccuparci che possa accadere a noi stesse, alle nostre madri o alle nostre figlie o alle nostre sorelle o alle nostre amiche, per noi donne è quotidiano. Il fatto che sia usuale non significa che sia normale. Non significa che sia giusto. Non significa che noi si abbia l’obbligo di rinunciare a lottare per avere spazi sicuri, per avere ovunque quella libertà di espressione che la violenza ci nega. A cosa credete servano le campagne di denigrazione e le minacce online? A farci stare zitte. E’ censura, nobili amici. CENSURA. Sollevatevi e protestate, se non siete dei perfetti ipocriti. Maria G. Di Rienzo
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http://lunanuvola.wordpress.com/2013/05/04/liberta-di-espressione/