Scor-data: 1 novembre 2009
Muore Alda Merini
di Daniela Pia (*)
«Non sono più quella di ieri, non so come sarò domani.
Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri» (Alda Merini)
Addentrarsi nella poesia di Alda Merini è esercizio capace di dare la dimensione del cammino più arduo per giungere all’accettazione della propria fragilità. Essere donna, cercare l’amore, pensare di non meritarlo, lasciare che il dolore si trasformi in malattia, cercare la cura… hanno sprigionato in lei note solenni e amare, capaci di travalicare confini invisibili ai più. Donna dolente ironica e senza infingimenti, ha saputo rinnovarsi continuamente, assecondando l’urgenza della poesia che le sgorgava a prescindere da tutto e da tutti, forza inarrestabile che le «dittava dentro». Così lei stessa la descrive: «È una forza che nasce in me, come una gravidanza che deve essere portata a termine. Molti mi considerano la poetessa della pazzia. Ma chi si è accorto che sono la poetessa della vita?». Eppure «lei non era matta, era una creatura fatta in un momento in cui Dio semplicemente non aveva voglia delle solite donne in serie, gli era venuta la vena poetica e l’aveva creata»: così la descrive la scrittrice Milena Agus. La sua sofferenza mentale, la reclusione in manicomio furono comunque parte del cammino. «Ho parlato del manicomio perché era il luogo in cui vivevo in quel periodo». In quel non luogo, Enzo Gabrici, lo psichiatra che la seguì, aiutandola a uscire dalla follia, seppe condurla nella traversata di quel mare magnum conducendola alla guarigione. Sentirsi “umana”, degna d’attenzione e d’amore spinse la Merini a tornare alla creatività, a riconquistarsi la superficie sino a recuperate forme e spazi di “liberazione” dai fantasmi e dagli orrori. E se il cammino avvenne su pezzi di vetro, le consentì di giungere alla consapevolezza che il dolore, compreso in ogni esistenza, non si può evitare. «Se il dolore è esaltazione allora posso dire che tutto il genere umano è in questo stato e il mio dolore, il mio lutto per la morte della mia coscienza è il dolore di tutta la nostra povera comunità umana». La medicina che potesse curare quel tipo di dolore però non era contemplata fra i farmaci che le venivano somministrati: «Non ho fiducia nei medicamenti […] in questi mesi non mi sono più rallegrata […] La fede potrebbe essere molla di guarigione, ma io, per avere questa fede, dovrei sentirmi amata». Invocava l’ amore del marito, lontano e insensibile, un uomo che lei continuava ad amare profondamente «nonostante la sua ignoranza» tanto da suggerire al medico che il suo percorso, quello che l’ avrebbe condotta alla guarigione passasse attraverso la comprensione di questo suo bisogno, «Solo mio marito, con un cenno, un assenso, un atto di comprensione potrà guarirmi […]. Solo lui potrà, se vorrà, essere il mio medico, altrimenti la mia fine è già segnata. Se vuole aiutarmi (dottore) è in questo senso che deve muovere la sua abilità». Nemmeno le figlie avrebbero potuto aiutarla nel cammino, quelle figlie cui raccomandava di non dire che erano figlie di Alda Merini, la pazza. Eppure loro le rispondevano che lei era solo la loro mamma non «la pazza», e se Alda si commuoveva perché non si vergognavano di lei, l’ amore e l’accettazione che cercava erano soprattutto quella degli occhi del suo uomo, occhi che riflettevano la severità con cui essa stessa si guardava. Si riprese la sua vita la poetessa dei navigli, le cicatrici le segnavano l’esistenza ma ne fecero – con punte più o meno alte – una delle rappresentazioni più strazianti e totalizzanti del panorama poetico del secondo Novecento.
Se ne andò il 1° novembre 2009 all’ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore, senza aver mai lasciato di fumare le sue inseparabili sigarette, incurante dei divieti. Non era un mistero che i divieti non fossero mai riusciti a frenare il suo desiderio di ardere nella brace della vita.
Prima che si concluda
Prima che si concluda questo amore
lascia che io ringrazi il mio destino
per il bene assoluto che m’ha dato,
per la fame dei sensi, per l’arsura
che mi ha preso alla gola. Prima di andare
lascia che ti riporti sul cammino
dove giungesti o mio sanato amore
così divino e immobile e lontano
ch’io non oso toccarti. Addio, mai Nume
fu più profondo e grande , mai d’altezze
tali giunsi al confine. Addio mio inganno
(Alda Merini, 2008)
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)
cara daniela,
ho conosciuto alda merini a parma, molti anni fa, ad un festival di poesia (pure di certi performance che da non poeta e da non acrobata non riesco a capire neppur nel 21 secolo). poi, siamo stati insieme un’altra volta, non ricordo più dove. no, non mi vanto di dire “amica alda”, non credo che si ricordava di me. volevo dire solo che, dal vicino, dal suo volto, dalla sua voce e da ogni gesto usciva un’energia positiva, un’energia rivelatrice delle cose ma spietata verso il nostro mondo dei non veri, dei non autentici, dei voltagabanna, dei… vonde, direbbero friulani..
Grazie Bozidar, per il tuo ricordo .