Scor-data: 10 agosto 1974

Il battesimo di sangue di frei Tito Alencar da Lima, vittima della dittatura brasiliana

di David Lifodi (*)  

Torturato, esiliato e martire, frei Tito Alencar da Lima rappresenta una delle figure simbolo della resistenza  dei frati domenicani contro la dittatura militare brasiliana. I suoi aguzzini gli avevano promesso che se non avesse parlato e fatto i nomi dei suoi compagni, per lui si sarebbero spalancate le porte dell’inferno: frei Tito non disse mai una parola ma, una volta fuori dal carcere, era perseguitato costantemente dagli incubi dei suoi torturatori. Si suicidò quando non aveva ancora compiuto trenta anni impiccandosi con una fune ad un albero: era il 10 agosto 1974.

La drammatica storia di frei Tito permette sia di fare luce sulla ferocia della giunta militare brasiliane (al potere dal 1964 al 1985), ritenuta erroneamente soft rispetto ai macellai di Cile, Argentina, Bolivia e Guatemala, sia di analizzare l’importante ruolo svolto dai frati domenicani nel risveglio delle masse popolari oppresse dal regime. Frei Tito visse quel battesimo di sangue che poi è stato il titolo di uno dei più celebri libri di Frei Betto, già consigliere di Lula e anch’esso passato per le carceri brasiliane. Religiosi e rivoluzionari si trovarono dalla stessa parte della barricata quando le chiese e i conventi cominciarono ad offrire ospitalità agli oppositori politici. Fu nel Convento di Perdizes (San Paolo) che frei Tito entrò in contatto con la rete clandestina di appoggio ai militanti politici, fra cui Carlos Marighella, lo storico leader comunista dell’organizzazione guerrigliera Açao Libertadora Nacional (Aln), un incubo per i militari, che riuscirono ad ucciderlo il 4 novembre 1969. Frei Tito fu fatto prigioniero una prima volta nel 1968: aveva contribuito ad organizzare il congresso clandestino dell’União Nacional dos Estudantes e già il regime sospettava che facesse parte del gruppo incaricato di coprire Carlos Marighella. La passione del frate domenicano ebbe inizio nel carcere di Tiradentes (San Paolo), dove fu portato il 4 novembre 1969 con l’accusa di “sovversione”, dal Departamento de Ordem Política e Social (Dops), una sorta di polizia politica della dittatura. I militari sapevano tutto: erano a conoscenza che i frati del convento di Perdizes avevano trasformato quel luogo in una base di appoggio della sinistra rivoluzionaria e per questo lo occuparono arrestando gran parte dei religiosi. Lo stesso Frei Betto, che non era presente al momento dell’irruzione, fu arrestato pochi giorni dopo a Porto Alegre. Frei Tito divenne la vittima preferita del direttore del Dops, Sérgio Paranhos Fleury, e del capitano Benone de Arruda Albernaz. Il carcere era durissimo, con torture psicologiche e fisiche, tanto che un giorno del 1970 frei Tito cercò di suicidarsi tagliandosi le vene dei polsi: a salvarlo furono i suoi stessi aguzzini, che cercarono fino all’ultimo di estorcergli informazioni sul movimento rivoluzionario (“quest’uomo ci serve”, urlavano disperati) e di fargli del male per puro sadismo. Durante la sua prigionia frei Tito fu torturato per tre giorni consecutivi: lo vestirono con i paramenti consacrati e, ad ogni sua risposta negativa alle domande sui “sacerdoti terroristi” di San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte, gli aprirono la bocca per ricevere “l’ostia consacrata”: scariche elettriche nella bocca. I militari volevano che frei Tito confessasse assalti alle banche (mai compiuti) con altri confratelli: provarono a fargli firmare una dichiarazione di colpevolezza, ma non cedette.  “Le torture e le persecuzioni non avrebbero impedito l’avvento del socialismo”, amava ripetere, nonostante il capitano Albernaz dicesse ad ogni seduta di tortura che lui non aveva alcun problema ad uccidere un “terrorista”. E ancora: sigarette spente sul suo corpo, sessioni al pau do arara (una barra di ferro su cui veniva appeso a vari metri dal suolo con le caviglie legate ai polsi affinché non circolasse più sangue), staffilate alle mani, scosse elettriche alla testa. Frei Betto ricorda che Albernaz profetizzò: “Se non parli ti spezziamo dentro. Se sopravviverai non dimenticherai mai il prezzo del tuo coraggio”. La liberazione dal carcere per frei Tito arrivò nel dicembre 1970: i guerriglieri della Vanguarda Popular Revolucionária (Vpr) sequestrarono l’ambasciatore svizzero Giovanni Enrico Bucher e per liberarlo chiesero in cambio che a settanta prigionieri politici, fra cui frei Tito, fosse concesso di uscire di prigione. Il frate domenicano sembrava finalmente al sicuro, ma, proprio come gli aveva ricordato Albernaz, frei Tito venne perseguitato dagli incubi delle torture per il resto dei suoi giorni. Il frate domenicano cercò rifugio presso il Pio Collegio Brasiliano di Roma, che lo ritenne persona non gradita per la sua fama di “terrorista”. Precedentemente era stato in Cile, dove aveva partecipato al secondo incontro latinoamericano di commemorazione del sacerdote-guerrigliero colombiano Camilo Torres ed era stato accolto come un eroe che aveva resistito alle sevizie più atroci, ma in quella circostanza, con estrema modestia, frei Tito sottolineò come ciò che era accaduto a lui fosse la regola e molto rari i casi dei prigionieri politici brasiliani non sottoposti alle torture. Durante il Natale del 1973 le sue condizioni psicologiche peggiorarono sensibilmente: la sorella Nildes, che era andata trovarlo, aveva notato in lui una crescente depressione. Nel frattempo, frei Tito si era trasferito in Francia, dove era stato accolto nel convento domenicano di Saint Jacques di Parigi, ma i quattordici mesi di prigionia lo avevano distrutto: era perseguitato dalle allucinazioni e vedeva ovunque il direttore del Dops, Sérgio Paranhos Fleury, che minacciava di torturarlo di nuovo e di uccidere i suoi familiari. Si trasferì nel convento de l’Arbresle, poco distante da Lione, e lì decise di lavorare la terra per guadagnarsi da vivere stabilendosi in un alberghetto per immigrati: i medici gli avevano consigliato di sospendere gli studi e dedicarsi a lavori di tipo manuale, ma anche questo tentativo di risollevarlo era andato a vuoto. Le figure di Fleury e Albernaz ormai non uscivano più dalla sua mente: “è meglio morire che perdere la vita”, annotò poco prima di suicidarsi, riferendosi alle torture degli aguzzini che di fatto ne avevano distrutto la sua esistenza. Scrisse Frei Betto: “I sotterranei della dittatura non offrivano alternative. Il prezzo del silenzio aveva lacerato la sua struttura psichica. La sua preghiera cessò, l’utopia si spense, solo la poesia gli restò come rifugio”. In spregio alla pietà umana, la dittatura brasiliana si accanì su frei Tito anche da morto: solo il 25 marzo 1983 fu concesso alla salma del frate domenicano di tornare in patria da quel 10 agosto 1974, il giorno in cui era avvenuto il suicidio. Il corpo di frei Tito fu accolto nella cattedrale di San Paolo da una messa solenne officiata dal cardinale Paulo Evaristo Arns, una delle voci più lucide, impegnate e militanti della chiesa di base brasiliana. Adesso frei Tito riposa a Fortaleza, sua città natale.

Sono molte le opere, i libri, le poesie dedicati a frei Tito,  ma l’agenzia di notizie Adital (Agencia de Información Fray Tito para América Latina) rappresenta uno degli esempi più autorevoli nel campo del giornalismo sociale per l’attenzione rivolta alla democrazia dei mezzi di comunicazione, ed è quella che prosegue il lavoro e le idee di frei Tito nel solco dell’impegno civile a fianco di tutte le persone che lottano in difesa della vita e della dignità umana.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Ma qualche volta ci sono argomrenti più leggeri che… ogni tanto sorridere non fa male.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 19 agosto fra l’altro avevo ipotizzato: l’arresto di Sigismondo Arquer (1563); la strage nazista a piazzale Loreto (1944); una spettacolare operazione di Greenpeace (1983).E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

 

Redazione
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Un commento

  • Ringrazio chi ha condiviso questa testimonianza evangelica ……Sono dalla parte dei poveri e di chi ha dato e dà la vita per la giustizia vissuta e proclamata da Gesù. Nel mio piccolo e molto modestamente ho cercato e sto cercando di farlo anch’io. Ancora grazie.

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