Scor-data: 10 luglio 1976

Una nube tossica si sprigiona dall’ Icmesa di Seveso.

di Daniele Biacchessi  (tratto da:  La fabbrica dei profumi  Baldini Castoldi Dalai, 1995), con nota finale di Alexik.

seveso_diossinaSabato 10 luglio 1976.

Sono le 12,37. Una nube preme forte verso l’alto, accompagnata da un sibilo violento che rompe quel silenzio d’estate. Proviene dall’Icmesa, una fabbrica chimica posta tra la ferrovia del Gottardo e la superstrada Milano-Meda, non lontano da Seveso.

Un fischio acuto, assordante,giunge dal reparto B dove si produce il triclorofenolo, un composto chimico che serve per la produzione di cosmetici e disinfettanti ospedalieri.

La reazione esotermica spinge la temperatura tra i 350 e i 500 gradi e disintegra la valvola di sicurezza del reattore. Gli operai addetti alla manutenzione degli impianti fuggono soffocati dal fumo acre. Uno di loro, Carlo Galante, entra nella zona del reattore cinque minuti dopo lo scoppio, apre la valvola di raffreddamento ad acqua. Quello di Galante è un gesto di grande coraggio che impedisce una strage.

Una nuvola enorme incombe sopra Seveso e una leggera brezza la trascina in tutto il Nord Italia. Tutti quella mattina la possono osservare ma pochi, pochissimi sanno cosa contiene.

Ci sono catastrofi che non fanno rumore, non spargono sangue, non spezzano vetri, né innalzano macerie. La catastrofe di Seveso è una di quelle.

Gli abitanti della zona le hanno dato un nome: fabbrica dei profumi.

Lo stabilimento dell’Icmesa viene costruito nel 1945 su nulla osta del Comando Alleato. E’ una azienda chimica controllata dalla Givaudan, consociata alla multinazionale farmaceutica Hoffmann La Roche.

Avete presente il gioco delle scatole cinesi? Ogni scatola ha una dimensione maggiore dell’altra, contiene la più piccola…e la protegge.

Ognuna è dipendente e autonoma dall’altra.

Se succede qualcosa di spiacevole….ne è responsabile.

Icmesa, Givaudan, Hoffmann La Roche.

E allora compiamo un salto nel passato.

Svizzera, fine dell’Ottocento. Fritz Hoffmann, 28 anni, proviene da una famiglia di mercanti di Basilea. Nel 1898 sposa la ricca Adele La Roche ed entra in possesso del suo patrimonio. La sua è un’idea geniale: produrre farmaci confezionati e pronti all’uso, non materie prime. Inventa la sua prima specialità: lo sciroppo per tosse Thiocal. Poi arriva il Digalen, iniettabile per il cuore. Negli anni il gruppo diventa sempre più potente. Realizza farmaci famosi come il Valium.

Ma la sua forza è finanziaria. Solo i fondatori detengono il potere.

La concorrenza è impotente, vince il regime di monopolio.

Ma il gioco dura poco e la Hoffmann La Roche, poco prima del disastro di Seveso, si trova sotto inchiesta internazionale.

Icmesa, Givaudan, Hoffmann La Roche…teniamoli a mente questi nomi

Qualcuno li ha chiamati i giorni del silenzio.

Dal 10 luglio 1976, in molti sanno cosa è accaduto nel reattore B dell’Icmesa.

Le forze dell’ordine, il Governo, i servizi segreti.

In molti.

Tranne i cittadini.

Sabato 10 luglio.

Poche ore dall’incidente.

L’operaio Galante telefona al dottor Barni. Riferisce ciò che é avvenuto nel reparto B dell’Icmesa.

<<Fatevi la doccia e andatevene a casa>>, consiglia Barni.

Gli operai eseguono l’ordine senza discutere.

Loro non sanno nulla di chimica.

Conoscono solo la formula della miscela e si limitano ad applicare le disposizioni dell’azienda.

Il dottor Barni chiama i Carabinieri di Meda.

Gli abitanti della zona avvertono i primi malesseri.

E intorno, i polmoni degli animali esplodono.

Domenica 11 luglio.

Le cinque del pomeriggio.

Il suono del telefono disturba la tranquillità nella casa di Francesco Rocca, sindaco di Seveso.

Il vice ufficiale sanitario gli anticipa la visita improvvisa di due dirigenti dell’Icmesa.

“Hanno parlato di uno scoppio di un reattore dal quale è uscito qualcosa come un diserbante, vogliono avvertire gli abitanti delle case intorno all’Icmesa… “

I dottori Barni e Paoletti, il direttore dell’Icmesa,si precipitano a casa del sindaco Rocca.

Paoletti spiega che il triclorofenolo è un prodotto chimico utilizzato come diserbante e lo si può trovare in drogheria.

Racconta di una reazione incontrollata nel reattore che ha fatto alzare temperatura e pressione fino aprovocare lo scoppio della valvola di sicurezza.

“Sa, noi produciamo triclorofenolo,, ma ciò che è uscito non possiamo saperlo, perché a temperature superiori la sostanza può dare origine ad altri prodotti…”

Solo a quel punto il sindaco Rocca si ricorda di un particolare.

“Ma l’Icmesa è a Meda: bisogna avvertire il sindaco del paese, avvisare le famiglie che vivono lì intorno.”

Sindaco e carabinieri di Meda vengono avvisati 27 ore dopo la fuoriuscita della nube.

Ma Barni e Paoletti dell’Icmesa non fanno riferimento alla probabile fuoriuscita di “altri prodotti” e alla gravità delle conseguenze.

“Si è formata solo una nube di erbicidi”, diranno.

Lunedì 12 luglio.

L’Icmesa scrive una lettera all’ufficiale sanitario di Seveso, il dott. Uberti.

“Non siamo in grado di dare una spiegazione plausibile di cosa possa essere accaduto. Avvertite gli abitanti delle case situate intorno alla fabbrica, di non toccare frutta e ortaggi:”

In molti sono a conoscenza di ciò che è accaduto all’Icmesa.

Ma l’Icmesa sembra ignorare ogni cosa.

Così gli operai tornano al lavoro.

Chiedono di essere informati.

Viene sospesa la riunione mensile tra proprietà e consiglio di fabbrica.

Martedì 13 luglio

La direzione dell’Icmesa riceve il consiglio di fabbrica. E’ una riunione di soli dieci minuti.

Non si parla di rischi.

Gli operai iniziano una loro indagine.

Vogliono conoscere gli effetti della diossina.

Mercoledì 14 luglio

Si effettuano prelievi di erbe e piante.

Il materiale inquinato raccolto dai tecnici dell’Icmesa giunge nei laboratori di Zurigo.

E in serata i tecnici di laboratorio della Givaudan La Roche, già conoscono la quantità di diossina uscita dal reattore.

I referti delle analisi che mostrano in pubblico parlano di una fuoriuscita di soli 300 grammi di diossina. Ma sarà vero?

Giovedì 15 luglio

Riunione generale al municipio di Seveso.

C’è il sindaco di Meda.

Ci sono i dirigenti dell’Icmesa ed il dott. Uberti, l’ufficiale sanitario di Seveso.

Viene ipotizzata l’immediata evacuazione.

I sindaci sono d’accordo.

Il viceprefetto di Milano sarebbe già pronto.

Ma i dirigenti dell’Icmesa non fanno cenno ai 300 grammi di diossina.

I carabinieri di Meda, di propria iniziativa, inviano un fonogramma al pretore di Desio.

<<La nube si è formata a causa della rottura del disco di sicurezza del reattore. L’ufficiale sanitario di Seveso, il dott. Uberti, dopo un accurato controllo, ha dichiarato che la nube di vapore aveva raggiunto i 40 metri di altezza.>>

Intorno all’Icmesa, gli animali muoiono.

13 bambini vengono ricoverati.

Il volto di due bambine di Seveso, le sorelle Senno, sarà sfigurato dalla cloracne. La loro fotografia, giorni dopo, farà il giro del mondo e diventerà l’immagine di quella catastrofe.

Altre 44 persone vengono sottoposte ad urgenti cure mediche.

Venerdì 16 luglio

Gli operai bloccano la fabbrica.

Chiedono chiarezza, chiedono di conoscere la verità sulla contaminazione.

In serata le amministrazioni di Meda e Seveso emettono un’ordinanza.

Divieto di avvicinarsi ad ortaggi e animali.

Mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti usando acqua potabile come detergente.

Ma, attenzione, la diossina non è solubile, non si scioglie nell’acqua come lo zucchero.

Lo scrivono tecnici inglesi, americani e vietnamiti, lo sostengono importanti riviste scientifiche.

E poi…E poi c’è un precedente.

L’incidente del 1968 alla Dow Chemical di Bolsover in Gran Bretagna. Anche in quel caso si verificò la rottura di una valvola di sicurezza e la fuoriuscita di diossina

I sindaci decidono la recinzione della zona, i cartelli segnalano l’inquinamento.

Il dott. Uberti autorizza l’accesso di squadre di operai dell’Icmesa per incenerire il materiale contaminato.

Gli operai si rifiutano.

Viene così evitato un ulteriore disastro.

Sabato 17 luglio, sette giorni dopo.

Giungono i referti delle analisi.

Solo ora si presenta l’ipotesi di una possibile formazione di quantità di rilievo di 2.3.7.8. tetracloroparabenzodiossina, Tcdd.

Domenica 18 luglio.

Ai responsabili dell’Icmesa viene contestata l’ipotesi di inquinamento da diossina.

Viene ordinata la chiusura dei reparti produttivi.

Vengono messi i sigilli alle porte di accesso del reparto B e finalmente il direttore del reparto chimico dell’Icmesa ammette la presenza di diossina.

Il sindaco di Seveso ordina alla popolazione di non ingerire prodotti di origine animale provenienti dalla zona infestata.

Martedì 20 luglio

L’ispettorato provinciale del lavoro, tramite il capo servizio chimico,il dott. Riboldi, procede agli accertamenti, ma trova i sigilli sulle porte del reparto B.

Non si può passare.

La visita è concitata. Riboldi contesta all’Icmesa la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Comprende l’entità del disastro.

Ribaldi informa l’assessore regionale alla sanità, Rivolta, del suo sopralluogo.

Mercoledì 21 luglio

Il pretore di Desio emette il mandato provvisorio di arresto a carico di Herwig von Zwel, responsabile tecnico dell’Icmesa e Paolo Paoletti, direttore di produzione.

L’imputazione é disastro colposo.

E giungono le prime ammissioni di Zwel e Paoletti: con il procedimento chimico per la produzione del triclorofenolo vi era la possibilità che si determinasse Tccd, però il sistema era collaudato.

Ma all’Icmesa c’è penuria di strumenti e assenza totale di dispositivi di allarme di sicurezza.

Il reattore è sprovvisto di una registrazione continua di temperatura.

C’è solo un manometro indicatore della pressione.

Intanto in municipio a Seveso, si tiene un incontro riservato.

S riuniscono il sindaco Rocca, l’assessore regionale Rivolta e le autorità sanitarie.

Ormai niente può essere tenuto nascosto.

A 11 giorni dal disastro viene costituita una commissione di esperti.

I comuni di Cesano Maderno e Desio adottano provvedimenti analoghi a quelli di Seveso e Meda.

La Regione Lombardia emette il primo comunicato ufficiale, ordina disinfezioni e disinfestazioni.

La situazione precipita.

I giornalisti vogliono sapere, vogliono informare l’opinione pubblica.

L’assessore alla sanità Rivolta tiene la prima conferenza stampa.

“Assessore, c’è la possibilità che il fiume Certesa che corre parallelo alla fabbrica dell’Icmesa, sia rimasto inquinato?”

“Escludo nel modo più categorico questa possibilità.”

Giovedì 22 luglio

Inizia il censimento degli animali.

Vengono inviati in colonia 80 bambini.

Il consiglio regionale si riunisce e le opposizioni vogliono sapere cosa è successo realmente.

Giunge un comunicato della Prefettura:

“Non esiste in atto alcuna nube di gas tossico e non risulta accertata l’estensione oltre i comuni di Seveso e Meda”.

Venerdì 23 luglio

Giunge un altro fax della prefettura.

“Gli esperti universitari hannosottolineato che non sono da ritenersi necessarie o impellenti altre misure.”

L’amministratore delegato della Givaudan-La Roche, dichiara al Corriere della Sera:

”Solo mercoledì 14 luglio siamo venutia conoscenza che nel 1968 vi fu un’esplosione simile a quella avvenuta a Meda”.

Sabato 24 luglio

Le autorità sono al lavoro.

Carta topografica alla mano, matite e righelli, è il sindaco di Seveso a parlare:

“Esimi colleghi, su questa planimetria abbiamo individuato due zone a rischio: l’area “San Pietro”, che denomineremo zona A, di cui disponiamo l’immediata evacuazione e una vasta area a sud dell’Icmesa che denomineremo zona B.”

La Givaudan- La Roche parla di una generica contaminazione, ma qualcuno si ribella davvero.

E’ Laura Conti, consigliere regionale del Pci.

Lei in quei giorni, è molto vicina agli abitanti di Meda e Seveso.

Porta il suo sostegno, parla con la gente, cerca una verità e lavora affinché le persone non si sentano abbandonate.

Quattordici giorni di silenzio e di omissioni.

Per coprire che cosa?

La zona del disastro, circondata da filo spinato, è protetta da 6 posti di blocco.

Ma la zona è enorme ed è impossibile impedire che qualcuno possa entrare per manipolare prove importanti.

Chi sono quei personaggi misteriosi che cercano prove, informazioni nella zona contaminata?

Chi sono…….

Avete presente cos’è un grammo di diossina?

Polvere, polvere invisibile.

Nel reparto B dell’Icmesa si produce il triclorofenolo.

Si rompe la valvola di sicurezza e la temperatura sale tra i 350 e i 500 gradi.

E allora..cosa succede al triclorofenolo quando la temperatura raggiunge questi livelli così elevati?

Succede che….si trasforma.

Il 10 luglio 1976, all’ Icmesa si è formata la diossina più tossica tra quelle conosciute nella chimica.

TETRACLORODIBENZOP-DIOSSINA

TCDD

Le sue proprietà sono devastanti, i danni sono irreversibili.

Una sostanza che danneggia tessuti grassi, fegato, reni, sistema cardiocircolatorio e nervoso centrale.

La Tcdd è cancerogena ed ha proprietà mutagene.

Interviene sul corredo cromosomico degli individui e sui feti, diminuisce la fertilità e la capacità riproduttiva, produce difetti alla nascita e danni embrionali. Influisce sul patrimonio immunitario degli individui.

Un solo grammo di diossina può contaminare migliaia di persone.

La diossina è ancora lì, nel reattore dell’Icmesa.

Bisogna smaltirla.

Subito e…..in silenzio.

L’operazione è guidata da Luigi Noè, vicepresidente dell’Enea e responsabile dell’ufficio speciale di Seveso.

Con lui lavorano gli uomini della Mannesmann, alla quale la Givaudan affida l’incarico di trasferire la diossina.

A questo punto della storia, compare in scena il vero protagonista di questa tragica messinscena.

Bernard Paringaux.

Lui è francese.

Si occupa da tredici anni di eliminazione e distruzione di rifiuti industriali.

Conosce bene le industrie europee che operano nel settore, le disposizioni legislative di ogni stato.

Ma lui è legato ai servizi segreti.

Paringaux deve ora cercare una soluzione immediata.

Perché il tempo…… stringe.

Novembre 1981.

Paringaux giunge in Italia di nascosto per studiare il problema.

Si aggira in incognito nei pressi di Meda e Seveso.

Poi entra all’Icmesa e verifica i materiali inquinati che dovrà far sparire.

Torna in Francia e prepara un progetto che propone alla Mannesmann.

Noè e i vertici della Givaudan sono al corrente del piano di Paringaux.

Per non sbagliare viene redatto uno studio di fattibilità il 3 maggio 1982.

Il progetto di Paringaux viene approvato dallo studio Wadir e timbrato dalla Mannesmann.

Tutto secondo le regole internazionali.

Nulla di illegale.

Qui, proprio qui, inizia il viaggio dei fusti.

10 settembre 1982.

Le 6 del mattino.

All’Icmesa arriva un camion.

Operai in tuta bianca e mascherine protettive caricano 41 fusti.

Il contenuto è descritto nelle bolle di accompagnamento:

“ 150 tonnellate di residui solidi e scarti industriali contenenti prodotti aromatici clorurati come Tcdd, Tcdf e Tcb provenienti da Meda”.

Luigi Noè guida la spedizione.

Verso la frontiera di Ventimiglia.

Nel tardo pomeriggio l’operazione è conclusa.

I fusti sono ora nelle mani di Paringaux.

Pochi giorni dopo.

Paringaux comunica di aver sistemato i fusti in un magazzino in Francia.

Intende trasferirli in una discarica controllata in Europa.

19 maggio 1983. La Hoffmann La Roche mostra fusti ad Anguicort-Le Sart vicino a San Quentin in Francia

Due anni dopo a Basilea la Hoffmann La Roche smaltisce i 41 fusti davanti alle telecamere e alla stampa di tutto il mondo.

Ma c’è qualcosa di strano.

I fusti, come gli uomini, dimagriscono e ingrassano.

Sembra incredibile ma è andata proprio così.

Al momento della partenza, i fusti hanno un diametro di 60 centimetri e pesano complessivamente6 tonnellate e mezzo.

Paringaux li fa trovare a Basilea e ….sono più piccoli e più pesanti.

Il loro diametro misura 56,5 centimetri.

3 centimetri e mezzo in meno.

Dei nani.

Ma Paringaux è un vero prestigiatore.

I 41 fusti vengono pesati e…..sono ingrassati di 20 quintali.

Com’è possibile?

Per comprendere cosa è accaduto compiamo un passo indietro.

30 agosto 1982.

Riunione straordinaria in Regione.

Sul tavolo sono seduti Luigi Noé, dirigenti dell’Icmesa e della mannesman e naturalmente il prestigiatore Paringaux..

C’è una piccola variazione al progetto iniziale.

Dice Bernard Paringaux:

“Mi chiesero di anticipare i tempi, eseguire un primo prelevamento…avevano fretta, bisognava fare presto…”

Poi preciserà meglio davanti alla commissione di inchiesta regionale su Seveso.

“Dovevo anticipare i tempi, avevano fretta…”

9 settembre 1982, un giorno prima del viaggio verso la frontiera di Ventimiglia.

Le 6 del pomeriggio.

Paringaux arriva all’Icmesa e carica 82 fusti, 41 con le scorie di Seveso, 41 con rifiuti innocui.

I fusti falsi prendono la strada per San Quentin in Francia dove ha sede una ditta di Paringaux, mentre i fusti veri, quelli che nascondono diossina, proseguono il viaggio, attraversano la Francia, la Germania Ovest, e terminano la loro corsa nella discarica di Schomberg, Germania dell’Est.

A questo punto Paringaux trasferisce i fusti falsi ad Anguicort-Le Sart, vicino a San Quentin e aspetta.

Inzia il suo braccio di ferro.

Vuole soldi.

Finalmente, dopo qualche trattativa, giunge l’accordo.

Paringaux riceve una grossa somma di denaro ed il 19 maggio 1982 fa ritrovare i 41 fusti finti ad Anguicort-Le Sart.

Nel 1985, la Hoffmann chiude la farsa.

O meglio, crede di aver chiuso la farsa.

Perché i documenti di viaggio fanno emergere menzogne e falsità.

Per nascondere….il mistero di Seveso.

Avete presente cos’è un grammo di diossina?

Polvere, polvere invisibile.

All’Icmesa si produce tricolorofenolo, un disinfettante ospedaliero. Così almeno sostiene l’azienda.

Ma la sostanza è instabile.

Oltre i 153-156 gradi si trasforma.

Man mano che la temperatura sale produce una quantità sempre maggiore di diossina.

Nella fabbrica il manometro è bloccato sui 200 gradi. Sempre e comunque. Non scende mai sotto quella temperatura.

Vuol dire che il triclorofenolo che viene prodotto dal 1969 al 1976 all’Icmesa è sporco, inquinato di sostanze tossiche e non può essere impiegato come disinfettante ospedaliero.

Ci sono le prove.

Sono contenute nell’archivio dell’Ufficio Speciale di Seveso, nascosto dal 1976 al 1992 in un sotterraneo del Palazzo Pirelli, sede della Regione Lombardia.

Migliaia di fogli, stipati in centinaia di faldoni, ordinati in modo minuzioso, protocollati da numeri progressivi in codice e catalogati all’interno di un vecchio computer.

C’è una corrispondenza tra il direttore dell’Icmesa Paoletti e i dirigenti di Givaudan e La Roche.

Il giorno dell’incidente non sono usciti 300 grammi di diossina.

Molto di più.

Tra i 15 e i 18 chilogrammi.

L’azienda è a conoscenza dell’entità del disastro fin da sabato 10 luglio 1976.

Nei giorni successivi all’incidente, funzionari dell’esercito americano raggiungono Seveso.

Realizzano prelievi in una zona estesa.

La contaminazione è rilevante e coinvolge gran parte della Lombardia.

Poi emerge un documento inquietante siglato Nato.

Il tricolorofenolo dell’Icmesa è uno dei due componenti del cosiddetto Agent Orange, il defoliante utilizzato dall’esercito americano nella guerra del Vietnam.

Non una produzione legale, ma un’arma chimica.

Incidente fortuito oppure dovuto ad una produzione di sostanze pericolose, tossiche, destinate alla guerra chimica?

E’ il mistero che ancor oggi circonda il disastro.

Dice oggi Jorg Sambeth, direttore tecnico della Givaudan di Ginevra:

<<L’ Icmesa veniva chiamata “Dreckfabrik”, “Fabbrica sporca”, ben prima della catastrofe. Questo perché non si erano fatte le opere di sicurezza e di modernizzazione normalmente richieste, i controlli erano evitabili… così il reattore per il triclorofenolo era sprovvisto di un meccanismo di sicurezza che non facesse salire la temperatura oltre i 170°…  l’esplosione del reattore è avvenuta sabato, quando la fabbrica era ufficialmente chiusa… la produzione di una variante del triclorofenolo, che serve per l’Agente Orange é un’erbicida vietato perché usato per bombardamenti bellici, richiede una temperatura superiore a 170°>>

Sambeth ricompone i tasselli e arriva ad una conclusione.

Nella “Dreckfabrik” durante i fine settimana ci potrebbe essere stata, di nascosto da tutti, una produzione di materiale illegale, ma richiesta da più parti… per armi chimiche.

A distanza di 30 anni vi è una giustizia penale, solo parziale.

Ma la Corte di Cassazione ha dato ragione agli abitanti della zona che chiedevano di essere risarciti per danni morali e fisici. Leggo un passo dalla sentenza civile del 2002:

<<In caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo, il danno morale lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d’animo) a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loto vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all’integrità psico-fisica (danno biologico di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all’offesa all’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale».

Chi inquina non resta almeno impunito.

Trent’anni dopo Seveso le cose stanno cambiando.

Cittadini, sindacati, imprese.

La loro coscienza ambientale è maggiore.

Ma spesso manca la volontà politica.

Oggi si può e si deve fare di più.

Oggi ci sono leggi europee ed italiane che obbligano aziende e amministrazioni pubbliche ad informare le persone sui rischi ambientali.

Si chiamano Seveso 2 e Seveso 3.

Sono direttive, regole.

Valgono per tutti.

Oggi un cittadino può chiedere al proprio comune di residenza le informazioni su uno stabilimento chimico ad alto rischio ambientale insediato sul suo territorio: la produzione, le tipologie degli impianti, le misure adottate per ridurre la possibilità di incidenti.

Oggi un lavoratore può conoscere nei dettagli le misure di sicurezza e di prevenzione, i piani di emergenza interni ed esterni, le sostanze pericolose presenti nello stabilimento, materie prime, prodotti, sottoprodotti, residui.

Oggi un azienda chimica ad alto rischio ambientale dovrà rispettare le regole.

Come l’articolo 5 della Seveso 2.

<<Il gestore è tenuto a prendere tutte le misure idonee a prevenire gli incidenti rilevanti e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente, nel rispetto dei principi del presente decreto e delle normative vigenti in materia di sicurezza ed igiene del lavoro e di tutela della popolazione>>

Oggi non potranno più esserci giorni del silenzio.

Oggi basta solo..applicare le leggi.

Lo possiamo fare, è un nostro diritto.

Seveso 10 luglio 1976.

Trent’anni dopo.

Per non dimenticare

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Il reading di “La fabbrica dei profumi” si può guardare in rete qui.

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(*) Purtroppo non riesco a condividere l’ottimismo finale di Biacchessi, anche dopo le Direttive Seveso.

Chi ha pagato per tanto dolore ? La giustizia penale ha chiuso il discorso nel 1986 assolvendo il presidente dell’Icmesa Guy Waldvogell, il responsabile tecnico Giovanni Radice, e il progettista del reattore Fritz Moeri. Al sindaco di Meda, Malgrati, e all’ufficiale sanitario Ghetti erano già stati prescritti in primo grado i reati relativi ai mancati controlli. Il direttore tecnico Icmesa Herwig von Zwehl si è beccato due anni, e un anno e mezzo Jorg Sambeth, direttore tecnico della Givaudan. Non è arrivato a processo il dirigente Icmesa Paolo Poletti, ucciso da Prima Linea il 5 febbaio 1980.

Lo scorso 22 aprile la Corte di Cassazione ha definitivamente respinto le richieste risarcitorie di 326 sevesini abitanti nelle zone non bonificate. Perché se è vero che il TCDD  permane nel terreno anche per un secolo,  per la Corte non permane il reato. Gli abitanti restano gli unici veri condannati a 100 anni di diossina. (Alexik)

alexik

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