Scor-data: 11 giugno 1561

La strage dei valdesi in Calabria
ripresa da Wikipedia (*)
La strage dei Valdesi di Calabria fu perpetrata dalla fine di maggio al giugno 1561. Popolazioni di religione valdese, provenienti dalle valli piemontesi insediatesi in Calabria dal XIII secolo, vissero indisturbate fino al XVI secolo, quando iniziarono a professare apertamente la loro fede riformata. Sottoposte dall’Inquisizione a persecuzioni e a un regime di controllo repressivo, si ribellarono provocando l’intervento delle truppe spagnole del vicereame di Napoli, che fecero migliaia di vittime.
[…] La strage
Il governatore Castagneto intimò ai valdesi fuorusciti da San Sisto di fare ritorno nelle loro case e poi, l’8 maggio 1561, di presentarsi «tutti, maschi e femmine, piccioli e grandi, a Cosenza». Essi rifiutarono e, armati, si radunarono sulle alture di La Guardia, contando sull’appoggio degli abitanti del luogo. Quando due di loro, isolati, furono catturati dalle guardie, i loro compagni corsero in soccorso e nello scontro furono uccise tre guardie.
Il 20 maggio Castagneto e il vescovo Greco invitarono le donne e i bambini dei fuorusciti a tornare a San Sisto, garantendo loro l’impunità. Poi, alla testa di un migliaio di soldati, il governatore iniziò il rastrellamento dei fuggiaschi. Individuati una quarantina di loro, i soldati si lanciarono all’inseguimento al grido di «ammazza gl’inimici della fede» ma, finiti in una stretta gola, furono assaliti dai valdesi appostati sui fianchi delle colline ed ebbero la peggio: una cinquantina di soldati, compreso il Castagneto, rimasero uccisi.
Fu allora bandita la crociata contro i Valdesi. Alla testa delle truppe incaricate della repressione il viceré pose Marino Caracciolo […] Le istruzioni fornite dal viceré al comandante Caracciolo prevedevano che insieme alle forze spagnole operassero compagnie di soldati meridionali e fossero arruolati anche criminali comuni, in cambio della totale amnistia per i reati commessi. Su ciascun valdese fu posta una taglia: cento ducati per ogni predicatore catturato vivo, venti ducati per ogni comune eretico vivo e dieci ducati se morto. I prigionieri dovevano confessarsi e poi essere impiccati, con l’eccezione dei minori di diciassette anni, che sarebbero stati affidati ai giudici di Cosenza. Per le donne era prevista la morte, come pure per i favoreggiatori dei fuggitivi.
Il 29 maggio le truppe di Marino Caracciolo entrarono facilmente a San Sisto, priva di mura e semi-deserta, saccheggiando e incendiando le case. Sessanta uomini, catturati, vennero impiccati o gettati dalle torri, le donne furono violentate. I sansistesi si erano dati in maggioranza alla macchia, spostandosi per i sentieri montani fino a raggiungere Bisignano per procurarsi da mangiare, poi decisero di dividersi in piccoli gruppi, sperando di passare inosservati. Individuati dai soldati, che utilizzavano cani mastini addestrati alla caccia all’uomo, quelli che non furono uccisi sul posto vennero catturati a centinaia e tradotti nelle carceri di Cosenza e di Montalto. Pochi riuscirono a rifugiarsi a La Guardia, confidando nelle mura che cingevano il paese e nella solidarietà dei correligionari.
Verso il 3 giugno […] l’assalto a La Guardia. Non ci fu però bisogno di cingere d’assedio le mura perché o gli inquisitori oppure, secondo i più, il feudatario Salvatore Spinelli convinse con l’inganno i guardioli ad aprire le porte del paese. Egli sarebbe infatti riuscito a condurre dentro La Guardia 50 soldati, fatti passare per prigionieri e scortati da altrettanti militari, con la scusa che costoro dovevano essere rinchiusi nelle carceri. Di notte – era il 5 giugno 1561 – quei cento soldati uscirono dalla prigione e aprirono la porta principale di La Guardia, facendo entrare le truppe in attesa.
Quella porta fu chiamata da allora Porta del Sangue. Si scatenò infatti il massacro di centinaia di Valdesi, trafitti dalle spade, gettati dalla torre, bruciati dopo essere stati cosparsi di trementina, e settanta case furono incendiate. I superstiti furono avviati, chi nelle carceri sotterranee del castello di Cosenza, chi in quelle del castello di Montalto. Nelle prime, di centinaia di prigionieri «ne morirono tanti e per condanne a morte e per fame, freddo e torture subite».
A Montalto furono rinchiusi, tra uomini e donne, 1.600 valdesi. Istruito un rapido processo […] 150 di essi furono condannati a morte per ribellione, porto d’armi ed eresia. L’11 giugno 1561 si procedette, davanti alla chiesa di San Francesco di Paola, all’esecuzione di 86 o 88 di loro, così descritta in una lettera da un testimone oculare: «Hoggi a buona hora si è incominciata a far l’horrenda iustizia di questi Luterani che solo a pensarvi è spaventevole, che la morte di questi tali è come una morte di castrati; li quali venivano tutti riuniti in una casa dove veniva il boia et li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda avanti gli occhi e poi lo menava in un luogo spazioso poco distante da quella casa et lo faceva inginocchiare e con un coltello gli tagliava la gola et lo lasciava così, poi pigliava quella benda così insanguinata, et col coltello insanguinato ritornava a pigliar l’altro, et faceva di simile».
[…] Perché servissero di ammonimento, tutti i cadaveri dei condannati furono squartati e appesi a pali piantati lungo la strada che da Cosenza conduceva a Morano […] Alla fine di giugno rimanevano nelle carceri del castello di Montalto quasi 1.400 valdesi, mentre proseguiva la caccia agli sbandati. Un altro centinaio di valdesi, rinchiusi nei sotterranei del castello di Cosenza, erano in attesa del processo. Scarse sono le notizie sul suo esito. In quella che fu poi chiamata piazza Valdesi, il 27 giugno quattro o cinque furono bruciati dopo essere stati unti di resina, affinché «soffrano di più per correzione della loro empietà», e per il 28 giugno era previsto il rogo di cinque donne. […] Dei superstiti, vi furono i condannati a remare nelle galee spagnole, «le donne e i bimbi più floridi» furono venduti come schiavi, gli orfani furono «rieducati» negli istituti cattolici, alcune centinaia furono inviati al confino e i rimanenti, dopo l’abiura, furono lasciati liberi con l’abito di penitenza. Impossibile quantificare il numero delle vittime. Un testimone del tempo scrisse di 2.000 morti, ma nell’assenza di fonti precise, gli storici hanno stimato da un minimo di 600 a un massimo di 6.000 vittime.
[…] Il giudizio degli storici
La responsabilità del massacro viene fatta ricadere sugli spagnoli e, generalmente, anche sull’Inquisizione di Roma e sul cardinale Ghislieri in particolare, che si sarebbe servito delle truppe spagnole come di un braccio secolare. […] Altri storici giudicano invece prevalente o esclusiva la responsabilità delle autorità del Viceregno napoletano nell’eccidio. […] Nel giudizio storico della vicenda pesa un elemento la cui novità si è imposta soltanto nel 1999. Fino ad allora si riteneva che le ordinanze del Sant’Uffizio, con le quali si prescrivevano ai Valdesi tutta una serie di proibizioni e di obblighi, fossero state imposte dopo le stragi di giugno. La scoperta, fatta negli archivi vaticani dallo storico Scaramella nel 1999, che esse risalivano invece al precedente febbraio, comporta la valutazione che «all’origine della ribellione, e della conseguente strage, vi fu l’energica reazione delle popolazioni ultramontane di Calabria al regime comportamentale imposto dalla Chiesa di Roma».
(*) Per la prima volta qui in blog riprendo una «scor-data» da Wikipedia. Questa “voce” mi è sembrata particolarmente ben fatta e documentata mentre altre sono purtroppo vaghe, frettolose e stereotipate persino nel linguaggio. Evviva dunque la persona (o le persone) che l’ha redatta, inquadrandola nel contesto storico, ovvero: 1 L’emigrazione valdese in Calabria, 2 La Riforma protestante e l’Inquisizione, 3 La missione di Gian Luigi Pascale, 4 L’intervento dell’Inquisizione, 4.1 L’inquisitore Malvicino e le ordinanze del Sant’Uffizio. Io ho ripreso solo l’ultima parte, quella sulla strage, eliminando solo alcune frasi, un paio di immagini e le (tantissime) note.
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sull’11 giugno fra l’altro avevo ipotizzato: 1184 (forse) avanti Cristo: Troia cade in mano ai Greci; 1289: battaglia di Campaldino; 1630: processione con le reliquie di san Carlo, così a Milano si diffonde la peste; 1833: fucilato Efisio Tola; 1951: Mossadeq nazionalizza il petrolio iraniano; 1961: notte dei fuochi in Alto Adige; 1962: unica fuga da Alcatraz; 1981: primo non dc (è Spadolini) a Palazzo Chigi; 1982: esce «Et», lo stesso giorno scompare Calvi; 1986: dichiarazione europea contro il razzismo; 2002: con qualche ritardo… il congresso Usa riconosce che fu Meucci a inventare il telefono; 2008: 6 operai muoiono a Mineo, vicino Catania. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
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