Scor-data: 12 ottobre 1992
di David Lifodi (*)
Bolivia: agli albori delle guerre dell’acqua
All’inizio degli anni ’90 Ismael Serageldin profetizzò che le guerre del XXI secolo sarebbero state combattute per l’acqua. Non si trattava di una riflessione a voce alta dell’uomo della strada, ma del vicepresidente di allora della Banca Mondiale.
Detto fatto: il 12 ottobre 1992, in occasione della Giornata mondiale della Resistenza Indigena, per le strade di La Paz sfilò la Gran Marcha: settantamila persone che, come in tutto il continente, protestavano contro le potenze coloniali responsabili del genocidio compiuto ai danni degli indios dalla scoperta delle Americhe, il 12 ottobre 1492, ma mettevano in discussione anche le iniezioni di neoliberismo selvaggio a cui era stata sottoposta la Bolivia, come del resto tutta l’America Latina. Jean Ziegler fa partire dalla campagna “500 Años de Resistencia”, caratterizzata a La Paz dalla Gran Marcha, l’inizio della guerra dell’acqua: lo scrive in “Bolivia, la rottura”, una delle tre parti del suo volume, L’odio per l’Occidente (Marco Tropea editore): “La memoria ferita dei popoli indigeni sta vivendo una folgorante rinascita”. Furono proprio i movimenti indigeni tra i principali protagonisti delle due guerre dell’acqua. La prima ebbe luogo tra l’ottobre del 1999 e l’aprile del 2000, quando il governo boliviano, per ottenere finanziamenti dalla Banca Mondiale, scelse di privatizzare i servizi idrici di Cochabamba, la terza città del paese, 400 km a sudest di La Paz. La lotta cochabambina si impose all’attenzione del mondo intero. La Coordinadora por la Defensa del Agua y de la Vida, guidata dal sindacalista Oscar Oliveira, storico militante dei movimenti sociali, paralizzò la città con blocchi stradali scioperi a gatto selvaggio e si guadagnò ampio spazio nel docu-film The Corporation, di Joel Bakan. Aguas del Tunari, la municipalizzata boliviana dell’acqua, era una controllata della multinazionale statunitense di ingegneria civile Bechtel, ma alcune azioni erano di proprietà anche della nostra Edison e della spagnola Albengoa. Le tariffe del servizio idrico aumentarono del 300%, dopo che il 20 ottobre 1999 il governo aveva già approvato la Ley de Agua Potable. La privatizzazione fu un gioco da ragazzi: Aguas del Tunari aveva il diritto di imporre il pagamento delle tariffe anche sui pozzi non scavati dalla compagnia. Hugo Banzer, per la terza volta alla presidenza del paese dopo la sua permanenza a Palacio Quemado imposta con la forza negli anni ’70 tramite colpi di stato, rischiò di essere rovesciato. Il dittatore si impaurì, rescisse il contratto che aggiudicava a Bechtel la gestione dell’oro blu boliviano per quaranta anni e si trattò del primo successo popolare dopo quindici anni di privatizzazioni selvagge: nel corso degli anni ’90 petrolio, gas e servizi di base erano stati privatizzati grazie al decreto 21060 del presidente Víctor Paz Estenssoro, che nel 1985 aveva aperto le porte ad un’economia di mercato. Il successo ebbe un costo altissimo in termini vite umane, tra morti e feriti. Banzer non si era fatto scrupoli e sapeva bene come reprimere qualsiasi forma di ribellione: lo aveva già dimostrato negli anni ’70. Si trattava, però, soltanto di una battaglia vinta fino ad un certo punto: Bechtel chiese un risarcimento di 25 milioni di dollari e citò la Bolivia di fronte al Ciadi, il Tribunale della Banca Mondiale, che in seguito ingiungerà alla Bolivia il pagamento per la rescissione anticipata del contratto. In ogni caso non era finita. Nel 1997 era arrivata nel paese anche la multinazionale francese Suez-Lyonnaise des Eaux, sulla scia delle privatizzazioni sotto la prima presidenza di Sánchez de Lozada. Lo scenario, stavolta, non è più Cochabamba, ma l’Altopiano alteño. Lyonnaise des Eaux gestiva il servizio idrico e le acque reflue di La Paz e El Alto tramite Aguas de Illimani secondo uno schema che ricalcava, in peggio, l’amministrazione di Aguas del Tunari per conto di Bechtel. L’8% di Aguas de Illimani apparteneva addirittura alla Banca Mondiale attraverso la sua filiale privata, la Corporation Internationale Financiére. Le tariffe dell’acqua crebbero del 600%, quadri e dirigenti di Lyonnaise des Eaux videro triplicare i loro stipendi, mentre a El Alto, un gigantesco quartiere popolare situato sopra La Paz, oltre quarantamila famiglie non avevano accesso all’acqua potabile. Nell’intera area urbana La Paz-El Alto il numero di coloro che non potevano usufruire dei servizi idrici arrivava a duecentomila: allacciare la propria casa alla rete idrica costava almeno sei mesi di stipendio. “Ci stanno togliendo tutto, siamo rimasti padroni solo dell’aria”, si lamentavano i boliviani. Non si trattava di un semplice modo di dire: anche la pioggia era di proprietà delle municipalizzate poiché non appena una goccia entrava in un pozzo o in una bacinella diveniva di proprietà immediata di Aguas del Tunari e di Aguas de Illimani. Come già avvenuto nel 2000, quando il movimento sociale di uno dei paesi più poveri del continente aveva inflitto una storica e pesante sconfitta alla globalizzazione, i settori popolari aprirono un nuovo ciclo di lotte. Carlos Mesa, presidente del paese tra il 2003 e il 2005 ed uno degli uomini più ambigui e doppiogiochisti che si sono installati a Palacio Quemado, fu costretto a cedere: anche in questo caso fu rescisso il contratto con Aguas de Illimani e la società espulsa dal paese. Non solo: nel 2003 le proteste di piazza erano riuscite a fare cadere anche Sánchez de Lozada, che interromperà bruscamente e in modo inglorioso la sua seconda presidenza a seguito della guerra del gas. Goni, questo il suo nomignolo, fu costretto a fuggire a Miami in elicottero direttamente dal palazzo presidenziale, dopo che la violenza scatenata dal suo esercito aveva causato circa 67 morti e oltre 400 feriti.
Durante le due guerre dell’acqua, ma anche nel corso della guerra del gas (legata al fatto che il gasdotto per esportare il gas sarebbe dovuto passare dall’odiato Cile, vincitore della guerra che nel 1879 aveva privato la Bolivia dello sbocco al mare, e da lì agli Stati Uniti), si svilupparono delle forme di autogoverno che ancora oggi restano una tra le esperienze di contropotere più originali e innovative dell’intero continente: lo scrittore e giornalista uruguayano Raúl Zibechi le descrisse in libro che uscì per la rivista Carta, Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano (Intramoenia, 2007).
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)