Scor-data: 14 maggio 1781

Muore il generale Petrovic, cioè il nonno (africano) di Puskin
di d. b. (*)

SOMMARIO: Ibrahim è un piccolo schiavo camerunense che diverrà generale, ingegnere, studioso di geometria ma soprattutto sarà il nonno del grande poeta Aleksandr Sergeevic Puskin. La storia di Abram Petrovic detto «Hannibal» nel racconto di Lilian Thuram. Con due salti nel tempo.

Già altre volte su «Corriere delle migrazioni» – e naturalmente su codesto blog – ho cantato le lodi di «Le mie stelle nere: da Lucy a Barack Obama» (Add editore, 2013) di Lilian Thuram, un tempo famoso calciatore e ora impegnato contro il razzismo con una sua fondazione. Ed è a questo libro che “rubo” la storia di oggi, aggiungendo in coda due veloci considerazioni, anzi due salti nel tempo: uno avanti (di pochi giorni) e uno indietro (di molto).
L’uomo che – alla morte di Pietro il Grande – diventerà il «maggior generale dell’armata imperiale russa», Abram Petrovic Hannibal ha avuto molti nomi e diverse religioni. «All’alba del XVIII secolo» – scrive Thuram – «un bambino camerunense di 7 anni viene fatto prigioniero durante un’incursione arabo-ottomana e in seguito portato a Istanbul alla corte del soldato Ahmed III. Il sovrano fa di lui un paggio, lo converte all’Islam e lo chiama Ibrahim».
Nel 1704 un’altra svolta. Il bambino finisce – probabilmente “in regalo” – alla corte dello zar Pietro I, detto il Grande. «Il sovrano gli si affeziona e lo adotta per renderlo libero. Gli impone una nuova religione e un nuovo nome: il bambino viene battezzato, nella chiesa di santa Paraskeva a Vilnius, con il nome Abram Petrovic».
Studia a corte, mostra grande intelligenza soprattutto per la matematica. «A quell’epoca la società russa non è ancora segnata dai pregiudizi razziali che nasceranno nel XIX secolo. Inoltre Pietro il Grande intende modernizzare la Russia e introdurvi lo spirito illuministico. Al diavolo bandiere e identità nazionali» commenta Thuram.
Così a 15 anni Abram che fu Ibrahim (sembra lo stesso nome, vero?) è attendente dello zar oltre che il gestore della sua biblioteca. Il ragazzo studia geometria, artiglieria e fortificazioni. «Abram sarà il primo ingegnere militare russo moderno» e nel 1717 si arruola nell’esercito di Luigi XV: «dimostra di essere un abile e valoroso stratega, tanto che viene promosso capitano dell’esercito francese dove si guadagna il soprannome di Hannibal». Tornato in Russia, Abram nel 1725 «redige un trattato di geometria, il primo scritto in Russia» e poi un trattato sulle fortificazioni. «Alla morte di Pietro il Grande diventa il maggior generale delle fortificazioni, diplomatico e governatore militare dell’Estonia. E’ il quarto personaggio più importante dello Stato russo».
Più complicata la sua storia sentimentale. Dopo un primo matrimonio fallito, Abram sposa un’aristocratica svedese, Cristina Regina Sioberg. L’uomo potente che da piccolo fu schiavo non ha dimenticato le sue origini: «Nel 1742, quando viene nominato cavaliere, chiede all’imperatrice che sul suo blasone, in alto a destra, campeggino la figura di un elefante e la parola FVMMO che significa patria in kotolo, lingua di una popolazione che vive ancor oggi in Camerun, Ciad e Nigeria».
Così quando Abram Petrovic muore – a 85 anni – «ha fondato in Russia una dinastia nera. E il suo sangue, mescolato a quello di altre famiglie straniere, scorre nelle vene dei principi di Grecia e d’Inghilterra».
Delle sue origini era ben consapevole il nipote, Aleksandr Sergeevic Puskin che è tuttora considerato il più grande poeta russo. E in «Le mie stelle nere» Thuram racconta anche la sua storia, o meglio quella parte che i più non conoscono: fatta di pregiudizi (il mondo è cambiato in peggio) contro i mulatti al punto che un insulto razzista lo costringerà al duello nel quale morirà. Così commenta Thuram: «Un uomo con un ottavo di sangue nero che diventa completamente nero agli occhi degli altri e che finisce per vedersi nero lui stesso». Adesso il pregiudizio continua in altro modo: “scolorando” Puskin e ricordandolo come bianco. Capita spesso, come ben documenta il libro di Thuram. Un problema agli occhi come per il daltonismo o per la deuteranopia? No, una malattia che si chiama razzismo.
Finisco con due salti nel tempo.
Se torniamo dalle parti del 150 avanti Cristo, a ragionare sulle diversità (vere e/o presunte) fra gli esseri umani con Terenzio, o se preferite con Publio Terenzio, lui vi dirà: «Sono un uomo: nulla di umano può essermi alieno». Frase famosa e tuttora citata, persino in latino. Significativo però che molto spesso si nomini Terenzio o Publio Terenzio omettendo Afro. Eh sì, perché anche lui come tanti latini illustri era “nero” ma i libri di scuola (e l’immaginario) lo “sbiancano”. A ogni modo «Homo sum, humani a me nihil alienum puto» se ci pensate è esattamente l’opposto della scritta che campeggia sulle t-shirt degli attivisti di Forza Nuova (gruppo neonazista per chi non lo sapesse): «Difendi il tuo simile, distruggi il diverso».
Un piccolissimo salto in avanti e una scommessa. Scrivo questo post l’11 maggio e penso a un’altra “scor-data” particolarmente interessante che cade il 17, fra pochi giorni. Nel 1954 negli Usa venne dichiarata incostituzionale la segregazione detta razziale e da lì prese il via (lentamente ma decisamente) il crollo dell’apartheid statunitense. Chissà quanti media italiani si ricorderanno dell’anniversario – di solito piacciono i cinquantenari o i centenari – ma io sono pronto a scommettere 20 centesimi che se alcuni lo faranno, magari lodando l’evento, si dimenticheranno di chiedere che finisca l’apartheid (di fatto oltre che all’anagrafe per via del cosiddetto «jus solis») di oggi in alcuni Paesi, che si vorrebbero civili. Per esempio in quello dove attualmente io abito. Forse voi non lo conoscete o non ne ricordate il nome ma lo potete individuare subito su una carta geografica perché ha una buffa forma, come uno stivale.
(*) Questo mio post compare anche su «Corriere delle migrazioni».
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 14 maggio avevo, fra l’altro, queste ipotesi: 1097: assedio di Nicea; 1441: una storia raccontata da Sebastiano Vassalli in «Stella avvelenata»; 1610: ucciso Enrico IV di Francia; 1686: nasce Fahrenheit; 1771: nasce Robert Owen; 1796: vaccino di Jenner; 1904: eccidio di Codignola; 1912: muore Strindberg; 1931: Toscanini rifiuta di eseguire «Giovinezza»; 1940: muore Emma Goldman (messa in blog l’anno scorso); 1979: in orbita Skylab; 2008: Ponticelli, pogrom anti-rom. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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