Scor-data: 15 maggio 1991
Muore Amadou Hampate Ba
di d. b. (*)
La sua frase più conosciuta (ma spesso non viene attribuita a lui) è «Quando in Africa un vecchio muore è come se bruciasse una biblioteca». Se avete bisogno di un corollario ecco un’altra sua frase – la si legge nell’apertura di «Petit Bodiel» (Sinnos, 1998, edizione bilingue): «Il non aver avuto scrittura non ha mai privato l’Africa del suo passato, della sua storia e della sua cultura».
La nota piuttosto scarna su Wikipedia ci dice che Amadou Hampate Ba, nato – nel 1901 – nel Paese che oggi si chiama Mali apparteneva a una famiglia nobile fulbe, che studiò, fu amministratore (nel regime coloniale francese) e maestro. «Nel 1942, ottenne un incarico dall’Institut Français d’Afrique Noire (Ifan) di Dakar grazie al direttore Théodore Monod. In questo contesto, poté effettuare importanti ricerche sulle tradizioni orali. Nel 1951, ottenne una borsa di studio dall’Unesco che gli permise di svolgere un soggiorno di studi a Parigi e di conoscere i maggiori africanisti dell’epoca, come Marcel Griaule. Nel 1960, in seguito all’indipendenza del Mali, fondò l’Istituto di Scienze umane a Bamako e rappresentò il suo Paese alla conferenza generale dell’Unesco. Nel 1962 venne nominato membro esecutivo dell’Unesco e nel 1966 partecipò all’elaborazione di un sistema unificato per la trascrizione delle lingue africane. Nel 1970, Hampate Ba decise di lasciare incarichi ufficiali e diplomatici per dedicarsi interamente a un progetto di ricerca e di archiviazione del patrimonio orale dell’Africa occidentale, consacrandosi perciò ad un lavoro di ricerca e di scrittura: gli ultimi anni della sua vita, trascorsi ad Abidjan, lo porteranno alla scrittura di due romanzi autobiografici, “Amkoullel, il bambino fulbe” e “Signorsì, comandante”, pubblicati postumi, nel 1991».
Vero ma scarno e molto eurocentrico. Non spiega per esempio che Ba definiva l’educazione impartita dai colonialisti «la scuola degli ostaggi», che sapeva mescolare con maestria il reale e il surreale e che – come il Wangrin che incontriamo nel suo romanzo «L’interprete briccone» – «non era fedele a una sola religione e riconosceva la potenza divina ovunque si trovasse»
Fra le sue opere pubblicate in italiano Wikipedia cita «Aspetti della civiltà africana» (Emi), «L’interprete briccone» (Edizioni Lavoro), «Petit Bodiel» (Sinnos), «Gesù visto da un musulmano» (Bollati Boringhieri), «Il saggio di Bandiagara» (Neri Pozza), «Amkoullel, il bambino fulbe» (Ibis), «Signorsì, comandante» (Ibi) e «Kaydara» (ancora Ibis). Dimenticando però «Koodal, lo splendore della grande stella» (Coletti): è un breve racconto iniziatico fulbe, raccolto e trascritto da Ba (con altre tre persone). Nell’interessante introduzione Cristina Brambilla spiega che «la vita di Amadou Hampate Ba può essere considerata come emblematica di un africano dal cuore antico, cosciente della validità e bellezza dei propri valori ancestrali e della loto fatale sparizione. La sua vita è stata una lotta per strappare all’oblio un patrimonio millenario affidato ormai alla memoria di pochi vecchi iniziati». Una efficace sintesi.
«Che cos’è la letteratura se non parola distesa sulla carta?» ci chiedeva Hampate Ba e a chi gli domandava polemicamente che valore potessero avere le vecchie favole rispondeva: «Entrare in una favola è come entrare all’interno di se stessi. Una favola è uno specchio in cui ognuno può scoprire la propria immagine». Idee che possiamo mettere in relazione con un’altra sua frase, spesso citata: «L’essere umano è l’universo in miniatura. Gli esseri umani e il mondo sono interdipendenti. L’essere umano è il garante della creazione».
Tutti diversi – ricordava Ba – ma si può tendere a uno stesso obiettivo, a un bene comune. Non c’è cosa peggiore che scimmiottarsi a vicenda, meglio tenersi le proprie differenze e metterle in gioco. «Ciò di cui abbiamo bisogno è sempre concedere al nostro vicino di casa le sue verità e non dire che tutta la verità è dalla mia parte, nel mio Paese, nella mia religione».
Il protagonista del romanzo «L’interprete briccone» è Wangrin che si prende gioco di tutti e soprattutto dei colonialisti francesi e dei loro “amici” africani. Insolente e generoso, Wangrin si presenta con frasi che potrebbe piacere a Dario Fo (e a tutta la tradizione del Carnevale che metteva il mondo sottosopra). Come questa: «Io, che ero tutto e vivevo ridendo, diventai niente ma continuai a ridere. Riderò degli uomini e delle cose, riderò di coloro che non sanno ridere né far ridere, perché chi non ride è malato o malvagio».
Per completare questo (troppo) breve ritratto riprendo – dalla rete – ampi stralci di un testo di Stefano Meneghetti: l’ho trovato digitando «Quando in Africa muore un vecchio, è una biblioteca che brucia» e proprio con questa sua frase si apre.
«Il famoso pensiero espresso da Amadou Hampâté Bâ è diventato come un proverbio, più volte ripetuto e ripreso, per il grande significato che ha per la cultura africana nel suo complesso. Ma forse questa frase è ancora più valida se, come in questo caso, si riferisce proprio a lui e al suo libro più importante. Amkoullel è il soprannome di Amadou Hampâté Bâ, e questa è la storia della sua gioventù. Un percorso di circa vent’anni raccontato, grazie a una sorprendente “memoria secolare”, con una sensibilità tutta africana per il dettaglio, ma anche filtrando gli eventi attraverso uno sguardo ironico e saggio. Non è una semplice autobiografia, sia perché non vi è affatto il tentativo di rievocare e di rimpiangere un passato ormai scomparso, sia perché ci troviamo di fronte a un vero e grande scrittore che ripercorre qui l’inizio di quello che sarà un itinerario spirituale e intellettuale straordinario. Si tratta quindi di un libro che si apre a molte letture, che ci fa entrare nella cultura africana e quasi ci avvolge con essa, rendendoci partecipi e consapevoli della ricchezza di questa grande civiltà. […] Ha raccontato la storia della sua vita nel libro “Amkoullel, il bambino fulbe”. Voglio proporvi però un passo di un altro suo libro, “Gesù visto da un musulmano”, nel quale illustra la concezione africana della persona di cui vi ho parlato a lezione: “Maa ka maaya ka ca a yere kono. In lingua bambara significa: le persone di una persona, sono numerose in ogni persona. Mia madre, quando voleva vedermi, aveva l’abitudine di chiedere a mia moglie: “Quale delle persone di mio figlio abita qui oggi? Il toubab? L’uomo di religione oppure mio figlio?”. Se mia moglie rispondeva “Tuo figlio” allora entrava in casa senza cerimonie e mi diceva cosa voleva. Se diceva “E’ l’ uomo di Dio”, mia madre si limitava a fare proposte, ma se mia moglie rispondeva “Il toubab”, allora mia madre ripartiva senza neppure provare a incontrarmi.» Come spiega Meneghetti la parola Toubab indica i bianchi oppure ironicamente, come in questo caso, qualcuno che frequenta troppo i bianchi e rischia di diventare arrogante come loro.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 15 maggio avevo, fra l’altro, queste ipotesi: «giornata obiezione coscienza»; 1252: la bolla papale «Ad extirpanda» autorizza la tortura; 1525: martirio di Muntzer; 1796: il famoso inizio di «La certosa di Parma»; 1848: rivolta nelle “2 Sicilie”; 1871: Germania, «paragrafo 175» contro gli omosessuali; 1879: il diario di Mabel Loomis Todd registra l sua vita sessuale, orgasmi compresi; 1891: «Rerum Novarum»; 1915: la Cina diventa un “protettorato” giapponese; 1935: strage a Tricase e lo stesso giorno nasce Bruce Phillips; 1940: calze di nylon; 1946: Sicilia, statuto speciale; 1947: rapporto Cavista [db?]; 1951: Pisciotta fa i nomi; 1953: concerto storico a Toronto; 1970: Usa, la polizia uccide 2 studenti e lo stesso giorno il Cio espelle il Sudafrica; 1999: Usa negano l’indennizzo alle vittime del Cermis; 2002: proposta Lega su crocefisso; 2008: ucciso Domenico Noviello; 2011: il “caso” Strauss-Khan. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)