Scor-data: 16 maggio 1955
«Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali»
di Ciccio Busacca e Ignazio Buttitta (*)
Così una pagina di Indymedia, nel 50° anniversario dell’assassinio: «Il 16 maggio 1955, nelle campagne di Sciara, la mafia uccise Salvatore Carnevale, coraggioso sindacalista nemico di ogni forma di sopruso e di prepotenza. Fondatore della sezione socialista del paese e attivista della locale Camera del Lavoro, Carnevale si era battuto contro i privilegi dei latifondisti e in favore dei diritti dei lavoratori. Prima di lui erano stati uccisi tanti altri coraggiosi sindacalisti: da Accursio Miraglia a Placido Rizzotto, da Nicolò Azoti a Epifanio Li Puma, da Giuseppe Casarubbea a Calogero Morreale».
Per ricordarlo in blog ecco la versione italiana (l’originale è in siciliano) del «Lamento per la morte di Turiddu Carnevale».
È arrivato Cicciu Busacca
per farvi sentire la storia
di Turiddu Carnivali
il socialista morto a Sciara
ammazzato dalla mafia
Per Turiddu Carnivali
piange la madre
e piangono tutti i poveri della Sicilia
perché Turiddu Carnivali
morì ammazzato
per difendere il pane dei poveri.
E ora
sentite
perché c’è da sentire
nella storia
di Turiddu Carnivali
La storia vi dice:
Angelo era e non aveva ali
non era santo e miracoli faceva
saliva in cielo senza corde e scale
e senza sostenersi ne scendeva;
era l’amore il suo capitale,
questa ricchezza con tutti la spartiva:
Turiddu Carnevale nominato
che come Cristo morì ammazzato.
Da piccolo il padre non conobbe
ebbe la madre sventurata al fianco
compagna nel dolore e nelle pene
del pane nero a fatica sudato;
Cristo benedicendolo gli disse:
«Tu, figlio mio, morirai ammazzato;
i padroni di Sciara, quei dannati,
ammazzano chi vuole libertà».
Sciara
per qualcuno che non lo sa
è un piccolo paese
della provincia di Palermo
dove
ancora oggi
regna e comanda la mafia
Quindi
Turiddu aveva i giorni contati,
ma incontrando la morte ne rideva,
ché vedeva i fratelli condannati
sotto i piedi della tirannia,
le carni dal lavoro macinate
poste sul ceppo a farne tortura,
e sopportare non poteva l’abuso
né del barone, né del mafioso.
Turiddu
i poveri radunò con tanto amore,
i dorminterra, le facce a tridente,
i mangiapoco con il fiato chiuso:
il tribunale dei penitenti;
di questa carne fece lega e polso
e arma per combattere i padroni
di quel paese esiliato e oscuro
dove la storia aveva trovato un muro.
Disse al giornaliero: «Tu sei nudo
e la terra è vestita in pompa magna,
tu la zappi sudando come un mulo
e stai all’impiedi secco, una lasagna;
viene il raccolto e a colpo sicuro
il padrone il prodotto arraffa
e tu che fosti sempre sulla terra
apri le mani e ci raccogli pianto.
Fatti coraggio, tremare non devi,
verrà il giorno che scende il Messia,
il socialismo con il manto d’ali
che porta pace, pane e poesia;
vieni se tu lo vuoi, se tu sei santo,
se sei nemico della tirannia,
se abbracci questa fede e questa scuola
che amore dona e gli uomini consola.
Sì,
il socialismo con la sua parola
prende da terra gli uomini e li innalza
e scorre come acqua di fontana
e dove arriva rinfresca e sana
e dice che la carne non è cuoio
e neppure farina da impastare:
tutti uguali, lavoro per tutti,
tu mangi pane se lavori e sudi».
Disse ai giornalieri: «Nelle grotte,
nelle tane dormite e nelle stalle
siete come i topi delle fogne
vi saziate di fagioli e torsoli;
ottobre vi lascia a labbra asciutte
e giugno con i debiti ed i calli
dell’ulivo ne avete le ramaglie
e delle spighe la stoppia e la paglia».
Disse: «La terra è di chi lavora,
prendete le bandiere e gli zapponi!».
E prima ancora che spuntasse l’alba
fecero conche e scavarono fossi:
la terra sembrò tavola imbandita,
viva, di carne come una persona;
e sotto il rosso di quelle bandiere
parve un gigante ogni giornaliero.
Di corsa vennero i carabinieri
con le catene ed i fucili in mano
Gridò Turiddu: «Fatevi indietro!
Qui non ci sono ladri né assassini,
ci sono, cani, gli afflitti giornalieri
che non hanno più sangue nelle vene:
se voi cercate ladroni e briganti
li trovate nei palazzi, con le amanti».
Il maresciallo fece un passo avanti,
disse: «La legge ciò non vi consente».
Turiddu gli rispose fieramente:
«La vostra legge è quella dei prepotenti,
ma c’è una legge che non sbaglia e mente
e dice: pane per le pance vuote,
vestiti agli ignudi, acqua agli assetati
e a chi lavora onore e libertà».
Giusto diceva Turiddu Carnivali
anche nella Bibbia
sono scritte queste parole:
«Roba ai nudi! Acqua agli assetati!
A chi lavora onore e libertà!»
Ma la mafia che cosa pensava?
La mafia ragionava a fucilate;
questa legge ai padroni non garbava,
erano come cani arrabbiati
coi denti conficcati nei garretti.
Poveri giornalieri sfortunati
che addosso li tenete a morsicarvi!
Turiddu conosceva quelle bestie
e stava all’erta se vedeva siepi.
Tornò una sera in casa senza ali
gli occhi lontani e il pensiero pure:
«Mangia, figliolo mio, cuore leale…»;
Ma più lo guarda, più lo vede scuro:
«Figlio questo lavoro ti fa male»
e con la mano s’appoggiava al muro.
«Madre» disse Turiddu e la guardò:
«Mi sento bene». E la testa chinò.
Quella è stata l’ultima volta
che Turiddu è stato minacciato dalla mafia
Dico l’ultima volta
perché
l’avevano minacciato centinaia di volte.
Tante volte magari
avevano provato a pigliarlo con le buone
offrendoci del denaro:
«Turiddu stai attento
tu stai facendo una strada sbagliata
ti sei messo contro i padroni
e sai
che chi si mette contro i padroni
può fare una brutta fine
Da un giorno all’altro
ti può succedere
qualche disgrazia».
Turi a queste minacce
rispondeva sempre
con la stessa risposta:
«Sono pronto a morire
per i contadini
Anche io sono un contadino
Ho avuto la fortuna
di leggere qualche libro
e so quello che dovete dare ai contadini:
quello che spetta
E voi padroni glielo dovete dare».
«Turiddu
stai attento a quello che fai
t’abbiamo avvertito tante volte
stai attento».
Turiddu quella sera
si era ritirato a casa
con quella minaccia
ancora incisa nel cervello
e non appena arrivò a casa
la madre gli fa trovare la minestra pronta
come tutte le sere
Non appena lo vede arrivare
è contenta:
«Turiddu
sei arrivato
figlio mio
La minestra è pronta
mangia».
Ma Turi
quella sera
non aveva fame:
«Mamma
lascia perdere.
Questa sera
ho tante cose
da pensare.
Non ho fame»
La madre ha capito
che
Turiddu l’avevano minacciato
ancora una volta.
«Figlio, tu sei stato minacciato;
sono tua madre, non avere segreti!».
«Madre, il mio giorno è giunto»; e sospirando
«Cristo fu ammazzato e fu innocente».
«Figlio, il cuore mio si è fermato:
tu ci piantasti tre spade pungenti».
Gente che siete qui, gridate forte:
la madre vide il figlio morto in croce.
‘Sta volta
i mafiosi
hanno mantenuto la promessa.
L’indomani mattina
mentre Turiddu andava a lavorare
nella cava
durante la trazzera
gli hanno sparato due colpi di lupara
in faccia
che l’hanno sfigurato.
Non si dimentica mai quella mattina:
sedici maggio
millenovecentocinquantacinque
Sedici maggio. L’alba in cielo splende,
e il castello alto sopra Sciara
di fronte al mare rilucente
come un altare sopra una bara;
tra mare e castello quel mattino
una croce si vide all’aria chiara,
sotto la croce un morto e con gli uccelli
il piangere dei poveri a dirotto.
E come si può dimenticare mai
quel sedici maggio a Sciara?
Dopo un’ora che Turi era partito da casa
la madre sente bussare alla porta
furiosamente
(la madre ancora era a letto).
Era l’alba.
«Francesca!
Donna Francesca!
Signora Francesca, aprite!
Aprite, è successa una disgrazia!
Hanno ammazzato Turiddu
Hanno ammazzato vostro figghiu Turiddu
gli hanno sparato due colpi di lupara in faccia
che l’hanno sfigurato
L’hanno ammazzato
Turiddu,
l’hanno ammazzato!».
Dirlo così
è facile.
Ma lo pensate
per quella povera madre
che aveva soltanto quel figlio al mondo
come si veste in fretta e in furia
e incomincia a girare
per tutte le strade del paese
gridando
invocando i poveri a seguirla
per andare a piangere
sul cadavere di suo figlio.
Gridava: «Figlio!» per strade e vicoli
la madre angosciata che correva
verso il morto a vorticoso turbine
a fascio di sarmenti che brucia
dentro il forno col vento agli sportelli:
«Correte tutti a piangere con me!
Poveri, uscite dalle vostre tane,
morì ammazzato per il vostro pane!».
Sono arrivati
i poveri
dove c’era il cadavere di Turiddu
ma
nessuno poteva passare.
Nessuno poteva guardare Turiddu
per l’ultima volta.
Turiddu
era circondato di carabinieri.
La madre
si inginocchia di fronte ai carabinieri:
«Carabiniere, se sei un cristiano…
non mi toccare, scostati di qui,
non vedi che son torce le mie mani
e accendo come polvere nel fuoco;
questo è mio figlio, vattene lontano,
lascia che il pianto e il dolore sfoghi,
lascia che sciolga la colomba bianca
che tiene in petto nella parte manca.
Carabiniere, se sei cristiano
non vedi che sta perdendo il suo sangue fino,
fammi accostare che gli levo piano
quella pietra che tiene per cuscino,
sotto la faccia gli metto le mani
sopra il suo petto il mio cuore vicino
e con il pianto le sue ferite sano
prima che faccia giorno domattina.
Prima che faccia giorno l’assassino
trovo e il cuore gli strappo con le mani
lo porto trascinandolo innanzi al prete:
suonate le campane, sagrestano!
Mio figlio aveva il sangue d’oro fino
e questo l’ha d’orina di pantano
chiamategli una tigre per becchino
la fossa gliela scavo con le mani!
Figlio, che dico? La testa mi si confonde;
oh, se non fosse per la fede mia!
Il socialismo che apre le braccia
e che mi dà speranza e coraggio;
me lo insegnasti e mi tenevi in braccio
e io sopra le mani ti piangevo
tu mi asciugasti con il fazzoletto
io mi sentivo morire d’amore.
Tu mi parlavi some un confessore
io ti parlavo come penitente,
ora disfatta per tanto dolore
la voce do a quei comandamenti:
voglio morire del tuo stesso amore
voglio morire con questi sentimenti.
Figlio, te l’ho rubata la bandiera:
madre ti sono e compagna sincera!»
(*) La traduzione italiana è di Riccardo Venturi. Il testo originale siciliano – lo trovate su http://www.antiwarsongs.org/ – è tratto da una poesia di Ignazio Buttitta. Potete ascoltare Ciccio Busacca che la canta, sulla musica di Nonò Salamone, in «Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevali» (LP CEDI GLP 80504).
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 16 maggio avevo, fra l’altro, queste ipotesi: 1164: muore Eloisa; 1882: nasce Elin Wagner; 1929: gli Oscar; 1932: metodo Ogino-Knaus; 1990: Oms toglie omosessualità da elenco disturbi mentali; 2005: Youness Zarli confuso con un terrorista... E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info.
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)
bellissimo grande Daniele, è memorabile questa scor-data, venti giorni fa a Venezia ho comprato un libro su Turiddu Carnivali, non ricordo l’autore, ma racconta la storia del suoa ssassinio e del processo contro i mafiosi che l’hanno ucciso, pubblicato dal quotidiano l?unità, e poi io sono stato iniziato come cantastorie con il Lamentu ppi la morti di Turiddu Carnivali