Scor-data: 19 maggio 1890
Nasce Ho Chi Minh, «colui che porta la luce»
di Francesco Cecchini (*)
«Dopo Lenin» scriveva Enrico Berlinguer nella prefazione agli scritti del dirigente vietnamita «nessun altro rivoluzionario ha avuto la sorte di Ho Chi Minh di esprimere a un tempo, e al livello più alto e indiscusso, volontà, speranze e interessi di un popolo e di una nazione e, insieme, delle forze rivoluzionarie e democratiche del mondo intero… Ho Chi Minh ha diretto la lotta vittoriosa del popolo vietnamita contro il colonialismo giapponese e francese, per assurgere infine, nella guerra contro l’aggressione americana, a simbolo delle nuove generazioni e delle forze rivoluzionarie del mondo intero».
«La rivoluzione – continuava Berlinguer – per Ho Chi Minh come per Lenin, è una scienza e un’arte. Esattamente il contrario cioè dell’improvvisazione, della riduzione del processo rivoluzionario a uno schema precostituito. Si rifletta soprattutto, a questo proposito, sul nesso sempre presente in Ho Chi Minh e nel partito vietnamita fra lotta armata, lotta politica e iniziativa diplomatica».
Sul finire del 1966 il segretario del Pci Luigi Longo, prospettò addirittura l’offerta di una solidarietà armata volontaria, sul modello delle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola. Un’idea che non ebbe seguito per il «riconoscente rifiuto» di Hanoi. In quest’ambito il Pci inviò ad Ha Noi una delegazione guidata da Enrico Berlinguer, come segno di sostegno alla lotta del popolo vietnamita.
Il rivoluzionario che i vietnamiti chiamavano familiarmente Bac Ho, cioè «zio Ho», nacque il 19 maggio 1890 nel villaggio di Hoang Tru nella provincia di Nghe An, Vietnam centro settentrionale. Gli venne dato il nome di Nguyễn Sinh Cung. Come da tradizione vietnamita, all’età di dieci anni cambiò il nome e fu chiamato Nguyễn Tất Thành («Nguyễn che sarà vittorioso»). Un nome del destino: Ho sconfisse sia il colonialismo francese che l’imperialismo statunitense. Così si rivolgeva a costoro:
«Potete uccidere 10 dei miei per ognuno dei vostri che io uccido. Ma anche così voi perderete e io vincerò»
Emigrato in Francia si fece chiamare Nguyen Ai Quoc (Nguyen il patriota).
Dopo essersi fatto chiamare anche Ly Thuy nel 1938 in Cina prese il nome definitivo di Ho Chi Minh.
Ha Noi, città al di là del fiume (quello rosso) è un simbolo e lo è sempre stata. Prima dell’impero della dinastia Le, poi del dominio coloniale francese nel Tonkino, infine della lotta contro l’imperialismo statunitense. Ora è la capitale del Viet Nam. Una città con molto verde, parchi e viali alberati, il colore chiaro de tanti laghi dove ora coesistono architetture millenarie di quando si chiamava Tha Long, la città del dragone, con le costruzioni coloniali e i recenti high rising building.
A fine autunno, inizio inverno, già appaiono giornate di crachin, piogerellina e nebbia che ai francesi ricordano la Bretagna o la Normandia e a me i giorni di garúa a Lima. Questo clima dona bellezza alla città.
Il mausoleo di «zio Ho», vicino al più grande lago della città, in certe mattine di gennaio è avvolto da acqua e nuvole che non alleggeriscono la pesante struttura architettonica e ne accentuano il carattere funerario. Il grigio marmo di Da Nang è ancora più grigio. Questo monumento funebre si trova in piazza Ba Dinh dove il 2 settembre Ho Chi Minh lesse la dichiarazione di indipendenza della Repubblica Democratica del Vietnam.
Ho in tasca una fotocopia della versione ufficiale del testamento di «zio Ho», poche pagine datate 10 maggio 1969. Dove fra l’altro si legge: «Sopravvivano i nostri fiumi, le nostre montagne, i nostri uomini. Dopo la vittoria costruiremo il nostro Paese più bello di oggi. Quali che siano le difficoltà e le privazioni, il nostro popolo vincerà sicuramente (…) La nostra patria sarà riunificata. I nostri compatrioti del Nord e del Sud saranno riuniti sotto lo stesso tetto. Il nostro Paese avrà l’insigne onore di essere una piccola nazione che con una eroica lotta ha vinto (…) e ha apportato un degno contributo al movimento di liberazione nazionale». Sono parole che paiono evocare i proclami di Tran Hung-dao ai tempi della guerra contro i Mongoli oppure i versi scritti da Nguyen Trai per celebrare la vittoria sugli invasori Ming.
Ho Chi Minh aveva chiesto che dopo la sua morte le sue ceneri fossero messe in tre urne funerarie e interrate in cima a tre colline: una al nord, una al centro e una al sud del Paese per simbolizzare l’unificazione del Viet Nam. Il Partito preferì conservare le sue spoglie in un sarcofago di vetro. La fila dei visitatori (turisti e vietnamiti) è lunga per vedere il corpo del padre della patria. Ma tutto scorre velocemente. Non entro perché non voglio che Ho Chi Minh imbalsamato e irriconoscibile rovini l’immagine che ho di lui, è anche la mia maniera di rispettare il suo desiderio.
Vicino al mausoleo vi è un’iscrizione che dice «NƯỚC CỘNG HÒA XÃ HỘI CHỦ NGHĨA VIỆT NAM MUÔN NĂM», la cui traduzione è Repubblica Socialista del Viet Nam, per sempre. Più che conservare un corpo imbalsamato, questa è la vera volontà di Ho Chi Minh, non facile da rispettare e mettere in atto.
Ho Chi Minh comunista e rivoluzionario fu anche poeta. In carcere pensava che pur con le braccia e le gambe legate nessuno può impedirvi di ascoltare il canto di un uccello, di aspirare il profumo di un fiore. Ascoltare le voci della natura, respirare il profumo conforta, allevia la solitudine, rende meno pesante la disumana condizione del prigioniero. La vista del dolore degli uomini diventa stimolo all’azione e occasione di poesia.
Il «Diario dal carcere» di Ho Chi Minh è una raccolta di poesie in stile cinese classico: qui l’indomabile capo della rivoluzione vietnamita trova nell’amore per la natura forza e conforto per resistere nei lunghi mesi della prigionia, per alimentare un’immensa fede nella vita e nella vittoria finale.
Ecco una poesia intitolata «La rosa»
La rosa s’apre, la rosa
appassisce senza sapere
quello che fa.
Basta un profumo
di rosa smarrito in un carcere
perché nel cuore
del carcerato
urlino tutte le ingiustizie
del mondo.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 19 maggio avevo, fra l’altro, queste ipotesi: 1295: muore Celestino V; 1895: ucciso Josè Martì; 1906: traforo Sempione; 1919: nasce Save The Children; 1925: nasce Malcom X; 1937: strage Debrè Libanos; 1947: nasce Nomadelfia; 1974: il fascista Ferrari salta in aria mentre prepara un attentato; 1975: nuova legge diritto famiglia; 1983: stranezze della Hoffmann-La Roche; 1987: Alice Sheldon si uccide; 1991: ucciso Auro Bruni; 2002: indipendenza di Timor Est; 2010: annuncio di Craig Venter; 2011: sentenza in Francia contro la Renault. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)