Scor-data: 2 giugno 2010 (forse)

Le due morti di Virginia, l’ultima dei Selk’nam (ma chiamati Onas)
di d. b. (*)

Addio Virginia. I giornalisti ti hanno dato morta due volte o forse tre ma questo mistero toglie poco alla tragedia: doppia, perché con te è sparito un popolo intero.
Io ho saputo di te leggendo un’agenzia di mercoledì 2 giugno 2010: diceva che era «morta Virginia Choquintel (56 anni), l’ultima discendente “di sangue intero” della tribù degli Ona che venne bracciata dai coloni e dai cacciatori di taglie all’estremità dell’Argentina». Non so cosa voglia dire «di sangue intero» ma ho poi scoperto che Ona era comunque il nome che ti davano “gli altri”… espropriare le identità altrui è un’antichissima pratica di chi comanda. Morta per attacco cardiaco, scrivono i giornalisti; di «crepacuore» si sarebbe detto in altri tempi. Quel giorno l’agenzia riferisce che l’antropologo argentino Miguel Angel Palermo (un cognome che mi fa pensare ai coloni suddetti ma forse sbaglio) dichiara al quotidiano «Clarin» che l’ultimo uomo Ona era morto nel 1995. E così, dopo circa 9mila anni, si estingueva un intero popolo.
Ne scrisse anche Adriano Sofri su «La repubblica» ricordando che, pochi anni prima, un altro popolo era scomparso: infatti l’ultimo Yaman [il suo nome era Augustin Clemente] era morto il 23 settembre 1974.
Altra data tragica in questi genocidi “a ripetizione” è il 29 agosto 1911 quando Ishi – l’ultimo del popolo Yahi – si consegna «alla civiltà». Nel 1849, l’anno della «Corsa all’oro», gli Yana della California settentrionale erano oltre 2mila ma vent’anni più tardi ne erano rimasti solo una quindicina della tribù Yahi e questi scelsero di vivere in clandestinità sino alla «fine», cioè per quasi 40 anni. Un libro bellissimo di Theodora Kroeber – che, per inciso, era la madre di Ursula Le Guin – racconta questa vicenda drammatica; si intitola «Ishi, un uomo tra due mondi» [sottotitolo: «La storia dell’ultimo indiano Yahi»] e venne tradotto in italiano da Jaca Book nel 1985.
Di cosa morivano (e muoiono) i cosiddetti indios – nome sbagliato e mai corretto in 500 anni – si sa: malattie (scarlattina, morbillo, sifilide a volte “regalate” con coperte infette), pallottole, veleno sparso dagli allevatori e ingiustizie lunghe secoli.

TRE DOCUMENTI
Il primo è un articolo – di Omero Ciai su «Repubblica» del 1 settembre 2004 – che racconta un’altra versione dell’ultima degli Onas… che qui è Enriqueta (o Varela); c’è l’antropologo Palermo mentre Virginia è già morta (nel ’99). Colpisce l’insistenza sul «sangue intero», espressione misteriosa (come la definizione di «impura»); i giornalisti non solo credono alle razze ma, contro ogni evidenza, le immaginano determinate dal sangue?

Addio all’india Varela era l’ultima degli Onas
Lei era “impura”. Perché sua madre aveva sposato uno spagnolo, Ramon, e lei, a sua volta, aveva sposato Jesus Varela, un altro spagnolo. Ma Enriqueta Gastelumendi, morta l’ altro ieri a Usuhaia, Terra del Fuoco, all’età di 91 anni (li aveva compiuti lo scorso 15 luglio) degli Onas, la «tribù estinta» della Patagonia argentina, era davvero l’ultima discendente diretta visto che ne conservava testardamente la lingua e i costumi. Gastelumendi, o “india Varela” com’era conosciuta, ha trascorso quasi tutta la sua vita a disegnare e scolpire. Intarsiava la “lenga”, il legno della Terra del Fuoco, riproducendo volti e animali che, come per magia, rievocavano un’ epopea di diecimila anni (tanti ne vissero indisturbati gli Onas) e che, col solito senso di colpa dei colonizzatori, le erano valse numerosi omaggi: da quello di «cittadina illustre» del capoluogo alla dedica, per intero, della locale Casa della Cultura. Parlare degli Onas significa ricordare uno degli eccidi più terribili, e meno conosciuti, consumati ai danni degli indios del Sudamerica. Un genocidio perfetto, forse l’ultimo sterminio davvero totale, condotto e realizzato dai colonizzatori europei – inglesi e olandesi in maggioranza – in una delle ultime terre conosciute. Esclusa l’impura Enriqueta, infatti, degli Onas non c’è più traccia da almeno trent’anni. Ufficialmente l’ultima Ona, Angela Loij, morì nel 1974, proprio nei mesi in cui Bruce Chatwin metteva piede per la prima volta nell’isola della Terra del Fuoco. Più tardi ne venne scovata un’altra di sangue intero, Virginia Choquintel, nata nella missione dei Salesiani. La rintracciò Adriano Sofri, grazie ad una vecchia foto. Virginia è morta nel ’99, mentre secondo l’ antropologo Miguel Angel Palermo, l’ultimo uomo Ona sarebbe deceduto nel 1995. Si chiamavano Selk’nam, Onas era il nome che gli aveva dato l’ altra tribù indios della Terra del Fuoco, gli Yamana. Charles Darwin, nel 1830, li vide da bordo del “Beagle”, centocinquant’ anni dopo Chatwin li cercò disperatamente. Ma è soprattutto grazie allo scrittore cileno Francisco Coloane, che con loro visse e su di loro scrisse («Cacciatori di indios», tradotto da Guanda) che ne conosciamo usi e costumi. Alla metà dell’Ottocento, l’arcipelago della Terra del Fuoco, era abitato da tre popolazioni indigene. Tutte, con ogni probabilità, discendenti da tribù asiatiche che, dopo aver attraversato lo stretto di Bering, erano scese fino all’altro estremo del globo. Gli Onas abitavano la cosiddetta “Isla Grande” mentre ad ovest c’erano gli Alakaluf e gli Yamana. I primi erano cacciatori, gli altri pescatori. Yamana e Alakaluf abitavano la zona sud, dove oggi si trova Usuhaia, e vivevano praticamente sulle canoe dalle quali cacciavano i leoni marini. Gli Onas invece dominavano la pianura. Cacciavano il guanaco, un cugino dei lama andini ma più alto e veloce. Ne mangiavano la carne e con la pelle si vestivano. Erano – si narra – una popolazione robusta, atletica, altissima, brava con l’arco e le frecce che usava per cacciare. La loro lingua, raccolta in un vocabolario da un missionario inglese, Thomas Bridges, aveva 32mila vocaboli un po’ troppo carichi di consonanti. Nomadi, gli Onas erano anche poligami (le donne si occupavano di cercare altre mogli per i mariti, affinché gli spostamenti fossero meno faticosi), vivevano in clan familiari – massimo 50 individui – e non riconoscevano capi a parte i “kermal”, ossia gli anziani, i saggi. Lo sterminio ebbe inizio a metà dell’Ottocento, con l’ arrivo dei cercatori d’oro (compreso il famoso tesoro degli Incas) e degli allevatori di pecore. La scusa furono proprio le pecore. Abituati a cacciare i guanacos, animali furbi e molto veloci, gli Onas non potevano credere ai loro occhi per la facilità con cui riuscivano a infilzare le pecore. Per sottrargli la terra e impedirgli di cacciare pecore gli allevatori europei decisero di ucciderli tutti. Uno ad uno. Pagavano una sterlina per ogni paia di orecchi indios. Del “lavoro”, che andò avanti per anni, si occuparono un po’ tutti i nuovi arrivati: spagnoli, croati, francesi e italiani oltre agli allevatori inglesi che riempivano di lana pregiata le industrie britanniche. Quelli che non vennero uccisi «per una sterlina», perirono di malattie, quelle nuove portate dai colonizzatori, e di stenti. L’ infamia – si racconta – non conobbe limiti. Non avendo trovato oro, alcuni colonizzatori organizzarono retate e portarono in Europa gruppi di Onas per usarli nei circhi. Un certo Maurice Mautre divenne ricco grazie ad un gruppo di bambini Onas che portò all’Esposizione di Parigi del 1889. Messi in gabbia, li presentò come «cannibali» e li costrinse a mangiare carne cruda. Alla fine dell’Ottocento, gli indios Selk’ man in Terra del Fuoco erano appena tremila. Tanti ne contarono i sacerdoti salesiani che s’installarono nella zona nel 1893 per «evangelizzare» gli indigeni. Da allora, come nel caso della madre di Enriqueta, alcuni Onas nacquero proprio nella missione dei salesiani con i quali convissero per diversi anni. La loro estinzione come popolo, o meglio come società organizzata, risale alla metà del Ventesimo secolo. Enriqueta Guastalmendi era l’ultima discendente diretta per parte di madre. Molte delle sue opere sono conservate ad Usuhaia nel “Museo della fine del mondo”, altre sono state vendute dall’artista a turisti europei e americani per mantenere la sua famiglia. «Ho imparato da sola – raccontò qualche tempo fa a “La Naciòn” parlando delle sue sculture – giocando, è un dono di Dio e della Vergine, non è una idea mia, viene dal cielo, dalla mente o non so da dove». Enriqueta, nata il 15 luglio del 1913, era la più piccola di cinque figli di Ramon Guastalmendi, morto nel 1918, e di una Selk’ nam, battezzata come Maria Felisa, che morì nel 1949 senza aver imparato «nient’ altro che quattro o cinque parole di spagnolo».
COSI’ SU WIKIPEDIA
I Selk’nam, detti anche Ona, erano una popolazione di Nativi Americani abitante gli estremi lembi australi dell’America meridionale, localizzata nella Terra del Fuoco a Sud-Est dello Stretto di Magellano, ormai estinta. Sono conosciuti anche come Ona, il nome che avevano dato loro gli Yamana o Yaghan, i quali vivevano nei canali delle isole della Terra del Fuoco fino a Capo Horn e insieme agli Alakauf o Halakwulup o Kaweskar abitatori dei canali delle isole cilene a Nord-Ovest della Terra del Fuoco, formavano il gruppo dei cosiddetti Fuegini marittimi, occupanti le coste meridionali e occidentali e le isole minori dell’estremo Sud del continente americano. I Selk’nam e gli Haush, loro affini e pure estinti, detti Fuegini pedestri, rappresentavano uno dei principali gruppi Ona e si dividevano a loro volta in due gruppi, quello settentrionale e quello meridionale, tra loro ostili. Sono stati tra gli ultimi ad essere scoperti dai colonizzatori europei, nel XIX secolo.
I Selk’nam arrivarono in Argentina già 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale. Appartenevano probabilmente ad una seconda ondata migratoria, sviluppatasi a oriente della catena andina, ed è possibile fossero imparentati con i Tehuelches della Patagonia e i Guaicurù del Chaco con cui avevano in comune i tipi di maschera e i riti di iniziazione. Ma si ipotizza pure che tutte e tre le popolazioni indigene abitanti la Terra del Fuoco, discendessero da tribù asiatiche, le quali, attraversato lo Stretto di Bering, erano migrate fino all’altro estremo del globo. I colonizzatori europei li scoprirono solo intorno alla metà dell’Ottocento. Tuttavia il primo avvistamento si fa risalire al viaggio di Fernão de Magalhaês (Ferdinando Magellano), che il 21 ottobre del 1520 si avventurò attraverso lo stretto passaggio che metteva in comunicazione l’oceano Atlantico col Pacifico, dapprima chiamato Todos los Santos e poi ribattezzato col suo nome. Si racconta che lungo le rive di quel canale e in mezzo alle sue isole ardessero i fuochi accesi dai Nativi. Proprio questo fenomeno valse al luogo il nome di Terra del Fuoco. Charles Darwin, nel 1830, li vide a bordo del Beagle, formulando un giudizio che ne evidenziava l’arretratezza e la condizione di estrema barbarie. Nel 1869 venne fondata una missione anglicana che si stabilì nella Terra del Fuoco sotto la guida di R. P. Waite Hockin Sterling. Già da allora si sono potute identificare le tribù dei Nativi. Abbiamo, peraltro, diverse referenze su questi gruppi per mezzo della spedizione italiana guidata dall’esploratore Giacomo Bove, la quale ha lasciato numerosi scritti (presenti nella collezione dei Bollettini della Società Geografica Italiana che organizzò le sue spedizioni), dove sono descritti la vita e le abitudini degli indigeni. G. Bove guidò due spedizioni nella Patagonia e nella Terra del Fuoco negli anni 1881 e 1882, ed un’altra nell’Arcipelago di Magellano negli anni 1883 e 1884. Importanti sono anche gli appunti personali del Sottotenente di Vascello G. Roncagli (anche lui membro della spedizione Bove), che nel 1882 effettuò, con eminenti naturalisti, un viaggio a cavallo da Punta Arenas fino a Santa Cruz, documentato dal suo diario. Lo sterminio dei Selk’nam ebbe inizio a metà dell’ ‘800, con l’arrivo dei cercatori d’oro e degli allevatori di pecore, e fu perpetrato da Spagnoli, Croati, Francesi, Italiani e Inglesi. Si trattò di una vera e propria caccia all’indigeno che fissava compensi in denaro per chi ne uccidesse o provvedesse alla loro cattura, tanto che alcuni hanno definito lo sterminio dei Selk’nam come una delle pagine più ciniche del genocidio degli Indiani. I Selk’nam non poterono difendersi con le loro armi primitive. In seguito a malattie ed epidemie di vaiolo e morbillo (l’ultima datata al 1925), i Selk’nam morirono lentamente. Si è calcolato che attorno alla metà del diciannovesimo secolo la popolazione aborigena della Terra del Fuoco raggiungeva circa i diecimila abitanti. […] Alla fine dell’Ottocento, secondo il censimento della missione salesiana che si era installata nella Terra del Fuoco nel 1893, i Selk’nam erano 3000. Un gruppo di Ona catturato dai coloni venne esposto da un impresario alla Esposizione di Parigi nel 1889.
L’estinzione dei Selk’nam come popolo, o meglio come società organizzata, risale alla metà del XX sec. Le notizie concernenti la morte dell’ultimo rappresentante che avrebbe determinato la definitiva estinzione della tribù non sono chiaramente verificabili. Nel maggio 1974 morì l’ultima donna Selknam: Angela Loij, di sangue interamente indio, scomparsa proprio nel periodo in cui Bruce Chatwin metteva piede per la prima volta nell’isola della Terra del Fuoco. Secondo l’antropologo Miguel Angel Palermo l’ultimo Ona sarebbe deceduto nel 1995. Enriqueta Gastelumedi, morta a Ushuaia, all’età di 91 anni, il 30 agosto 2004, era figlia di madre indigena e padre spagnolo. Conosciuta come “india Varela”, era una scultrice dedita all’intarsio della lenga, il legno della Terra del Fuoco, attraverso cui faceva riaffiorare i simboli della cultura Ona. Molte delle sue opere sono conservate a Usuhaia presso il “Museo della fine del mondo”, altre sono state vendute dall’artista a turisti europei e americani per mantenere la sua famiglia.
INFINE QUESTO E’ UN COMMENTO di Alessandro Michelucci RIPRESO DA http://www.aamterranuova.it/ (21 luglio 2005). Interessante anche se cambia ancora la data della morte di Virginia Choquintel.
Il genocidio silenzioso
A tutti i popoli dovrebbe essere garantito il diritto di vivere senza lo spettro del genocidio. Eppure agli indigeni non è riconosciuto questo diritto e vengono spazzati via attraverso torture, assassini, carestie programmate. E’ proprio questo il loro destino?
La morte di Virginia Choquintel, avvenuta qualche mese fa a Rio Grande, segna la fine di una tribù, gli Ona, con novemila anni di storia. Capita di nuovo ciò che è già successo con gli indigeni della Terra del Fuoco (Argentina): il dover registrare la scomparsa dell’ultimo esemplare. Addio ultima Ona. In origine la Terra del Fuoco era abitata da quattro tribù: gli Haush (mangiatori di alghe); gli Onas e gli Yamanas (esperti canoisti); gli Alakaluf. Nel secolo scorso, però, colonizzazione e epidemie decimarono le tribù, sino alla scomparsa totale. Tutto ciò ripropone in materia drammatica l’atteggiamento di noi cosiddetti civilizzati nei confronti di quei popoli che amiamo definire primitivi, solo perché sono colpevoli di farsi portatori di un’altra cultura. C’è proprio bisogno di una riflessione più approfondita.
Mentre il secolo si avvicina alla fine vengono meno una dopo l’altra le speranze che erano state formulate dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il ripudio della guerra, del colonialismo e la fiducia in un diritto internazionale che potesse costituire un’alternativa al diritto del più forte appaiono finalmente per quello che sono: un sogno che è durato cinquant’anni e dal quale ci stiamo svegliando. Un risveglio così duro che molti cercano ancora di rinviarlo, ma è solo questione di tempo, perché prima o poi la realtà sarà troppo evidente per poter continuare a negarla.
Sepolcri imbiancati
Quello che è più duro, però, non consiste nel dover ammettere che ci siamo illusi, quanto nel dover ammettere che questo è accaduto perché la guerra, il colonialismo e l’oppressione non erano mai finiti. Non solo, ma che in questi anni sono riusciti a sviluppare una capacità mimetica che ne ha garantito al tempo stesso la sopravvivenza e la capacità di operare in piena libertà. Uno degli esempi più evidenti lo fornisce il colonialismo: oltre a non essere finito è stato riprodotto in modo spietato proprio dalle ex colonie: basti pensare alla tragedia di Timor Est, l’ex colonia portoghese invasa dall’Indonesia nel 1975 e annessa l’anno successivo. Il tema sul quale vogliamo soffermarci in modo più dettagliato è l’aggressione silenziosa, ma devastante, che colpisce nei modi più svariati i popoli indigeni del pianeta: basti pensare alla lotta disperata di quelli che combattono contro le multinazionali del petrolio e del legno, contro gli esperimenti nucleari e le loro spaventose conseguenze, contro l’ingegneria genetica che vorrebbe trasformarli in cavie umane. Tutti questi problemi, di cui molti difensori dei diritti umani continuano a disinteressarsi nel modo più totale, erano già evidenti nel 1982, quando alcune associazioni indigeniste nordamericane organizzarono la conferenza Native Resource Control and the Multinational Corporate Challenge: Aboriginal Rights in International Perspective (Washington, 12-15 ottobre 1982). Da allora sono passati 17 anni ma il documento finale rimane attualissimo, perché evidenzia i pericoli del “progresso” e dello “sviluppo” e ci ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, che gli indigeni non sono curiosi resti del passato, ma uomini e donne che lottano per avere un futuro.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 2 giugno avevo, fra l’altro, queste ipotesi: 455: Vandali a Roma; 1763: aspirina; 1882: muore Garibaldi; 1910: inizia la seconda parte di «L’urlo e il furore»; 1924: Cesare Mori in Sicilia; 1967: polizia tedesca spara; 1981: muore Rino Gaetano; 2006: muore Vittoria Giunti; 2009: decreto Maroni; 2069: nella fiction di Arthur Clarke gli alieni discutono su Occam e Tomaso D’Aquino. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • sabatino annecchiarico

    Grazie caro Daniele,
    ho letto velocemente, ma dopo lo farò con molta calma perché si merita una profonda e riflettuta lettura.

    Poi… leggo in questo paragrafo: “…della tribù degli Ona che venne bracciata dai coloni e dai cacciatori di taglie all’estremità dell’Argentina». Credo che dovrebbe dire “braccata” e non “bracciata”. Verifica.

    Bravo Db.
    A dopo,
    S.-

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