Scor-data: 20 aprile 1096
di Alexik
Il 20 aprile 1096 parte da Colonia la “crociata dei pezzenti” guidata da Pietro l’Eremita. Un armata Brancaleone di 20.000 fra contadini poveri, borghesi, briganti, galeotti, cadetti senza terra, con al seguito donne e bambini, si lancia alla volta di Gerusalemme, lusingata dalla prospettiva di un riscatto a base di saccheggi e occupazione di terre altrui. L’armata è benedetta dal papa Urbano II, che promette ai partecipanti la remissione dei peccati e, soprattutto, dei debiti terreni. L’esercito straccione è male armato e privo di denari, ma Pietro assicura che Dio provvederà. Peccato che Dio non provvede: al passaggio nei territori balcanici le popolazioni si dimostrano più che riluttanti a mantenere a scrocco quest’orda di scalmanati. Iniziano allora massacri e saccheggi, perché, naturalmente, “Dio lo vuole”. Slavi, Ungari e Magiari reagiscono con la guerriglia, decimando le truppe di Pietro ancor prima che mettano piede in terra santa. A sterminare i crociati sopravvissuti penseranno poi i Turchi al primo scontro.
Ma passiamo a una cronaca più dettagliata delle eroiche gesta di sto branco di idioti.
L’avanguardia crociata guidata da Gualtiero Sans·Avoir (Senza Averi) parte per prima, un po’ perché scalpita di impazienza, e un po’ perché anche gli abitanti di Colonia non riescono più né a sopportarli né a mantenerli.
Belgrado è la prima città a fare le spese del loro passaggio, quando le truppe di Gualtiero iniziano a razziare i suoi dintorni. Pare che anche allora i serbi fossero piuttosto restii a farsi fare la pipì in testa dal primo venuto: la guarnigione della città esce, chiude un certo numero di crociati in una chiesa e gli da fuoco, altri ne ammazza in battaglia. Ai prodi di Gualtiero tocca proseguire sotto scorta, gentilmente fornita dall’imperatore di Bisanzio per controllare che non facciano altri danni.
Ma il peggio per quei territori deve ancora arrivare: incombe su di loro il grosso della spedizione, guidata da Pietro l’Eremita a cavallo del proprio asino. I crociati attaccano la cittadina di Zemun, vicina a Belgrado ma in territorio ungherese, ammazzando 4000 uomini e saccheggiando ogni provvista. Poi, per sfuggire alla rappresaglia, guadano il fiume Sava e si danno alla fuga oltre il confine bizantino, travolgendo e massacrando la guarnigione di frontiera. Bisanzio gli offre il vettovagliamento in cambio di una veloce traversata dei territori dell’impero, nella speranza di scavarseli dagli zebedei il prima possibile, ma la trattativa langue e i crociati si annoiano. Per ammazzare il tempo cominciano a dedicarsi all’incendio dei mulini sul Sava
Quando è troppo è troppo !!!
Il governatore bizantino della provincia ordina l’attacco, ne accoppa a migliaia e altrettanti ne imprigiona a vita. Cattura anche il tesoro delle donazioni fatte a Pietro, lasciando così la crociata senza una lira. I superstiti vengono raggiunti a Sofia dalla scorta dell’imperatore che li bada fino a Costantinopoli. Lì ricevono il perdono del magnanimo Alessio, e tutti contenti ricominciano a saccheggiare i dintorni della capitale, rubando perfino il piombo dai tetti delle chiese. C’è da dire che finora la spedizione “contro i turchi” ha fatto solo vittime cristiane: per i crociati di rito latino, infatti, tutti gli altri sono una sottospecie di eretici.
Lasciata Costantinopoli l’esercito di Dio attraversa il Bosforo e prosegue allegramente depredando case e chiese. Un litigio provoca una scissione fra i francesi e i tedeschi, e le due fazioni cominciano a giocare a chi saccheggia di più, sfinendo le popolazioni locali che vengono massacrate a turno prima dall’ una e poi dall’altra. Si susseguono le razzie di bestiame, gli stupri e le torture, si narra anche di bambini arrostiti sugli spiedi. La fazione tedesca conquista il castello turco di Xerigordon e lo sceglie come propria roccaforte, ignorando che le fonti d’acqua sono tutte esterne alle mura. Ci mette un attimo il sultano del luogo a prenderli per sete: dopo 8 giorni i crociati si arrendono. Chi non abiura conosce la scimitarra, chi rinuncia a Cristo rimane vivo ma viene spedito in prigionia ad Antiochia, Aleppo e fin nel lontano Khorasan.
La notizia della resa sparge il panico anche tra le file della fazione francese accampata a Civetot. Non sanno che pesci prendere, anche perché il capo, Pietro l’Eremita, è tornato prudentemente a Costantinopoli a chiedere rinforzi.
Un certo Goffredo Burel prende il comando, infiamma l’esercito che già scalpita e lo lancia alla pugna contro i Turchi. Non fanno manco in tempo a uscire da Civetot : a soli tre miglia dal campo, dalla boscaglia gli arriva una grandinata di frecce scatenando il panico. La cavalleria in fuga calpesta i fanti, tutti corrono disordinatamente all’accampamento, dove sono rimaste le donne, i vecchi e i malati. I Turchi li vincono senza troppa fatica, e provvedono a fare definitivamente piazza pulita.
Tocca all’imperatore di Bisanzio, Alessio il paziente, di allestire una flotta armata per andarsi a riprendere i tremila superstiti. Gli concederà una sistemazione nei sobborghi della capitale, privandoli però delle armi, che di cazzate ne hanno già fatte abbastanza.
Pietro l’Eremita, rimasto con le chiappe al sicuro a Costantinopoli, se la cava, e guadagna, grazie ai risultati ottenuti nell’impresa, il soprannome di “Pietro e Amen”.
non fu, purtroppo, l’unica ‘crociata” a tradursi in violenze contro altri cristiani: quella contro i catari o albigesi fu anche piu’ esplicita. Si potrebbe forse ricordarla con il massacro di Meziers…