Scor-data: 22 marzo 1980
Bolivia: Luis Espinal, sacerdote militante e giornalista sociale viene ucciso dai paramilitari
di David Lifodi (*)
È il 1968 quando Luis Espinal, sacerdote militante e giornalista sociale, decide di recarsi in Bolivia: ci rimarrà fino al 21 marzo 1980, quando sarà sequestrato dai paramilitari inviati dal presidente García Meza, torturato e assassinato. Solo tre giorni dopo, in El Salvador, avrà la stessa sorte monsignor Oscar Romero, anch’esso ucciso dai paras.
Luis Espinal si mise subito al servizio del popolo boliviano: era giunto nel paese andino da una cittadina nei dintorni di Barcellona, Manresa, dove era nato nel 1932. Nel 1970 prese la cittadinanza boliviana, produsse numerosi cortometraggi per la televisione boliviana e insegnò in qualità di docente in comunicazione sociale presso l’Universidad Mayor de San Andrés y Católica di La Paz: i maggiori problemi, però, per Espinal giunsero nel 1979, quando divenne direttore del settimanale Aquí, tramite il quale condusse numerose inchieste contro i vari governi dittatoriali susseguitisi senza sosta nel paese andino. Studioso di filosofia e teologia, Luis Espinal arrivò in Bolivia in fuga dall’oppressione franchista, ma dal 1971 fu costretto a fare i conti con il golpe militare di Hugo Banzer, senza contare che, in precedenza, aveva trovato alla guida del paese il generale Barrientos. In Bolivia Espinal si trasformò in un militante della giustizia sociale, denunciando gli abusi della dittatura, la mancanza degli spazi di libertà e attaccando quella parte di chiesa boliviana reazionaria e vicina ai militari. In un programma di Radio Fides definì i nuovi cardinali paceños come “il senato più decrepito del mondo”. Era il 1973, e Lusi Espinal si beccò un richiamo dal Nunzio Apostolico, ma non ritrattò né si scusò per quanto aveva detto, anzi, proseguì nelle sue critiche ai vertici ecclesiastici e militari. Il suo programma tv En carne viva, per la Televisión Boliviana, insieme al settimanale Aquí, ospitò le opinioni dei movimenti sociali, ma il servizio che fece più scandalo fu un’intervista ai guerriglieri dell’Ejercito de Liberación Nacional, insieme a denunce circostanziate sull’alto livello di corruzione del governo boliviano e sulle ripetute violazioni dei diritti umani. Luis Espinal militava anche nell’Asamblea Permanente de los derechos Humanos, che organizzò numerose iniziative soprattutto durante gli ultimi anni in cui Hugo Banzer fu al potere: quella più significativa avvenne nel 1977, quando Espinal si unì allo sciopero di quattro donne mineras, Aurora de Lora, Luzmila de Pimentel, Nelly Paniagua e Angélica de Flores. Lo sciopero si rese necessario per esigere l’amnistia per gli esiliati politici, il riconoscimento dei diritti sindacali e il ritiro dell’esercito dalle città minerarie. Nel frattempo Luis Espinal era stato licenziato dal quotidiano Presencia perché, in una sua critica cinematografica, aveva espresso una critica contro il protagonista di un film più vicino al potere che alle classi popolari. Il sacerdote catalano si era talmente immedesimato con le sorti del popolo boliviano che, in occasione dello sciopero della fame, dichiarò: “La mia condizione è quella di un intellettuale piccolo borghese pronto ad immergersi in un’esperienza storica, popolare e rivoluzionaria come quella boliviana”. Espinal si sentiva boliviano a tutti gli effetti, nonostante il governo lo attaccasse quotidianamente come straniero indesiderato, fino a dichiararsi disponibile a dare la propria vita per i diritti della gente del paese andino, dove era giunto quasi dodici anni prima. Le sue parole furono purtroppo profetiche perché fu ritrovato assassinato il 22 marzo 1980 con 14 colpi sparati sul suo corpo. L’omicidio di Espinal commosse tutto il popolo boliviano: la Central Obrera Boliviana (Cob) cercò di promuovere un’indagine indipendente che facesse luce sulla sua morte, di cui i principali responsabili furono Luis Arce Gómez (ministro degli Interni del presidente García Meza, estradato nel 2009 dagli Usa, dove stava scontando 18 anni di carcere per narcotraffico, alla Bolivia, e condannato a 30 anni di prigione per genocidio), Guido Benabides e Rafael Loayza. García Meza e Arce Gómez sono “due nomi per la storia dell’infamia boliviana”, scrisse il poeta e cineasta Alfonso Gumucio, uno degli amici intimi di Luis Espinal. Sulla tomba del sacerdote, sepolto nel Cementerio General di La Paz e sequestrato all’uscita di un cinema, dove si era recato per assistere alla proiezione del film Los desalmados, sta scritto: “Martire per la democrazia”. Espinal fu ucciso perché era una delle poche figure in grado di unire i movimenti sociali boliviani e, al tempo stesso, godeva di un’aurea di rispetto e ammirazione condivisa.
Il sacrificio estremo compiuto da Espinal, quello di mettere in gioco la sua vita per il popolo boliviano in un contesto sociale difficilissimo, lo inserisce di diritto tra i caduti per un’America Latina libera e indipendente dall’oppressione
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
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