Scor-data: 23 marzo 1307
Fra Dolcino, una rivoluzione socialista medievale, 704 anni fa la sconfitta del movimento degli Apostolici
di Mauro Antonio Miglieruolo (*)
Fra Dolcino appare ed è, nelle cronache dell’epoca e in gran parte di quelle di oggi, l’eretico che dall’interno della Chiesa tenta di raddrizzarne il percorso, andando incontro al solito inevitabile fallimento (dal quale il primo a salvarsi è Lutero). Parte come innovatore e finisce con il diventare un ribelle contestatore: la violenza cieca e illimitata del potere che ha di fronte, un potere dispotico persino peggiore di quello laico dei suoi tempi, non gli lascia altra scelta che di impugnare anche lui le armi per difendere le vite dei suoi seguaci e anzitutto l’esistenza della personale e collettiva idea di cristianesimo.
Uguale in questo agli innovatori di ogni tempo, per progettare il futuro, gli occorre volgere lo sguardo al passato. Ai mitici tempi d’oro che in ogni movimento, all’interno di ogni cultura, sono rappresentati dagli inizi (il marxismo ha vissuto ieri una tendenza analoga, il ritorno a Marx; ma già oggi sappiamo che il ritorno a Marx, affinché abbia efficacia ed abbia senso e produca frutti, comporta l’andare oltre Marx). Il problema di Fra Dolcino e dei tanti che si sono misurati con lo strapotere della Chiesa è che l’immagine che se ne sono fatta e contro la quale lottano, è totalmente arbitraria: un’immagine immaginaria (nota uno) della passata entità alla quale fanno riferimento. La Chiesa che prende sostanza dopo la morte di Cristo, la chiesa dell’origine, è essa stessa altra cosa dall’ideale al quale fanno appello. Salvo che nei primissimi anni, non è mai esistita una predicazione in accordo con quella del Nazareno. Di mezzo c’è l’intervento devastante di Paolo di Tarso, che incanala sul piano intellettuale quello che Cristo tentava di realizzare sul piano psicologico-animico-esistenziale.
L’irruzione del paolismo nel cristianesimo produce proprio le conseguenze che gli Apostolici lamentano e del quale tutta l’umanità soffre gli effetti; pertanto risulta illusorio il ritorno a quei primi tempi (tempi paolini). Non si tratta di tornare alla purezza propria agli inizi, mai si tratta di tornare alla purezza degli inizi, ma di ripensare la propria storia per individuare i punti critici da correggere, per pensare, attraverso una “lettura sintomale” del pensiero dal quale si è scaturiti, nuovi possibili percorsi. Vale per il Cristianesimo, come vale per ogni altro fenomeno scientifico, artistico, ideologico presente nella storia (nota due). Per meglio chiarire questo punto concludo precisando che il punto critico, il punto di non ritorno, è dato dallo spostamento operato da Paolo di Tarso della problematica cristica, la quale prevede la realizzazione del Regno di Dio dentro le persone qui ed ora, per rimandarla a un incerto ipotetico Regno nell’aldilà del quale però nessuno è in grado di dire alcunché di comprovabile e decisivo (fonte prima del dogma). Con Paolo dall’immanente si passa al trascendente.
2 – Le cause
Quando Dolcino eredita la responsabilità di condurre gli Apostolici, grande movimento medioevale dalle connotazioni non esclusivamente religiose, si è già ai ferri corti con le gerarchie ecclesiastiche. Una situazione di scontro che porterà Gherardo Segarelli sul rogo nel 1300. Una morte, quella di Segarelli, che non farà arretrare il movimento. Che anzi rafforzerà la determinazione di Dolcino e degli altri seguaci di seguirne le orme. Ma lo faranno con accenti diversi e maggiore determinazione nel combattere il potere.
La personalità di Dolcino spicca su tutte le altre, presenta caratteristiche personali proprie a tanti di coloro che riescono nell’impresa di mobilitare le energie del popolo. Carisma, oratoria, passione, disinteresse, sincera adesione ai propri ideali. Come lui altri nei nostri giorni, rivoluzionari della modernità (Fidel, Trotsky, il Consigliere… di cui pochi giorni fa si è parlato in blog) si sono mostrati datati della medesima energia e in possesso di una volontà di riscatto d’acciaio (che non è la stessa cosa che dire o definirsi uomo d’acciaio). Pochi però sono riusciti a stabilire con i seguaci un legame altrettanto forte sul piano personale (a parte forse solo il Consigliere), o meglio interpersonale, che è essenziale per intendere le forme presumibili di interrelazione che saranno adottate nella società comunista del prossimo futuro (nota tre).
Tuttavia nel momento in cui raccoglie l’eredità di Segarelli i veri problemi del movimento, pur se ha già scontato la dura mano del dispotismo papale, sono di là da venire. I contrasti con gli ecclesiastici sono sì gravi, ma ancora solo formali. Ancora un punto di ritorno non è stato superato. Ciò che si pretende dagli aderenti è ancora fondamentalmente una questione di potere, l’ossequio alle gerarchie (Francesco d’Assisi si è salvato proprio per avere accettato di prestare tale ossequio). Negli anni successivi al Concilio di Lione (1274), che rappresenta una sorta di dichiarazione di guerra contro tutto il nuovo in formazione, non si è consolidata uno specifico atteggiamento di ostilità contro agli Apostolici. Il problema della loro autonomia di pensiero è diluito in quello più generale dei nuovi ordini che proliferano all’interno della Chiesa e dei quali la Chiesa diffida. A mano a mano però che la situazione è normalizzata attraverso i consueti mezzi repressivi, si stringe il cerchio attorno a loro determinato dalle decisioni di papa Onorio e confermati dai papi successivi (nel 1286 Onorio IV emana la bolla “Olim felicis recordationis” che comporta per gli Apostolici l’alternativa obbligata, pena l’imprigionamento, di deporre l’abito talare o di entrare in uno degli Ordini ammessi e riconosciuti, all’interno del quale possono essere corretti o quantomeno controllati. L’obbligo viene ribadito da Niccolò IV nel 1290 e nel 1296 da Bonifacio VIII). Gli Apostolici, in particolare sotto Dolcino, reagiranno alla rigidità papale irrigidendo a loro volta le loro posizioni; e rivolgendosi con crescente decisione ai settori più poveri della popolazione (gli umili), i più propensi a assecondare atti di ribellione. È proprio per la necessità di stringere i legami con “gli ultimi” che il movimento andrà assumendo contenuti non propriamente religiosi. Ed è la progressiva adesione di questi ultimi a rendere irreversibile la scelta di radicalizzare gli orientamenti del movimento. È a questo punto, nel momento in cui, sotto la direzione di Dolcino, gli Apostolici fanno proprio un programma da “leveller” inglesi o “ugualizzatori” buonarrotiani che la persecuzione, sotto la direzione di Clemente V, un papa decisamente inclemente, diventerà implacabile. Contro gli Apostolici viene bandita una vera e propria campagna militare che porterà alla distruzione del movimento.
3 – Il programma e la crisi
Segarelli aveva avuta l’audacia di invitare i propri seguaci a farsi simili agli Apostoli e andare in giro per il mondo affidando la propria sopravvivenza alla generosità dei fedeli: nulla di più negativo per una chiesa che vede nel predicazione della povertà il proprio peggior nemico (per aver preconizzato forme di pauperismo simile Francesco d’Assisi fu vicino ad andare anche lui al rogo). Una predicazione quella del Segarelli vissuta dalle gerarchie come una sorta di implicito rimprovero: una sorta di denuncia degli sfarzi dei vizi e della vita da principi che conducono, alle spalle di un popolo costantemente alle prese con il problema del cibo da rimediare per il giorno dopo. Naturalmente non si tratta solo di questo. Altri aspetti sollecitano la rabbiosa reazione dei vescovi (tra questi mia piace rammentare l’atteggiamento positivo nei confronti delle donne, alle quali era concesso ad esempio di predicare; oppure la noncuranza con la quale consideravano i voti espressi; o, ancora, la mancata distinzione tra celibi e sposati essendo ciascuno responsabile solo per se stesso).
Dolcino, come accennato, si spinge ancora più avanti e per questo sarà bollato come “extra”, esterno alla Chiesa, nemico dei suoi indiscutibili dogmi. Probabilmente si rende conto dell’impossibilità di riformare la Chiesa senza introdurre contemporaneamente cambiamenti radicali nella società che proprio su quella chiesa trova i propri fondamenti (da qui il ricorso ai più poveri, cioè a coloro che non hanno nulla da perdere).
Il programma di Dolcino può essere riassunto nei seguenti 4 punti (che qualcuno ha voluto definire “da rivoluzione francese”, ma che possiedono caratteristiche maggiormente “da rivoluzione russa”):
– ritorno alla Chiesa della origini
– abolizione delle gerarchie ecclesiastiche
– abolizione di ogni altro potere costituito
– e quindi: dissoluzione del sistema di dominio feudale e sua sostituzione con una società di uguali, nella quale dovrebbe vigere la comunione dei beni e la parità di diritti tra donna e uomo
Ma quel che più di tutto vale dell’insegnamento di Dolcino va oltre lo stesso programma eretico e sociale. È qualcosa che riguarda la modernità, l’essere proprio dell’uomo. Egli è il primo che afferma il primato della coscienza e che libertà anzitutto è difesa dal tentativo dei despoti di appropriarsi o comunque delegittimare l’interiorità dell’uomo. Libertà è dunque un pensare e sentire autodeterminato. La regola viene da Dio, ma sta alla persona interpretarla. Al posto di ciò che pratica il potere che impone un’unica misura agli uomini, l’uomo come misura di tutte le cose.
Un programma radicale, troppo rispetto la realtà dei propri tempi e lo sviluppo delle classi sociali. Un programma che sui tempi lunghi è difficile possa avere successo. Eppure è proprio la radicalità del programma che gli permette, per anni, di raccogliere abbastanza forze da tenere in scacco le forze feudali che ha di fronte (praticamente l’intero mondo conosciuto). Dolcino, nonostante i rapporti di forza sfavorevoli, come tutti i rivoluzionari ai quali non viene lasciata altra scelta, fa il suo tentativo. Nel 1305 si asserraglia con i suoi seguaci sul Monte Parete Calva, una fortezza naturale che con l’approntamento di poche difese diventa imprendibile. L’inquisizione sembra essere stata resa impotente. Dolcino non ha fatti i conti però con l’inverno. Con il freddo e la fame, nemici particolarmente insidiosi. I dolciniani sono costretti a scendere a valle e a fare razzie per sostentarsi. Si verificano attriti con la popolazione che inizialmente li sosteneva. In primavera allora decidono di spostarsi. Ha inizio una lunga marcia attraverso le montagne che porterà i superstiti nella regione del Monte Rebello. Sono incalzati dalle truppe del vescovo Raniero Avogadro (Vercelli).
Sul Monte Rebello si consuma la tragedia. L’assedio a cui sono soggetti unita alla scarsezza delle risorse alimentari, rende l’inverno del 1306 particolarmente terribile, più pesante di quello precedente, dal quale sono usciti stremati. Possono combattere i crociati del vescovo Raniero, non possono nulla contro la fame e il freddo. Nel 1305 ancora era possibile contrastare questi nemici insidiosi scendendo a valle per procurarsi quello di cui hanno bisogno. L’assedio invece inibisce anche questa possibilità. La primavera del 1307 li trova ridotti di numero e debilitati.
Quando a marzo del 1307 scendono dal monte è per la loro ultima battaglia. Le forze sono impari, sia dal punto di vista numerico che per le differenti condizioni fisiche. Eppure affrontano lo scontro senza esitare. L’esito è inevitabile. I dolciniani vengono sconfitti e Dolcino stesso con i suoi luogotenenti catturato (tra di loro anche la compagna della vita, Margherita Boninsegna).
Il primo giugno 1307, dopo aver subito atroci torture e costretto a assistere alla fine dell’amatissima Margherita, Dolcino viene arso vivo a sua volta.
Ecco con quali toni il Santo Padre comunica la notizia al re di Francia:
“Ci sono giunte notizie graditissime, feconde di gioia ed esultanza, perché quel demone pestifero, figlio di Belial e orrendissimo eresiarca Dolcino, dopo lunghi pericoli, fatiche stragi e frequenti interventi, finalmente con i suoi seguaci è prigioniero nelle nostre carceri […] la numerosa gente che era con lui, infettata dal contagio, fu uccisa quel giorno stesso.”
Dolcino no, quello stesso giorno non viene ucciso. A lui l’usurpatore del soglio di Pietro aveva riservato un ben più infelice destino.
(Uno) Immagine immaginaria: doppia costruzione di una Chiesa ideale, quella dei loro tempi, che non ha nulla a che vedere con quella reale, che di cristiano a malapena conserva qualche parola d’ordine, che si guarda bene dal far vivere nella realtà. Una chiesa che, pur accettando di valutarla al netto dei suoi innumerevoli “difetti”, si contrappone radicalmente alla predicazione del Nazareno. Ma ideale anche l’antica, quella delle origini, come gli Apostolici (e tanti altri eretici) amano immaginarla, ma che non è mai effettivamente esistita. Se non per qualche importante aspetto, al quale si rifanno, relativo alla tensione egualitaria che sembra presente tra i primi convertiti, tensione che però i vincitori delle lotte intestine all’interno dl movimento cristiano si sono affrettati a cancellare. Il problema è che la Chiesa, Una Santa Cattolica e Apostolica, prima almeno del Concilio di Nicea (e per un certo tempo anche dopo), alla quale il mondo conosciuto del XIII secolo faceva riferimento e all’esistenza della quale non era abituato, nei primi secoli non esisteva. Prima esistevano molteplici sette in contrasto tra loro e nessuna di queste sette (salvo quella adottata dall’Impero come religione ufficiale; e solo dopo essere diventata religione ufficiale) aveva avuto un ruolo prevalente. Salvo la più distante dalle dottrine che poi comporranno il cristianesimo reale, quella che impropriamente è conosciuta come eresia gnostica. La Gnosi è probabilmente il movimento cristiano più vasto e diffuso dei primi secoli, dotata di una capacità di coinvolgimento tale che i suoi avversari hanno ritenuto impossibile averne ragione se non a prezzo della eliminazione fisica totale. Eliminazione delle persone, eliminazione degli scritti, eliminazione delle idee.
A questo proposito è da sottolineare la beffa che la storia ha giocato a danno degli Apostolici (una delle tante con le quali il destino si prende gioco degli uomini). Il movimento Apostolico infatti riandava (già col nome) a un periodo dominato dalla predicazione di un non Apostolo, e militavano in una chiesa che era frutto ultimo dell’intelligenza di quest’uomo, quello famoso caduto sulla strada di Damasco, il grande Paolo, che irrigidirà il nascente cristianesimo per mezzo di una operazione di invenzione di una dottrina che portava il nome di Cristo, ma non era possibile dedurre dagli atti e dalle parole di Cristo. Lo faceva mettendo in campo acrobazie intellettuali simili a quelle che hanno permesso a Kautsky di compiere la medesima operazione ai danni del marxismo (siamo marxisti, siamo umani: la lingua batte sempre dove il dente duole!).
(Due) Ribadisco: non si tratta di imprimere una correzione di rotta a una situazione compromessa richiamandosi ai tempi eroici delle Catacombe o della presa del Palazzo d’Inverno (vale per la Chiesa, ma vale anche per le tendenze comuniste attuali), ma di individuare negli inizi, dopo aver enucleato gli errori che ne hanno provocato la deviazione, gli elementi fondamenatli in grado di aiutarci a dare vita a un nuovo inizio.
(Tre) A differenza di quanto si crede alla proprietà collettiva (cioè NON statale) dei mezzi di produzione non corrispondono forme di organizzazione delle persone per gruppi (grandi o piccoli che siano), basati su caratteristiche generali (generalizzanti) che si presume che dovrebbero far proprie. Lo stesso vale per le idee, le inclinazioni, l’atteggiamento rispetto alla religione, l’arte, i problemi tipici che comporta il convivere in grandi gruppi. Dentro queste idee gli uomini si muovono come persone, non come individui determinati da esigenze superiori a loro. Perché il comunismo è fondamentalmente, oltre che essere una organizzazione sociale fondata sugli interessi della generalità degli agenti sociali che la tengono in piedi, è anche sviluppo delle singole personalità, libero sviluppo della personalità e libere relazioni tra i vari soggetti; che in nessun caso possono essere definiti individui (caratterizzati dall’egoismo e dell’angusta visione del ristretto interesse personale), ma appunto portatori di soggettività il cui interesse si identifica nella comunità perché la comunità si fa garante del pieno e libero sviluppo delle soggetività.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)
Splendido! Lo leggerò attentamente e con calma.
Grazie,
Giorgio