Scor-data: 24 aprile 1970
Il papa “contestato” alla periferia di Cagliari e le balle mediatiche che fecero (e fanno) il giro del mondo
di d. b. (*)
Se digitate in rete «Paolo VI sant’Elia» (o voci simili) troverete molti rimandi al papa «preso a sassate». Invenzioni poliziesche e giornalistiche. La storia fu assai diversa e io oggi ne recupero un bello spicchio. Lasciando la parola ad Antonio – ma per tutte/i è Antonello – Pabis (non è stata una gran fatica rintracciarlo, è un amico; però in tanti anni questa vicenda non me l’aveva raccontata) che quel giorno era lì, fu arrestato, tenuto in carcere per 7 mesi e poi del tutto prosciolto. (db)
Ricordo bene. Avevo 23 anni ma in un certo senso ero più “piccolo” della mia età: appena sbarcato a Cagliari dalla montagna, lavoravo ma andavo alle serali perché non avevo finito la scuola.
Ben prima dell’arrivo del papa, al quartiere sant’Elia, è attivo «Dioniso», un gruppo teatrale che si definisce anarchico: attività sociali e culturali nel quartiere, nulla di “bombarolo” come forse immaginano i poliziotti.
Il papa arriva in un quartiere che muore di abbandono e, come sempre in questi casi, spendendo – in coreografie, vigilanza ecc – molti milioni (anche delle istituzioni sarde): non tutti gradiscono tanto spreco.
Un’altra premessa. Per capire cosa davvero accade il 24 bisogna tener presente che qualche giorno prima la polizia sequestra, senza verbali dunque in modo irregolare, al gruppo Dioniso un megafono: era stato usato in quartiere (anche in comizi volanti, mi pare) ma non funzionava più; come si vedrà anche in sede processuale, ironizzando sull’efficienza delle forze dell’ordine.
Il gruppo Dioniso è di continentali (forse toscani, non ne sono sicuro) ma con adesione di gente del posto. Sono sistemati in una tenda, abbastanza lontano dalla chiesa (400 metri forse) dove il papa avrebbe parlato.
Io mi ero avvicinato al quartiere per curiosità e per la stessa ragione rimango a sentire il papa. E’ una visita veloce e Paolo VI va via senza che nulla turbi il previsto “show”.
Solo a quel punto – cioè dopo che il papa se n’era andato – il gruppo Dioniso si mette a protestare: “ridateci il megafono”. Ricordo solo quella parola “Megafono”. Ne parlo con un collega di lavoro dicendo che la loro protesta mi sembra avventata nel modo ma giusta nella sostanza. Mi avvicino al gruppo e a voce alta dico: «sediamoci per terra a mani alzate» e do l’esempio. A quel punto il papa con il suo corteo è lontano almeno un chilometro, direi se ne era andato da 10 minuti circa. Eppure la polizia inizia a caricarci, picchiando soprattutto con le catenelle delle manette. Io sono preso immediatamente e caricato sul cellulare. Forse il primo. Per la verità sono uno di quelli non pestati. Ad altri dopo di me va peggio.
Qui entrano in ballo i giovani di Sant’Elia: “brutti, sporchi e cattivi” si potrebbe dire perché in un quartiere povero ci sono statisticamente più ladri, puttane e gente arrabbiata che altrove ma anche ovviamente ragazzi generosi. Quel giorno comunque si capisce che molta gente del posto è indignata per lo “spreco” del papa ma anche per il suo breve, ambiguo discorso. Ed è a questo punto, cioè pochi minuti dopo l’intervento provocatorio della polizia, che scoppia la famosa sassaiola. Quelli presi dopo di me mi raccontano (io ero già dentro il cellulare) che da una sorta di collinetta partono molti sassi e li sento anche sul furgone dove mi hanno chiuso. Che ci fosse o no un anarchico lì in mezzo non saprei ma di sicuro la cause più probabili dei sassi sono due: la protesta immediata contro la prepotenza della polizia e una rabbia più antica magari mescolata a una spavalderia tipica dei giovani che vivono nelle periferie. Ho visto successivamente in un video “un gigante” che le dava a una decina di poliziotti che lo avevano accerchiato. Altro non so dire. So che i fermati furono 150 o giù di lì.
Poche ore o forse minuti dopo già partono le “veline” per raccontare un’altra storia, di sassi contro il papa.
Rimaniamo in carcere per 7 mesi, in una ventina. Al processo (lungo e pompato cioè drammatizzato dai giornalisti) io vengo assolto: a scagionarmi persino la testimonianza di due poliziotti. Quasi tutti sono assolti. Se ricordo bene arrivano solo 3-4 condanne per reati minori, “concorso in resistenza” o simili.
Uscendo da quella esperienza (7 mesi in carcere non proprio una passeggiata) decido di abbandonare le scuole serali e di prendere parte attiva alle iniziative proprio in quel quartiere. E’ la svolta della mia vita verso un impegno sociale che continua tutt’oggi.
DUE NOTE
A questo ricordo aggiungo una nota giornalistica sul discorso di Paolo VI e una buffa storia che si verificò qualche mese dopo.
In rete potete leggere gli stralci o anche il discorso integrale del papa a sant’Elia: un testo davvero curioso con una «excusatio non petita… » dopo l’altra; potremmo tradurre così (per chi non è stato costretto a studiare il latino) l’intera frase quasi proverbiale e volendo anche un po’ freudiana: «scusa non richiesta è accusa manifesta». All’esordio Paolo VI dice: il vostro non è un bel quartiere. Poi aggiunge: proprio perché siete poveri avete dignità. E ancora: mi chiedete fatti, ma io posso darvi solo parole… E la gran bugia prima della benedizione finale: non crediate che il papa sia ricco. Insomma non proprio il discorso giusto per rasserenare gli animi.
La buffa storia, collegata alla sassaiola di sant’Elia, invece è questa. Qualche settimana (o forse qualche mese? Non ci giurerei) dopo la sassaiola «papale», un collettivo romano deve stampare una pubblicazione politica ma si ritrova senza soldi. Qualcuno propone di mettersi una domenica in via della Conciliazione (all’ingresso di piazza san Pietro insomma) a vendere «reliquie». Facce stupefatte e poi risate: l’idea infatti è di spacciare un po’ di pietre e di mezzi sampietrini raccolti qua e là come gli «oltraggiosi sassi» tirati a sant’Elia. I più scettici del collettivo sostengono che neanche il più bigotto ci cascherà. E invece… Viene allestito un banchetto che ha un successo clamoroso: le «pietre della vergogna» vengono tutte acquistate. Si valuta persino se fare il bis ma poi prevale la prudenza. Il collettivo fa il suo libretto e medita (non troppo seriamente) se adottare come motto la frase «l’inferno è lastricato di pietre e di ingenui». Credo che questa storia non sia stata mai raccontata (all’inizio per paura che scattasse una denuncia per «abuso di credulità popolare» o cose simili) ma mi pareva troppo bella per tacerla oggi. (db)
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 24 aprile avevo queste ipotesi: innanzitutto è il giorno in cui si ricorda lo sterminio (1915) degli armeni; poi nel 1533 nasce Guglielmo d’Orange; 1915: nasce Agata Carelli (suora scomoda; 1916: insurrezione in Irlanda; 1945: i nazisti uccidono Gina Galetti Bianchi; 1954: nasce Mumia Abu Jamal; 1955: si chiude la conferenza di Bandung; 1956: negli Usa dichiarata incostituzionale la segregazione nei mezzi pubblici; 1969: primi attentati, fintamente anarchici e in realtà fascisti, di quella che sarà poi chiamata «strategia della tensione»; 1979: si uccide Lucio Mastronardi; 1980: muore Ken Horne, «paziente zero» dell’Aids: 1987: il Vaticano respinge la richiesta di estradare Marcinkus; 1990: lanciato Hubble; 1998: in un incidente stradale muoiono due giovani braccianti italiane reclutate dai caporali; 2003: su «il manifesto» Luigi Pintor scrive: «la sinistra italiana che conosciamo è morta». Chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.
Molte le firme (forse non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)
Proprio una micro-storia esemplare per molti versi!
RICEVO da Mauro Manunza.
Leggo (quasi) sempre il blog e quasi mai trovo il tempo per dir qualcosa. Così è stato, per esempio, nel caso di Antonello Pabis che a distanza di 43 anni ha risfoderato l’episodio di Sant’Elia e Paolo VI.
Con un po’ di ritardo ti assicuro che Antonello ha detto il vero: non c’è nulla di inesatto, anzi offre qualche dettaglio che non conoscevo. Posso dirlo perché fui io a seguire per «l’Unione Sarda» il processo in tribunale, dove la verità venne a galla in modo assoluto. In realtà, tutto nacque da un gesto inconsulto della polizia (ma guarda…) che dopo aver sequestrato il megafono (per timore di una contestazione verbale al Papa) non volle restituirlo. Infatti quel megafono servì per urlare ai quattro venti che la sassaiola era appunto contro il corteo papale. Balle. Tanti ragazzi comprensibilmente indignati e infuriati finirono a Buoncammino (a lungo) e mi intenerii quando vidi al processo i volti puliti e ingenui degli imputati, alcuni giovanissimi. Ricordo una ragazzina con il maglione a toni rossi: cercò di difendersi dicendo di non essere stata a Sant’Elia e che non sapeva nulla della sassaiola, ma fu smentita da un filmato della polizia in cui si vedeva proprio lei che correva e lanciava sassi: con lo stesso maglione indossato al processo! (E neppure l’ombra del Papa, che era passato un bel po’ prima). Poveri ragazzi, arrestati e diffamati come delinquenti.
Nei primi giorni del dibattimento, prima dell’udienza, ebbi un veloce e polemico incontro con uno dei giovani con le catene ai polsi che mi accusava con asprezza e disprezzo di essere… giornalista. Poi diventammo amici. Purtroppo era ormai marcato a fuoco (nel mirino della “giustizia”) e lo incontrai ancora in tribunale (con i ferri ai polsi) per un processo contro brigatisti-fantasma (anche lì indagine severa dei giudici e conseguente assoluzione generale); scrivevo la cronaca delle udienze e quasi ogni giorno un corsivetto sarcastico: avevo un grande direttore, Fabio Maria Crivelli. Per ristabilire i miei buoni rapporti con la polizia dovette poi passare molto tempo. Uno dei commentini era intitolato «A.A. brigatista cercasi»: A.A. erano le iniziali dell’imputato che mi aveva mezzo insultato al processo per la sassaiola. Scarcerato, ci siamo incontrati tante volte anche discutendo sui possibili mezzi e forme di contestazione pacifica. Si è poi sposato (e separato) e da molti anni l’ho perso di vista. Smisero di corrergli dietro nella convinzione di trovarlo con le mani in chissà quale sacco. Anche Antonello Pabis (altro idealista marchiato dalla polizia per lungo tempo) non lo vedo da molto.
Ora una chicca: il 24 aprile 1970 fu data storica per Cagliari non solo per la prima visita del Papa, ma anche per il primo scudetto di calcio, conquistato con alcune settimane di anticipo sulla fine di quel campionato di serie A.
Ciao. Mauro
Avevo 7 anni quando il Papa, Paolo VI venne a Cagliari, e lo ricordo ancora come se fosse oggi! Forse a causa di una febbre fortissima che mi colpì quando seduta a cavalcioni sulle spalle di mio padre, lo vidi passare in Viale Trieste che salutava la folla festosa mentre l’auto papale lo accompagnava frettolosamente in aeroporto. Ricordo la notizia dei sassi che io bambina mi limitai a dire impossibile, la gente era troppo felice, ma ignoravo che dietro quell’atto, vi fosse una spiegazione così infame da minare la dignità di un popolo fatto di povera gente ma ricca di grande solidarietà.
Serenella
Nei giorni seguenti I giornalisti de “L’unione Sarda” scioperarono e con Giangiacomo Nieddu si decise sostituirlo con “Il quotidiano, diretto da Giangiacomo, per tutto il tempo dello sciopero. Io ebbi l’incarico dii rintracciare i pochi manifestanti ancora alla macchia e intervistarli. Ne rintracciai due: Ettore Martinez e Gino Liverani. I dati fornitimi dimostrarono la cronologia degli accadimenti: un sequestro precauzionale di un megafono con la promessa che sarebbe stato restituito dopo il passaggio de Papa. Ciò però non avenne e pare che ci siano stati degli sberleffi da parte dei poliziotti nei confronti dei manifestanti. Se poi sia partita per prima una pietra o una manganellata, non si saprà mai e non si riusci a stabilirlo in fase processuale. Comunque l’articolo venne pubblicato in primsa pagino con il titolo a otto colonne “PARLANO GLI ANARCHICI DI SANT’ELIA”. Però mi pare di ricordare che gli anarchici appartenessero al “Gruppo Abele” e non “Dionisio”.