Scor-data: 25 agosto 1897

Un ricordo di Ernesto Rossi

del «Centro di ricerca per la pace e i diritti umani» di Viterbo (*)  

NELL’ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI ERNESTO ROSSI

Si e’ svolto la sera di domenica 25 agosto 2013 a Viterbo presso il «Centro di ricerca per la pace e i diritti umani» un incontro di commemorazione di Ernesto Rossi, nell’anniversario della nascita avvenuta il 25 agosto 1897. Nel corso dell’incontro sono stati letti e commentati alcuni testi del grande antifascista.

Ernesto Rossi, nato nel 1897 e scomparso nel 1967, antifascista, federalista europeo, pubblicista di straordinario impegno civile. Fra le opere di Ernesto Rossi: cfr. almeno «Elogio della galera», Laterza, Bari (raccolta delle lettere dal carcere fascista); «Settimo: non rubare»; «Lo Stato industriale»; «Il malgoverno»; «I padroni del vapore»; «Aria fritta»; «Il Sillabo»; «Il manganello e l’aspersorio»; «Elettricita’ senza baroni»; le sue veementi «Pagine anticlericali» sono state recentemente ristampate da Massari Editore, Bolsena. Fra le opere su Ernesto Rossi va segnalata: Giuseppe Fiori, «Una storia italiana», Einaudi, Torino.

Dal sito www.societaperta.it riprendiamo la seguente scheda biobibliografica a cura di Gaetano Pecora: «Ernesto Rossi nacque a Caserta nel 1897. Non ancora diciannovenne ando’ volontario in guerra. Di ritorno dal fronte, l’ostilita’ per i socialisti che s’erano fatti un punto d’onore a vilipendere i sacrifici dei reduci di guerra e il disprezzo per una classe politica chiusa ad ogni respiro ideale e come ripiegata su se stessa, l’una e l’altra cosa insieme vellicarono gli istinti antiparlamentari e condussero Ernesto Rossi ad accarezzare le stesse speranze ed i medesimi obiettivi dei nazionalisti prima e dei fascisti poi. Fu in quel giro di tempo, dal 1919 al 1922, che Rossi prese a collaborare al “Popolo d’Italia“, il quotidiano diretto da Mussolini. Ma fu precisamente in quel periodo che egli conobbe Gaetano Salvemini. A lui Ernesto Rossi si lego’ fin da subito e il vincolo dell’amicizia, oltre che dall’ammirazione e dall’affetto, venne ben presto cementato dalla piena intesa intellettuale. “Se non avessi incontrato sulla mia strada – ebbe a scrivere Ernesto Rossi – al momento giusto Salvemini, che mi ripuli’ il cervello da tutti i sottoprodotti della passione suscitata dalla bestialita’ dei socialisti e dalla menzogna della propaganda governativa, sarei facilmente sdrucciolato anch’io nei Fasci di combattimento”. Dopo di allora, il suo percorso non conobbe sviamenti ne’ fu punteggiato dal dubbio. Una certezza vibro’ sempre affermativa nelle sue opere, e tutto – l’intrepida moralita’, la causticita’ sibilante, l’astuzia affilata – tutto, proprio tutto, venne posto al servizio di questa certezza, che poi era la certezza di dover difendere comunque e a ogni costo le ragioni della liberta’. Di qui l’implacabile determinazione con la quale avverso’ il regime fascista. Quale dirigente, insieme con Riccardo Bauer, dell’organizzazione interna di Giustizia e Libertà, pago’ la sua intransigenza con una condanna del Tribunale speciale a venti anni di carcere, di cui nove furono scontati nelle patrie galere e quattro al confino di Ventotene. Qui, con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni maturo’ piu’ compiutamente quelle idee federalistiche che nel 1941 dovevano ricevere il loro suggello nel celebre Manifesto di Ventotene. All’indomani della Liberazione, in rappresentanza del Partito d’Azione, fu sottosegretario alla Ricostruzione nel Governo Parri e presidente dell’Arar (Azienda Rilievo Alienazione Residuati) fino al 1958. Dopo lo scioglimento del Partito d’Azione aderi’ al Partito Radicale di Pannunzio e Villabruna di cui pero’, sentendosi come “un cane in chiesa” (sono parole sue) rifiuto’ ogni incarico direttivo preferendo dedicarsi alla scrittura di libri e al giornalismo d’inchiesta sul Mondo. La collaborazione al Mondo, iniziata sotto i migliori auspici nel 1949 (quando Mario Pannunzio, proprio lui, il direttore dalla vigilanza occhiuta e minuziosa, gli promise che i suoi articoli li avrebbe letti “solo dopo pubblicati”),iniziata nel 1949 continuo’ ininterrotta per tredici anni, fino al 1962. Fu la stagione d’oro di Ernesto Rossi, durante la quale egli pote’ assecondare il genio profondo che lo agitava dentro, quello che lo traeva a tirare per il bavero anche le barbe piu’ venerande, denunciandone le malefatte, irridendone le asinerie, sbugiardandone le falsita’. I suoi articoli migliori Ernesto Rossi li raccolse in volumi dai titoli famosissimi, cosi’ famosi da diventare patrimonio della lingua comune. Due per tutti: «I padroni del vapore» (Bari, 1956) e «Aria fritta» (Bari, 1955). Dal 1962 in avanti svolse la sua attivita’ di pubblicista su L’Astrolabio di Ferruccio Parri. Nel 1966, quando la strada della sua vita andava ormai discendendo, gli fu conferito il premio Francesco Saverio Nitti, che molto lo conforto’ e, in parte, lo ripago’ di un’esistenza scontrosa che gli era stata assai avara di riconoscimenti accademici. L’anno successivo, il 9 febbraio 1967, Ernesto Rossi moriva a Roma. Aveva sessantanove anni. Pochi mesi prima, in una lettera a Riccardo Bauer, aveva scritto parole presaghe che vibrano di un’accensione poetica: “se ci domandiamo a cosa approdano tutti i nostri sforzi e tutte le nostre angosce non sappiamo trovare altre risposte fuori di quelle che dava Leopardi: si gira su noi stessi come trottole, finche’ il moto si rallenta, le passioni si spengono e il meccanismo si rompe”. E poi: “Io non ho mai avuto paura della morte. Mi e’ sempre sembrata una funzione naturale, inspiegabile com’e’ inspiegabile tutto quello che vediamo in questo porco mondo. Crepare un po’ prima o un po’ dopo non ha grande importanza: si tratta di anticipi di infinitesimi, in confronto all’eternita’, che non riusciamo neppure a immaginare. Ma ho sempre avuto timore della cattiva morte”. Sia consentito aggiungere che se la ‘cattiva morte’ e’ di chi non ha saputo vivere della tranquillita’ della propria coscienza, e’ assolutamente da escludere che la morte possa essere stata ‘cattiva’ con Ernesto Rossi.

Il pensiero: in una lettera indirizzata ad Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini scriveva cosi’: “se avessi potuto fabbricarmi un figlio su misura, me lo sarei fabbricato pari pari come te”. E perche’ la piena dei sentimenti non lo travolgesse, subito stemperava il suo affetto in una increspatura lievemente canzonatoria: “ma anche quel figlio – aggiungeva – sarebbe andato a male come te e come me”. E’ vero: per molti aspetti chi dice Rossi dice Salvemini. La chiarezza e la logica che informa i suoi scritti e’ la stessa: stringente, incalzante, che nulla concede alla magniloquenza della retorica e che mai si impantana in guazzabugli incomprensibili. Cosi’ come da Salvemini derivo’ la stessa passione per la giustizia, e identico fu l’istinto di liberta’. Sorgenti morali, queste, limpidissime che con gli anni trassero Ernesto Rossi a riconoscersi nel medesimo liberalismo del Salvemini maturo; un liberalismo fermentato da aspirazioni egualitarie, le cui ascendenze empiriche lo trattennero dall’involarsi nei cieli delle astrazioni. Non il Progresso, la Rivoluzione o il Popolo lo interessava ma lo studio dei problemi concreti specie se questi problemi gli rivelavano l’esistenza di soprusi a danno degli umili. Degli umili in carne ed ossa, con tanto di nome e di cognome. E’ allora che Ernesto Rossi dava il meglio di se’: puntuali e documentate fino alla pignoleria, le sue denunzie inchiodavano i responsabili alle loro colpe. Il tutto senza indulgere al melodramma e tenendosi discosto dalle pose accigliate e un po’ ferali dei predicatori di quaresima. Tali requisitorie, infatti, venivano percorse e come illeggiadrite da una vena sbarazzina che incanta per la sua freschezza; era tale lo sfavillio delle arguzie, tanta la felicita’ della battuta e dello sberleffo che le stesse vittime ne riuscivano sedotte e quasi forzate a ridere delle loro bestialita’. Riderne di un riso verde, si capisce. E si capisce altresi’ perche’ un simile liberalismo subisse l’ingiuria dell’oblio dopo la scomparsa del suo artefice. Nessuno era interessato a riscoprirlo perche’ nessuno, proprio nessuno, venne risparmiato dalla sue bordate polemiche. Ripercorrerne a cento anni dalla nascita la vicenda umana e politica puo’ dunque impedire che l’ombra avvolga definitivamente questa figura fuori dall’ordinario, risoluta e indipendente fino alla spregiudicatezza e soprattutto poco disposta a patteggiare con gli altri perche’ poco incline a transigere con se stessa. Il che, alla saggezza filistea dei suoi compatrioti e alla soffice indolenza dei loro dirigenti dovette apparire una novita’ oltremodo strana e sgradevole. Di qui la solitudine che l’accompagno’ per tutta la vita. Si’, Ernesto Rossi fu un uomo solo; solo ma libero. Un uomo che della propria liberta’ non ebbe paura e che se ne avvalse per lanciare i suoi strali nelle piu’ diverse direzioni. In direzione del cattolicesimo, di cui respingeva l’ideale di una societa’ controllata e ubbidiente e al quale imputava l’allentamento della fibra morale degli italiani. In direzione del comunismo, che egli aborriva per il suo programma economico e al quale rimproverava la stessa religione dei cattolici, sia pure nella versione secolarizzata del marxismo-leninismo. E neppure ai liberali e ai socialisti lesinava i suoi puntuti giudizi. Dei liberali – dei “liberaloni con la tuba” come li chiamava – denunziava i sofismi con i quali essi tradivano i principi della liberta’ (anche di quella economica) e accreditavano come collettivi quelli che invece erano sordidi interessi di gruppo. Dei socialisti – di questi ‘comunisti mal riusciti’ come ebbe a battezzarli – sottolineava causticamente il comportamento pendolare, sempre combattuto tra l’alternativa: o ci fate ministri o diventiamo rivoluzionari. Se e’ vero percio’ che Ernesto Rossi distribuiva le sue bastonate a destra e a manca, contro il coriaceo antiliberalismo dei cattolici e dei comunisti e contro quello piu’ subdolo ma non meno pervicace degli imprenditori e dei sindacati, se e’ vero tutto questo, si capisce bene perche’ fino ad ieri nessuna associazione, nessun organismo politico fosse interessato al suo lascito intellettuale. Oggi pero’ che le cose sono cambiate e che le idealita’ liberali paiono riuscire meno estranee all’orientamento degli spiriti, e’ lecito attendersi una maggiore attenzione per un pensiero che non e’ invecchiato. Purche’, beninteso, questo pensiero venga conosciuto. Donde la necessita’ di ripubblicare gli scritti di Ernesto Rossi; e bene ha fatto una intraprendente casa editrice romana (Il Mondo 3 Edizioni) a ristampare l’«Elogio della galera», la raccolta delle lettere che Rossi scrisse dal carcere negli anni che vanno dal 1930 al 1943. E ha fatto bene intanto perche’ l’«Elogio della galera» e’ un commovente, straordinario epistolario la cui lettura potrebbe segnare per sempre i giovani e i giovanissimi; in ogni caso i migliori fra loro. E poi perche’ proprio qui si trovano scolpiti come con caratteri indelebili tutti i princìpi politici e tutti i convincimenti economici che in seguito, all’indomani della scarcerazione, avrebbero guidato l’attivita’ di Ernesto Rossi. Ecco: proporsi obiettivi concreti legati al suo nome e non avvolgerne la memoria nel sudario di auliche declamazioni. E’ quanto non sarebbe dispiaciuto ad Ernesto Rossi. Un po’ di bibliografia: a parte l’«Elogio della galera» di cui si e’ gia’ detto, tra le opere di Ernesto Rossi ancora disponibili in libreria ricordiamo: «Pagine anticlericali» (Edizioni Erre Emme, 1996); «Abolire la miseria» (Laterza, Roma-Bari 1977). Per il resto, bisogna che il lettore si armi di buona pazienza e vada in biblioteca. E’ solo li’, infatti, che potra’ consultare gli altri scritti di Rossi. Tra quelli di maggiore spessore teorico citiamo: «Critica delle costituzioni economiche» (Comunita’, Milano 1965); «Il manganello e l’aspersorio»(Laterza, Bari 1968); «Ernesto Rossi. Un democratico ribelle, Scritti e testimonianze di Ernesto Rossi», a cura di Giuseppe Armani (Guanda, Parma 1975). I volumi che testimoniano della sua attivita’ pubblicistica sono molteplici. Ricordiamo quelli piu’ famosi: «Settimo: non rubare» (Laterza, Bari 1953); «Il Malgoverno» (Laterza, Bari 1954); «Aria fritta» (Laterza, Bari 1956). Quanto, invece, agli scritti su Rossi ci limitiamo a segnalare di Gian Paolo Nitti, «Appunti bio-bibliografici su Ernesto Rossi», in «Il movimento di liberazione in Italia», numeri 86-87, gennaio-giugno 1967; di Gaetano Pecora «Ernesto Rossi: un maestro di vita e di pensiero», in «Uomini della democrazia» (Esi, Napoli 1986); di AA. VV., «Ernesto Rossi. Una utopia concreta», a cura di Piero Ignazi (Comunita’, Milano 1991); la godibile biografia di Giuseppe Fiori «Una storia italiana. Vita di Ernesto Rossi» (Einaudi, Torino 1997); e, ultimo in ordine di tempo, l’ottimo profilo critico di Livio Ghersi «Ernesto Rossi» in «Pratica della libertà» anno I, n. 4, ottobre-dicembre 1997».

 

Le persone partecipanti all’incontro hanno espresso pieno sostegno alle varie iniziative di pace, di solidarieta’ e per i diritti in cui il “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo e’ particolarmente impegnato in questo periodo. In primo luogo all’iniziativa contro i cacciabombardieri F-35; all’iniziativa per la cessazione immediata della illegale ed insensata partecipazione italiana alla guerra in corso in Afghanistan; all’appello allo sciopero delle donne contro il femminicidio, ed alla richiesta che siano immediatamente concretamente realizzate tutte le iniziative adeguate contro la violenza sulle donne previste dalla Convenzione di Istanbul recentemente ratificata all’unanimita’ dal parlamento italiano; all’impegno affinche’ siano abolite al piu’ presto le infami misure razziste imposte da precedenti governi golpisti (ed in particolare affinche’ sia rispettata la Costituzione della Repubblica Italiana che all’articolo 2 afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» e all’articolo 10 afferma che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle liberta’ democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica». Cessi la persecuzione dei migranti. Sia abolito il cosiddetto “reato di clandestinità”. Siano aboliti i campi di concentramento. Siano abolite le deportazioni. Cessi la schiavitu’. Sia consentita la libera circolazione di tutti gli esseri umani sull’unico pianeta casa comune dell’umanita’ intera. Sia legiferato subito che ogni persona ha diritto a votare nel luogo in cui vive, lavora, paga le tasse, contribuisce al bene comune. Sia legiferato subito che ogni persona che e’ nata in Italia deve avere i diritti di ogni persona che e’ nata in Italia. Cessi la complicita’ istituzionale con le mafie schiaviste. Cessi finalmente anche in Italia il regime dell’apartheid).

Le persone partecipanti all’incontro hanno altresi’ espresso gratitudine e solidarieta’ alla ministra Cecile Kyenge e sostegno al suo impegno per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Ugualmente hanno espresso gratitudine e solidarieta’ anche alla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, e formulato l’auspicio che essa possa essere la prossima Presidente della Repubblica.

Il «Centro di ricerca per la pace e i diritti umani» di Viterbo (25 agosto 2013)

(*) Per contattare il «Centro di ricerca per la pace e i diritti umani»: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo; e-mail: nbawac@tin.it; web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
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