Scor-data: 28 ottobre 1996
Perché uccisero Mzee Munzihirwa
di Donata Frigerio (*)
Piacerebbe, se fosse ancora vivo, anche ai non credenti, ai perplessi, agli anticlericali… per il suo impegno politico e la sua lotta a fianco dei “miseri”; non a fianco dei poveri, perché per alcuni (cristiani compresi – o così dovrebbe essere) la povertà è un valore.
Quando la povertà ti toglie ogni possibilità di scelta, di dignità, allora diventa miseria; lui – sto parlando di Munzihirwa – questo non lo accettava, soprattutto perché era miseria imposta dagli uomini e dalla loro violenza.
Una vecchia teoria – quella del disarmo economico – dice che al di sotto e al di sopra di una certa soglia di povertà e di ricchezza l’uomo perde dignità e si abbrutisce e il vescovo ne è stato testimone.
Christophe Munzihirwa era povero, famoso tra la sua gente come il vescovo delle due camice. Possedeva solo due paia di pantaloni e due camice e si lavava personalmente i suoi abiti. In auto spesso guidava lui. Nel 1996 abitava a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, in Congo (ex Zaire).
Denunciava con tutte le sue forze, sfruttando il suo status di vescovo, le aberrazioni di cui era testimone. Denunciava la violenza contro gli inermi, contro le donne e i bambini, contro i giovani, tutti costretti a scappare e chiedere asilo in giganteschi campi profughi, dove era già una ricchezza avere salva la vita. Denunciava la barbarie della guerra, quando tutti quelli che ne avevano la possibilità si stavano dando alla fuga. E’ rimasto al suo posto, «mzee», anziano saggio, prudente e tollerante, e «zamu» sentinella sul territorio e sulla gente di cui si sentiva responsabile. Sapeva che, continuando a denunciare a gran voce la verità, aveva già firmato la sua condanna a morte.
Scriveva ai «grandi» delle nazioni occidentali, descrivendo gli orrori di una guerra dai loschi interessi economici in cui «i padroni del mondo» erano tutti implicati, anche se indirettamente, cioè per interposta persona. Perché il Congo è ricco e i Paesi più forti lo saccheggiano.
Nessuno diede retta alò suo urlo ma molti ascoltarono le sue denunce coraggiose, circostanziate; per quello fu assassinato.
Munzihirwa, nato nel 1926 a Walungu (nel Kivu), gesuita, proclamato nel 1994 arcivescovo di Bukavu, fu ucciso proprio a Bukavu, sulla piazza che adesso porta il suo nome, il 28 ottobre 1996, per mano di militari rwandesi, non per errore. Costrinsero la gente di Bukavu a non toccare il suo corpo, ormai cadavere, per 2 giorni.
E’ considerato, da chi lo ha conosciuto, il Romero d’Africa.
Oggi la guerra e l’insicurezza continuano, a fasi alterne. E continua indisturbata la rapina del Congo che spiega quelle guerre.
Nel disinteresse generale l’Onu conta in Congo fra i 4 e i 6 milioni di morti, negli ultimi 20 anni.
(*) Qui in blog molte volte si è parlato di Congo, proprio per le stesse ragioni che spingono i grandi media a censurare il Congo.
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)