Scor-data: 30 ottobre 2010
«Sei uomini, una gru, le cariche, una sanatoria-truffa»
di Stefania Ragusa (*)
Sei immigrati asserragliati su una gru in piazza san Faustino, a Brescia, e cinque sulla torre della dismessa Carlo Erba, a Milano. I presìdi che nascono e crescono sotto di loro. Le manifestazioni di solidarietà. Le televisioni, i fotografi, i microfoni e le forze dell’ordine. Queste proteste, clamorose e simbolicamente forti, nell’autunno del 2010, hanno portato sotto gli occhi anche dell’Italia più distratta e svagata gli effetti della cosiddetta sanatoria truffa, una questione di cui si parlava da mesi ma che non era riuscita a bucare gli schermi e dunque ad esistere. Sparpagliate nelle città e all’ombra del pacchetto sicurezza, ci sono migliaia di persone (almeno cinquantamila) esasperate dall’impossibilità di avere un documento e una vita normale: tutta gente che serve al sistema Italia e che con grandi speranze e grande esborso di denaro ha partecipato alla sanatoria per colf e badanti deliberata in fretta e furia nell’agosto del 2009, gente che si è trovata con un pugno di mosche in mano e, come spesso vien detto con una formula così inflazionata da avere quasi perso il suo senso, non ne può più. In questo caso, però, l’espressione rimane pertinente. Cinquantamila persone che non ne possono più, insieme con i loro parenti, amici, sostenitori, riunite in un solo posto, animate da un solo respiro possono fare molto più che Rosarno. Ma se rimangono isolate e divise la loro protesta si stempera in un mormorìo senza suono.
Per chi si occupa di immigrazione, conosce e frequenta stranieri e in parte vive ormai da straniero in questo Paese, non c’è nulla di sorprendente. […]
La sanatoria viene associata a una truffa perché i termini della partecipazione sono stati cambiati continuamente in corso d’opera. […] Una lotteria che non si sa come e quando andrà a finire. […]
Le associazioni di migranti, l’Asgi, il Primo Marzo stesso si mobilitano e chiedono incontri con i prefetti per denunciare questo stato di cose e prospettare delle soluzioni. Gli incontri vengono accordati ma non sembrano sortire effetti. Nelle città, intanto, si moltiplicano i presìdi e le manifestazioni. Il Comitato immigrati, un’organizzazione che è diffusa su tutto il territorio nazionale, elabora una piattaforma di rivendicazioni in vista delle battaglie d’autunno. Una di esse è, appunto, il permesso per tutte le vittime della sanatoria truffa. […]
Dal 28 settembre, a Brescia, un gruppo di immigrati esclusi dalla sanatoria aveva dato vita a un presidio di fronte l’ufficio della prefettura. Era stato occupato uno spiazzo erboso a ridosso del greto del fiume. La polizia, dopo un paio di giorni, aveva smantellato il presidio. Ma i migranti erano ritornati poco dopo, organizzandosi meglio. Oltre a ricostruire il presidio avevano messo su due piccoli prefabbricati presi in affitto e un bagno chimico. Erano visibili ma non creavano nessun intralcio o fastidio alla circolazione. Il due ottobre c’è stata una prima manifestazione e sono iniziate le prime rimostranze contro il presidio non autorizzato. Rimostranze sospette: a Brescia i presidi non autorizzati davanti alle fabbriche sono all’ordine del giorno e in genere non fanno notizia. Mentre il prefetto non trovava il tempo di ricevere una delegazione degli immigrati, il comune faceva pressione affinché la ditta che aveva fornito i prefabbricati sospendesse il contratto. Il 23 ottobre una delegazione del presidio riesce a incontrare il sindaco che si mantiene sulla linea della legalità e della fermezza: il presidio non è autorizzato e loro se ne devono andare. Nel frattempo si lavorava per organizzare una manifestazione conto la sanatoria truffa il 30 ottobre, un sabato. Due giorni prima arriva il niet: l’autorizzazione non può essere concessa perché quel giorno a manifestare in città ci sono già gli alpini. I tentativi di mediazione si rivelano inutili. I migranti e i loro sostenitori, per quanto dimezzati dal divieto, decidono di manifestare lo stesso, non in piazza della Loggia (riservata agli alpini) ma nella poco distante piazza Rovetta. Sono meno di mille. Dopo pochi minuti il questore vicario intima lo scioglimento. Il corteo riesce comunque a percorrere circa 500 metri prima dell’intervento di polizia e carabinieri. Cominciano tafferugli e disordini. Volano le manganellate. Alle spalle del cordone degli agenti, alla fine di via san Faustino, c’è una grande gru impiegata nel cantiere per la costruzione della metropolitana. Cinque immigrati e poi altri quattro si arrampicano in alto e srotolano uno striscione con su scritto sanatoria. Nel frattempo le ruspe distruggono il presidio davanti alla prefettura. L’occupazione della gru comincia così, in modo estemporaneo, sotto la pioggia e il vento. Erano 28 anni che a Brescia non veniva vietata una manifestazione.
Sulla gru lo spazio è risicato e quattro immigrati scendono praticamente subito. Sopra restano Sajad e Arun, pachistani, Rachid, marocchino, Papa, senegalese, Singh, indiano, Jimi, egiziano.
Sajad è laureato con master. Rachid si è fermato alla prima media. Papa, Singh e Arun hanno la licenza media. Jimi è tecnico informatico. Tutti e sei vivono di volantinaggio e piccoli lavori in nero che non mancano mai ma insieme non riescono a fare una paga decente.
Nella cabina di manovra non possono starci tutti e così fanno i turni per avere un po’ di requie dal vento e dalla pioggia. Ma li fanno anche per controllare cosa accade di sotto. Temono che gli agenti intervengano per farli scendere con la forza. La città vista da 40 metri d’altezza sembra bellissima, il cielo è più vicino e può capitare di sentirsi almeno per alcuni istanti al sicuro. Su, in alto non arrivano i malumori dei commercianti bresciani e le imprecazioni di chi vorrebbe mettere una bomba sotto la gru. Arrivano solo i pensieri gentili, sotto forma di giornali, coperte, sigarette, torte di mele. «L’albergo alla gru è a cinque stelle» scherza Arun. «Se la passano bene» dice con acrimonia e senza ironia un vecchio signore che è riuscito a intercettare un microfono. «E con i nostri soldi!». Un giornalista del programma Crash riesce a salire e a passare un po’ di tempo con i sei migranti. C’è una persona, gli dicono, che potrebbe aiutarli: Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica. «Noi lo sentiamo come il nostro presidente». E hanno ragione. Lo si voglia o meno, gli uomini sulla gru, sono già parte del proletariato nuovo e meticcio di questo Paese. E presto o tardi questo dato di fatto dovrà essere accolto.
L’appello rivolto a Napolitano dai migranti viene messo su You tube. Le foto scattate dal giornalista di Crash sono riprese da tutti i media. Anna Maria Rivera, forse la maggiore storica del razzismo che abbiamo in Italia, ne osserva una che li ritrae tutti insieme, affacciati sul vuoto ma sorridenti ed uniti. E sulle pagine di Liberazione la commenta così: «Osservateli bene quei visi perché sono l’immagine della speranza. Non solo della propria: ottenere un permesso di soggiorno e il diritto di lavorare e vivere in pace e dignità. Ma anche di una nostra speranza: che sul terreno melmoso di questo paese corrotto e putrescente stia fiorendo una generazione meticcia di lavoratori che forse ci insegnerà di nuovo le parole che noi, analfabeti di ritorno, abbiamo dimenticato: parole semplici come pane e lavoro, dignità e rispetto, solidarietà e lotta per il diritto di vivere e di far vivere i propri cari». […]
La città, sotto la gru, ha reazioni contrastanti. C’è chi solidarizza e chi si innervosisce, come soprattutto i commercianti della zona, che in tutto quel trambusto hanno visto ridursi notevolmente i propri affari. Il particulare, ancora una volta, è davanti a tutto. Il sei novembre, in solidarietà con i migranti, sfilano pacificamente per le vie del centro diecimila persone arrivate da mezza Italia. A Milano, intanto, cinque immigrati emulano i “fratelli bresciani” e occupano la torre di una fabbrica dismessa in via Carlo Imbonati. La linea della fermezza torna a farsi sentire due giorni dopo, all’alba dell’8 novembre, quando il presidio sotto la gru viene smantellato con la forza. Gli agenti procedono a una decina di arresti tra attivisti e immigrati. Tre tra questi saranno portati nei Cie. L’egiziano Mimmo, membro dell’associazione Diritti per tutti, la più attiva nel sostenere la protesta sulla gru, sarà espulso in quattro e quattr’otto senza lasciare al suo legale il tempo di presentare ricorso. Michele Santoro decide di dare spazio alla vicenda attraverso la puntata settimanale di Anno Zero. E durante il collegamento con Brescia prende la parola la peruviana Edda Pando, una delle animatrici della ribellione milanese. Parla pochi minuti Edda. Parla bene. Talmente bene che anche Pier Ferdinando Casini e gli altri politici presenti in studio sono costretti a darle ragione. «Non siamo noi che siamo arrivati alle questioni estreme. Abbiamo avuto due incontri con il ministero dell’Interno come comitato immigrati. Gli abbiamo detto che questo era una bomba a tempo, che c’erano 50mila persone (sono le cifre del ministero dell’Interno) che rimarranno senza un permesso di soggiorno ma che un lavoro ce l’hanno. In un paese civile dove si dice che la gente deve lavorare, che bisogna rispettare i doveri, perché a noi ci fanno vivere nella clandestinità? Perché non ci fanno pagare le tasse? Perché non fanno una legge che permetta che chi ha un datore di lavoro emerga? I datori di lavoro vengono ai nostri sportelli e ci dicono: voglio assumere la mia colf. E noi dobbiamo spiegare che la legge non lo permette. È un problema nostro o un problema di questo governo che non sa dare risposte e che vuole mantenere la gente in nero perché così è ricattabile e così costruiscono la Expo a Milano a 3 euro l’ora? Dov’è la follia, dov’è l’incoerenza? Siamo noi irrazionali o è un governo irrazionale che non ci permette di metterci in regola?».
Il 10 novembre dalla gru scende Singh, l’indiano. Il 12 scende Papa, il senegalese di appena vent’anni. Il giorno dopo si manifesta pacificamente a Bologna: contro la sanatoria truffa, contro la Bossi-Fini, contro l’ipocrisia e ancora in solidarietà con chi sta sulla gru e sulla torre. Alla chiamata del comitato Primo Marzo Bologna rispondono più di cinquemila persone. Si mobilitano anche altre città. Il 16 novembre lasciano la gru anche Sajad, Arun, Rachid e Jimi. Non hanno avuto il permesso che chiedevano. La mediazione avviata da Cgil, Cisl e curia di Brescia con la prefettura li mette per il momento in una posizione protetta, ma la loro sorte rimane assai incerta. Come quella dei “fratelli” ancora asserragliati sulla torre milanese. La loro protesta con ogni probabilità non si tradurrà in un beneficio per loro ma servirà ad altri: ha segnato un passaggio importante affinché questa vicenda, assolutamente ancora tutta aperta, non venga rimossa.
Qualche giorno dopo, alcuni tra i maggiori fautori della linea della legalità e della fermezza, il sindaco di Brescia, il vicesindaco nonché assessore alla Sicurezza e la giunta quasi al completo (nove membri su dieci) vengono raggiunti da un provvedimento giudiziario: sono tutti indagati per peculato, accusati di avere utilizzato le carte di credito del Comune per fini privati. Da “padroni in casa nostra” a “predoni in casa nostra” ironizza qualcuno. Un piccolo coup de théâtre, forse una (giusta) nemesi.
(*) Questo brano è tratto da «Le Rosarno d’Italia», ovvero – come Stefania Ragusa precisa nel sottotitolo – «storie di ordinaria ingiustizia». E’ uscito da Vallecchi (196 pagine, 14 euri) ed è un libro da non perdere; io l’ho recensito in blog il 9 maggio 2011.
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 29 ottobre fra l’altro avevo ipotizzato: 1268: Corradino ucciso a Napoli; 1484: il codice di Torquemada; 1711: nasce Laura Bassi; 1904: marines assaltano Tangeri; 1949: Melissa, 3 morti; 1956: crisi Suez; 1965: sequestrato Ben Barka; 1996: è ucciso Munzihirwa, vescovo di Bukavu, per le sue denuncie contro i “signori della guerra”; 2004: Costituzione europea; 2010: muore Marcelo Camacho. E sul 30 ottobre per esempio: 1198: Innocenzo III, «Sicut Universitatis Conditor»; 1812: «sa congiura de Palabanda»; 1911: Augusto Masetti spara a un ufficiale; 1938: la beffa di Welles-Wells; 1968: in Giappone il Pcb intossica; 1973: per Nixon scatta «impeachment»; 1974: in Zaire vince Mohamed Alì; 1986: muore Abel Meerepol alias Lewis Allan; 2007: muore Giovanna Reggiani; 2009: muore Levi-Strauss. Ma chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)