Scor-data: 4 marzo 1975

Emilio Lussu: fu vero Cavaliere

di Daniela Pia (*)

Il cavaliere dei Rossomori moriva a Roma nel 1975. Cavaliere nel senso più nobile e antico del termine. Eppure a chiamarlo così, con chiaro intento dispregiativo, era stato un industriale continentale fascista mettendo in relazione la bandiera sarda con la fede politica di Lussu per tentare di ridicolizzarlo; questo appellativo invece lo distinse sempre in positivo. Emilio Lussu fu dunque Cavaliere per scelte civili di grande spessore e per la sua raffinata intelligenza. Cavaliere spesso armato: due guerre avevano segnato quelli della sua generazione e lui, nella prima, era stato giovane interventista. Combattente valoroso soprattutto quando lo scontro era a difesa di princìpi universali di giustizia e libertà. Eppure, a rileggere «Un anno sull’altipiano» lo si scopre subito capace di staccarsi dall’obbedienza cieca. Un episodio in particolare va interpretato come il rifiuto delle logiche stupide che segnano la guerra. «Avevo di fronte un ufficiale giovane […] un uomo, un uomo, […] fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo altra cosa, uccidere un uomo così è assassinare […]. – Sai… così… un uomo solo […] Io non sparo, tu vuoi?, il caporale prese il calcio del fucile e mi rispose: neppure io».

Capace quindi di sentirsi libero, di fare scelte controcorrente e rischiose , pur di obbedire alla propria coscienza. La guerra si era rivelata per ciò che era: spesso inutile mattanza e lui ne era diventato testimone. Il suo rapporto con il potere fu di quelli inequivocabili, lo dice in una lettera del 1957 indirizzata a Corsi «per uno di sinistra il potere è solo un posto di responsabilità e di lotta, psicologicamente identico al posto che differenti momenti politici impongono si occupi in carcere, al confino, in esilio, fra i partigiani». Per Lussu l’appartenenza alla sinistra non poteva prescindere dal rifiuto dell’autoritarismo e di ogni pretesa non dovuta, era tutt’uno con l’ assoluta aderenza all’idea di giustizia a difesa delle iniziative popolari e democratiche. Sua cifra identificativa fu il ripudio dell’idea tacitamente accettata che far politica, per certuni, fosse far carriera, sistemarsi e sistemare il parentado o i propri accoliti.

Lui amava stare in mezzo ai lavoratori, soprattutto i contadini. Mi piace qui ricordare la sua lunga frequentazione a Sestu, durante gli anni del fascismo, ne parla lo stesso Lussu in un articolo pubblicato su «L’unione sarda» nel quale ricorda che nel 1925 gli antifascisti sestesi erano usi incontrarlo in clandestinità; costoro – fra i quali anche mio nonno Berengeu Pia – condividevano con lui l’urgenza di doversi spendere in difesa dei valori dell’ antifascismo. Questo legame aveva reso Sestu «una vera e propria roccaforte del sardismo rurale», i contadini di Sestu – dice Lussu – erano a quell’epoca braccianti e piccoli proprietari coltivatori diretti. Erano certamente i contadini più civili dell’isola, «dopo essersi alzati all’alba per svolgere il loro lavoro alle quattro pomeridiane […] erano a passeggio nel paese, o nella sede a discutere di politica, sempre di politica» e lui amava fare quella politica con la maiuscola, la stessa che lo aveva poi condotto al governo. Un episodio lo racconta, ancora una volta, critico e severo verso chi abusava della sua posizione: «sono stato a lavorare dalle 8 del mattino sino alla mezzanotte nel ministero dell’Assistenza postbellica, il ministero della miseria italiana… E ho mandato in galera i ladri. Se non si ristabilisce il Paese non ci si risolleva dalla miseria morale in cui il fascismo l’ha prostrato». Parole come armi, usate per denunciare. Cavaliere con armatura di onestà, vessillo che ha sempre contraddistinto il suo operato. Capace di donare, tanto che nominò «erede universale della mia proprietà esistente nel Comune di Armungia (provincia di Cagliari) il Comune di Armungia, perché lo amministri e ne disponga nell’interesse delle famiglie più povere» e scegliere di spogliarsi delle cose materiali al punto che – racconta Giuseppe Fiori in «Il Cavaliere dei Rossomori» – «muore povero, in casa d’ affitto». Anche per questo sento che le parole pronunciate da Galante Garrone al suo funerale, nel 1975 , oggi sono drammaticamente attuali: «Con lui se va uno degli uomini di cui l’ Italia avrebbe più disperatamente bisogno».

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata», di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione la gente sedicente “per bene” ignora, preferisce dimenticare o rammenta “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 5 marzo avevo ipotizzato: 1764: uno strano carnevale a Napoli; 1827: muore Volta e lo stesso giorno Laplace; 1896: Crispi si dimette; 1922: prima di «Nosferatu», fil profetico sul nazismo; 1931: inizia la costruzione del «muro» (270 km) in Cirenaica; 1938: nasce la scienziata Lynn Margulis; 1948: documento Cia sull’Italia; 1953: il giorno della morte di Stalin, Solzenicyn può uscire senza scorta; 1955: Bruno Pontecorvo si rifà vivo a Mosca; 1957: «L’osservatore romano» critica una sentenza della Corte Costituzionale a favore della libertà di stampa; 1960: funerale di massa di 81 cubani vittime di un attentato; 1970: trattato di non proliferazione nucleare; 1994: arriva a La Spezia la Jolly Rubino, nave tossica; 2008: muore Joseph Weizenbaum; 2009: a Vicenza i sinti (minori compresi) vengono preventivamente fotografati. E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori ogni giorno.

Molte le firme e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevissimi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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