Scor-data: 5 giugno 2003
di Annamaria Rivera (*)
Dieci anni sono trascorsi dalla scomparsa di Dino Frisullo, militante antirazzista e pacifista, giornalista e scrittore, intellettuale e poeta, difensore appassionato e infaticabile dei diritti delle minoranze oppresse, dei palestinesi e dei curdi come dei migranti, dei rom, dei rifugiati. Ci manca da un decennio eppure io, di fronte ad accadimenti che riguardano queste ed altre categorie di “ultimi”, tuttora mi sorprendo a chiedermi ogni volta che cosa lui ne avrebbe pensato, che giudizio ne avrebbe dato. E mi tornano in mente le sue telefonate allertanti che ci sorprendevano nel cuore della notte, i dieci comunicati al giorno che raggiungevano ogni redazione, ogni attivista, ogni angolo d’Italia, i cortei e i sit-in di protesta organizzati in tutta fretta eppure spesso miracolosamente riusciti. E mi dico quanto infondato sia il detto secondo il quale nessuno è insostituibile.
E’ vero, dal tempo di Dino molto è cambiato, e in peggio. I rapporti di forza sono oggi ancor più sfavorevoli per i perdenti della globalizzazione neoliberale. Ancor più accentuata è la tendenza a liberarsi degli “scarti” umani, delle eccedenze sociali e politiche che ne intralciano il cammino. La svolta individualista degli anni ’80 è diventata ormai irreversibile. La pietas sembra ormai bandita dalle relazioni sociali, il sentimento e la pratica della solidarietà sempre più rari. La frammentazione sociale si riflette nella sinistra, perfino nei movimenti, anche in quello antirazzista. Ma questa decadenza ha forse anche un cotè soggettivo: i veri resistenti sono sempre più rari; e figure come quella di Dino, che hanno attraversato la storia recente con capacità di analisi e lungimiranza politica pari al rigore morale, allo spirito di solidarietà, alla militanza generosa fino alla dissipazione di sé, una dopo l’altra ci vengono strappate dalla sorte e dall’incalzare degli anni.
Nella breve nota biografica in appendice all’ultimo libro da lui curato e scritto in buona parte, «Serhildan. La lunga intifada kurda in Turchia» (Napoli 2003), Dino si definiva (o era definito) in tal modo: «Dirigente dai primi anni ‘70 al 1989 della nuova sinistra e di Dp, ha poi operato nell’associazionismo come portavoce della Rete antirazzista, di Senzaconfine e dell’associazione Azad ed è impegnato nei Forum sociali». Per necessaria brevità non si ricordava, in quella nota, che l’impegno per la causa curda gli era costato, nel 1998, quaranta giorni di detenzione nell’inferno del carcere di Diyarbakir e una condanna, sia pur con la condizionale, per apologia di terrorismo.
In realtà, Dino era anche (o anzitutto) persona colta e raffinata. Dietro l’apparenza nonchalante da militante a tempo pieno che mai ha il tempo di occuparsi di se stesso, si nascondeva una cultura vasta e profonda: praticava sette lingue, conosceva i classici greci e romani al pari della letteratura politica, aveva una straordinaria capacità di scrittura, anche letteraria e poetica: incisiva e rapidissima. Insomma, era un militante alquanto anomalo; per meglio dire, sfuggiva ai modelli e ai cliché del militante a tempo pieno che pure egli era.
Non conosceva settarismi e ideologismi, Dino, ed era irriverente non solo verso i potenti ma anche verso ogni potere, fosse pure quello della leadership di un movimento o di un partito di sinistra. All’ostinazione e alla caparbietà, talvolta irritanti, sapeva unire dolcezza, mitezza e una specie di ironica seduzione che spesso finivano per prevalere. Così gli perdonavi quasi tutto: le telefonate politiche notturne, le iniziative incaute per generosità, la tendenza sistematica a presentarsi in ritardo a riunioni, assemblee, convegni…
Per Dino non v’erano “cause”, “problemi”, “fenomeni”, “questioni”, ma collettività umane, costituite da singolarità e soggettività, con cui identificarsi cercando di esercitare empatia e di guardare il mondo con i loro occhi. Occuparsi, come faceva Dino assai concretamente, assumendone per intero i bisogni esistenziali oltre che politici, di un gruppo di immigrati bangladesi, di una collettività di richiedenti asilo, di una piccola minoranza oppressa, di un gruppo di rom deportati, leggendone la “piccole storie” come indizi ed effetti della “grande storia”: questo era per lui l’unico modo possibile per praticare conoscenza, solidarietà e militanza. Concludendo con le sue parole, «Per riprendere il filo della lettura del mondo c’è un solo modo: mettersi dalla parte delle vittime. Guardare il mondo, anche il nostro, con i loro occhi. Ma questo non è possibile se, anche solo per un attimo, non si condivide una parte della loro vita».
(*) Domani, 5 giugno, si svolgerà a Roma una giornata in ricordo di Dino Frisullo, organizzata dall’associazione Senzaconfine, in collaborazione con Arci, Asgi, Azad, Centro Ararat, Focus-Casa dei diritti sociali. Ci si ritroverà alle 11 presso il cimitero del Verano, per un saluto commemorativo, per poi spostarsi nel pomeriggio alla Città dell’Altraeconomia, dove verranno premiate le tesi vincitrici della V edizione del «premio Dino Frisullo». Seguirà una serata con cena kurda, interventi, proiezioni di video, reading di poesie e canzoni.
Ho ricordato anche io Dino qui in blog nel 2010; se volete leggerlo dovete cercare «omonimie (1): Frisullo».
Rammento anche – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 5 giugno avevo anche ipotizzato:109 av Cristo: nasce Spartacus; 1571: Sigismondo Arquer al rogo; 1601: supplizio per Campanella; 1759: congiura di Pontiac, capo degli Ottawa; 1882: nasce Karl Valentin, grande cabarettista; 1906: carne avariata (cfr pag 186 di «Wobbly»); 1913: la suffragista Emily Davidson è uccisa da un cavallo durante la protesta; 1928: il tribunale speciale dà secoli di galera al Pci; 1944: strage nazista a La Storta mentre le truppe americane entrano a Roma; 1956: incostituzionale (in teoria) la segregazione nei bus Usa; 1970: primo aborigeno nel Parlamento australiano; 1989: massacro in Tien Amen; 2005: muore Dario Paccino (chiedere Gianmarco?); 2006: l’inizio del libro «11» di Savina Dolores Massa; 2007: droni per sorvegliare le strade milanesi; 2009: muore Mercedes Sosa (David?); 2011: ucciso dai carabinieri un marocchino vicino a Padova. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, come oggi: magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)