Scor-data: 5 luglio 1962

Indipendenza ufficiale dell’Algeria e massacri a Orano

di Karim Metref (*)

La guerra d’indipendenza era durata 7 lunghi anni in Algeria, dal novembre 1954 al marzo 1962: 7 lunghi anni di sofferenze e di morte. Le vittime, lato algerino, si contano a centinaia di migliaia. Circa mezzo milione, secondo vari studi demografici. Lato europeo, sono caduti circa 30.000 tra soldati e civili. Una vera e propria carneficina.

La guerra si era diffusa ovunque, arrivando perfino in Francia e mettendo in serio pericolo l’equilibrio stesso dello Stato francese.

 

De Gaulle a Algeri

De Gaulle a Algeri nel 1958

Dopo lunghi e faticosi negoziati segreti, il Fronte di Liberazione Nazionale e i rappresentanti del governo francese arrivano a un accordo storico. Il 18 marzo 1962, alla radio, De Gaulle annuncia il cessate il fuoco per il giorno successivo. Il 1° luglio 1962, al referendum di autodeterminazione, il popolo algerino vota in massa (99,72 %) per l’indipendenza. L’amministrazione coloniale francese si concede solo 3 giorni di tempo per proclamare l’indipendenza e cominciare a trasmettere il timone alle nuove autorità algerine.

Ma i mesi trascorsi fra il cessate il fuoco e la proclamazione ufficiale dell’indipendenza non furono proprio una passeggiata. Il Paese era in preda al caos più assoluto. Da una parte l’organizzazione terroristica dell’estrema destra francese, l’Oas, falciava vittime tutti i giorni, sia fra gli algerini che tra i francesi accusati di simpatia con questi ultimi, arrivando perfino a combattere vere e proprie battaglie contro l’esercito francese (come l’episodio conosciuto come la battaglia di Bab El Oued).

Dall’altra parte, se l’Esercito di liberazione nazionale (Aln) non attaccava più le posizioni dell’esercito regolare francese, però non si asteneva dal rispondere alle provocazioni e alla violenza dell’Oas.

Barricata anti indipendenza ad Algeri

Barricata anti indipendenza ad Algeri, 1962

Una giornata storica

Il 3 luglio De Gaulle proclama ufficialmente l’indipendenza dell’Algeria. Ma il Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) sceglie come data ufficiale dell’indipendenza il 5 luglio e invita tutta la popolazione a grandi festeggiamenti nelle città capoluogo dei dipartimenti (province).

La data del 5 luglio è altamente simbolica. É in effetti il 5 luglio 1830 che l’esercito francese mette piede sulla terra algerina, a Sidi Fredj, una località a circa 20 chilometri dalla capitale Algeri. Lo sbarco in quella spiaggia deserta è considerato l’inizio della conquista francese dell’Algeria e poi di buona parte dell’Africa.

5 luglio 1830 – 5 luglio 1962, un cerchio perfetto: 132 anni esatti di colonizzazione che finivano in quel giorno diventato da allora la festa nazionale dell’Algeria.

Ma come ogni guerra, quella algerina non finisce proprio lì. Si trascina per settimane e mesi, strascichi di odio, violenza e sofferenza.

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Orano una città particolare

Orano. Vista dalla fortezza spagnola di Santa Cruz

Orano. Vista dalla fortezza spagnola di Santa Cruz

La città di Orano era la più europea dell’Algeria francese. La sua popolazione era in gran parte di origine spagnola, figli della città da generazioni. In effetti, la capitale dell’Ovest algerino era caduta in mano agli spagnoli a partire dal 1509, molto prima dell’arrivo dei francesi. E se fu consegnata nel 18° secolo dagli spagnoli all’impero ottomano, la popolazione spagnola rimase comunque in città.

L’ovest era anche la terra del grande latifondo coloniale. I grandi coloni della regione possedevano terre le cui dimensioni qualche volta superavano quelle di alcuni Stati europei dell’epoca. Terre da grano, terre da vino, steppe buone per l’allevamento del bestiame. Un vero paradiso… per i coloni. Di sicuro non per i loro braccianti autoctoni tenuti poco sopra il livello della schiavitù.

Questo dominio europeo sulla città la tenne al riparo dai tumulti della guerra di indipendenza per molti anni. Mentre in tutto il Paese si combatteva e si moriva, Orano rimaneva una isola di pace. Mare, sole, buon cibo, bella musica… La vita lì scorreva dolce e tranquilla.

Ma quando si arrivò alla certezza dell’indipendenza la città fu presa in ostaggio fra la violenza dell’Oas, molto forte in città, e gli uomini dell’Esercito di Liberazione rientrati dal vicino Marocco per prepararsi alla presa dei comandi.

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Tutto inizia con un appello alla festa

Dopo l’annuncio dell’Indipendenza, i rappresentanti del governo provvisorio algerino presenti in città convocarono la popolazione, come in tutti gli altri dipartimenti del Paese a una grande festa per l’indipendenza, da celebrare tutti insieme giovedì 5 luglio.

Fin dall’alba del 5 cominciano ad arrivare file di abitanti delle periferie e dei villaggi della profonda provincia. L’atmosfera è di festa e non c’è nessuna ostilità nell’aria.

La polizia francese non è più in servizio da 3 giorni e le truppe militari sono rinchiuse nelle caserme. A fare da servizio d’ordine sono i pochi uomini dell’Esercito di liberazione già presenti in città, assecondati da un corpo formato in fretta: gli Ato (Ausiliari Temporanei Occasionali). Giovani reclutati a caso per dare mano nel servizio d’ordine. Ma per tutta la mattinata non ci fu bisogno di alcun intervento.

I cittadini algerini in festa si radunarono prima nei quartieri detti “musulmani”, principalmente la Casbah di Sidi El houari e El Hamri. Una vera onda umana che poco a poco investì tutta la città arrivando fino ai quartieri europei.

Era la prima volta che una manifestazione “indigena” osava entrare nelle aree europee. Forse l’Oas lo visse come una grave provocazione. O forse qualcuno volle far degenerare la situazione per altri motivi. Non si sa la ragione per la quale verso le 11.30, dalle parti di Place d’Armes, si sentirono prima alcuni spari (ai quali nessuno fece attenzione vista la confusione generale) che poco a poco diventarono una sparatoria nutrita fra europei trincerati nelle loro case da una parte e dall’altra manifestanti armati e alcuni membri del servizio d’ordine.

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Un massacro mai spiegato

La sparatoria scatenò un movimento di panico che degenerò presto in sommossa. I manifestanti attaccavano le case europee e ne buttavano il contenuto e gli occupanti verso le strade. Pestaggi, linciaggi, fucilazioni individuali e collettive, saccheggi, stupri, battaglie di strada. La città era come in preda al caos più assoluto. La violenza durò tutto il giorno fino a tardi nella serata. Nei giorni successivi continuarono violenze sporadiche, uccisioni e rapimenti. Per ristabilire l’ordine (o per qualche altra ragione che non è mai stata svelata) l’Esercito di liberazione usò la maniera forte e quindi nell’operazione caddero numerosi manifestanti e anche ausiliari, coinvolti nei disordini.

Il bilancio è molto pesante. Si parla di una cifra complessiva (fra algerini e europei) di circa 800 morti. Con un netto ma non vastissimo vantaggio a favore del numero di vittime europee.

Fino a oggi non si conoscono né le cifre esatte di morti, né i responsabili, né le cause dell’accaduto. Nel resto dell’Algeria i festeggiamenti si svolsero senza grandi incidenti. Ci furono sì saccheggi e appropriazione di beni e proprietà da parte delle folle “indigene” ma non furono registrati massacri in altre regioni del Paese. La popolazione europea che stava scappando verso la “madre patria” (che molti di loro non avevano mai conosciuto) poté ritirarsi per la maggior parte in pace e in sicurezza. Non andò così per gli Harki (gli ausiliari algerini dell’esercito francese) che furono vittime di una vera e propria caccia all’uomo, odiati dai loro fratelli e abbandonati alla loro triste sorte dai loro superiori francesi. Ma questa è un’altra storia.

 

festeggiamenti del 5 luglio 1962 ad Algeri

festeggiamenti del 5 luglio 1962 ad Algeri

Varie piste mai esplorate

Dopo l’accaduto, la responsabilità fu rimbalzata da una parte all’altra, senza mai entrare nei dettagli e fornire prove delle affermazioni.

Lo Stato francese accusa l’Oas di provocazione nei confronti degli “indigeni” e l’Aln di non assistenza alla popolazione in pericolo.

L’Oas accusa l’Aln di aver organizzato una caccia all’europeo nella città che, più di tutte le altre, consideravano la loro. E accusano l’esercito francese di non essere intervenuto per proteggere i suoi cittadini.

Anche dalla parte algerina ci sono due versioni. La versione ufficiale che vuole gli incidenti semplice perdita di controllo del territorio dovuto alla disorganizzazione delle giovani forze dell’ordine algerine e alla provocazione da parte dei terroristi dell’Oas.

Una versione alternativa parla di un piano escogitato dall’Esercito delle frontiere di Boumedienne per screditare il governo provvisorio e giustificare il suo intervento forte e la presa di potere con le armi.

Non si sa quale delle 4 teorie è quella più vicina dalla verità. Forse c’è un po’ di vero e un po’ di malafede in ognuna. Quello che si sa è che l’odio accumulato in 132 anni di ingiustizie ha reso impossibile la convivenza pacifica in una città che era fino ad allora una delle più belle e più cosmopolite del Mediterraneo.

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(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 5 luglio avevo, fra l’altro, queste ipotesi
: 1182: ad Assisi nasce Francesco; 1294: eletto Celestino V; 1857: nasce Clara Zetnik; 1932: dittatura in Portogallo; 1952: i minatori di Cabernardi; 1968: «Humanae Vitae»; 1970: le donne di Falls Road rompono il coprifuoco; 2006: delitto Roveraro; 2009: massacro Xinjiang; 2011: ucciso Charles Blair Hall. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

4 commenti

  • Caro Karim Metref.
    Ho alcuni nipoti magrebini ma se chiedo ad un Tunisino: chi sei? E’ possibile che mi risponda: je suis arabe; se chiedo ad un Algerino: chi sei? Mi risponde: je suis Algérien.
    Non ti crucciar di lor ma guarda e passa.
    La grandezza dell’Algeria è che il farmacista che cercava l’Algeria nei cimiteri senza trovarla, l’ha poi trovata all’ONU; che la contrapposizione tra francofoni e arabofoni si è dissolta con l’uso diffuso delle vostre tre lingue scritte, arabo amazig e francese, e del dialetto algerino spesso scritto con la fonetica francese; che il popolo Algerino continua a gridare: TAYA EL DJAZAIR
    L’Algeria e l’Italia hanno molte cose in comune a cominciare da una storia plurisecolare per l’affermazione della propria indipendenza nazionale e, sicuramente ancora, di identità nazionale!!!

    • Caro Padovani.
      Mi piacerebbe condividere lo stesso ottimismo. Invece la situazione in ALgeria è molto ma molto complicata. Tra berberisti (dove domina sempre di più la componente razzista e scompare quasi la componente, una volta dominante, dei “progressisti” aperti a dialogo, convivenza e interazioni positive) e nazionalismo arabo che non esiste più come progetto di società ma come semplice disprezzo di ciò che non è arabo. Poi se ci mette gli islamisti che rischiano prima o poi di prendere il controllo di tutto. Tanto a livello culturale ormai hanno il controllo…. LA situazione è ancora più esplosiva di prima della guerra civile degli anni 90.
      Quel bel “patriotismo” del dopo indipendenza: “Tahya al Djazair”, come dice lei è stato sostituito da un più calcistico “one, two, three, viva l’Algérie!”. E che ovviamente scatta solo quando c’è una partita di calcio. Il resto è tutto un disordine. un caos. La crisi profonda del regime, con il vechio presidente che non vive ma non muore e l’assenza di alternative, spinge tutti i conflitti sociali al loro massimo.
      Ma è dal caos che nascono le cose nuove. Speriamo siano cose nuove buone… speriamo.

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