Scor-data: 6 giugno 1978
Trentacinque anni della legge 194
di Giancarla Codrignani (*)
E’ un po’ strano celebrare gli anniversari delle leggi, ma con le donne succede. Infatti alle donne spettano normalmente erogazioni di benefici e tutele: leggine piuttosto che specifiche leggi «di genere». Il diritto è neutro e ci vorrà tempo per far capire che donne uccise per omicidio non sono uguali alle vittime di femmicidi. Forse si dovrà passare prima attraverso la definizione di un’aggravante «per amore» dell’omicidio.
Nel caso dell’aborto anche il giurista più tradizionale capisce che la norma non è generalizzabile: è «cosa di donne». Considerazione sommaria, perché è anche, eccome, cosa di uomini. Solo che l’uomo, nella relazione sessuale, è irresponsabile. E’ la solita questione della «differenza»: la donna vorrebbe invece che la maternità fosse «libera e responsabile».
Prima del 1978 l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata reato (articolo 545 del Codice penale) ma non forniva lavoro ai giudici: la clandestinità copriva la permissività e, quando si fossero verificate complicazioni, medici caritatevoli curavano emorragie anomale o firmavano certificati di morte senza chiedere accertamenti, nonostante le pene non indifferenti per i correi. Perché, di fatto, l’unico correo non menzionato nella vecchia legge era l’uomo, che non pensa la paternità come libera e responsabile. L’onore e la vergogna siano dunque a carico della donna.
Nel 1975 Adele Faccio, Emma Bonino e Gianfranco Spadaccia si fecero arrestare per aver praticato aborti. Incominciava la lunga marcia del riconoscimento della «piaga sociale» che aveva un costo altissimo e rimosso di sangue femminile: gli aborti si praticavano nella clandestinità e si rischiava la morte con beveroni di prezzemolo e ferri da calze.
Con la legge 194 lo Stato ha garantito il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e ha riconosciuto il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo inizio. Finalità raggiunte? Le donne hanno parecchi dubbi. Che la procreazione sia libera e consapevole è una dichiarazione d’intenti in un Paese in cui la cultura cattolica mantiene il rifiuto della contraccezione e contrasta l’educazione sessuale nelle scuole. Il valore della maternità è una ovvietà. L’inizio della vita umana resta indefinibile, ma l’obiezione di coscienza concessa ai medici del servizio sanitario è la più estesa e accertata “applicazione” della legge che, per poter essere approvata, ha subìto un compromesso così pesante. Grave, perché le leggi votate dal Parlamento democratico sono riformabili, non obiettabili (l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio contestava, infatti, un obbligo costituzionale, non una legge qualsiasi) e con medici e paramedici obiettori siamo all’abbandono di servizio pubblico e addirittura con i farmacisti che si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo l’obiezione diventa abuso.
Quindi – dal riconoscimento giuridico confermato dai due terzi di votanti nel referendum abrogativo fino a oggi – non ci sono trionfi da celebrare, piuttosto inquietudini. Le antenne femminili sentono il pericolo di qualche insidia e temono che si possa ri-negoziare sulla loro pelle. Per fortuna il governo ha altri problemi, ma, come negli Usa il Pro Life dà noia a Obama, il Movimento per la Vita si agita, crea cimiteri per feti che la Chiesa non ha mai battezzato e fa da amplificatore all’ideologia vaticana dell’embrione.
I laici, meno male per loro, sono soddisfatti del successo di una legge che ha diminuito gli aborti. La diminuzione è tutta statistica e personalmente sono meno ottimista, perché certamente sono finiti prezzemolo e ferri da calza (forse ancora usati per le donne cinesi) ma se un’adolescente si ritrova nei “guai”, forse i genitori tirano fuori mille euro e vanno in un ambulatorio privato. Forse non solo le minorenni.
Anche in questo caso toccherà alle donne alzare il livello della discussione politica e fare cultura perché uomini e donne debbono vivere in libertà e responsabilità anche la vita intima. Diceva nel 1976 la rivista femminista Effe: «non si può pensare che sia rivoluzionaria una legge… se non riesce a contenere, affermare e proteggere il nostro intimo più vero, le nostre stesse vite… Aborto libero dalla sanzione, non affermazione di una pienezza di sé conquistata attraverso l’aborto. Aborto libero perché liberatorio da un male peggiore». Oggi vuol dire rifare il punto storico della questione ed estendere l’impegno contro la violenza. Perché la cultura, soprattutto nelle crisi, scarica i problemi sulle spalle delle donne, il genere che, tra l’altro, diventa anche, sempre con il suo corpo, l’ammortizzatore sociale privilegiato.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)