Scor-data: 7 dicembre 1937

Una tappa negli orrori di Nanchino

di d. b. (*)  

L’articolo si intitola «Corsa serrata fra i sottotenenti in lizza per l’abbattimento di 100 cinesi». Esce il 7 dicembre 1937 sul «Japan Advertiser». Eccone un brano: «Il sottotenente Mukai Toshiaki e il sottotenente Noda Takashi, entrambi in forza all’unità Katagiri di Kuyunk, che si stanno affrontando in una gara amichevole su chi riuscirà ad abbattere con la spada 100 nemici cinesi prima che le forze giapponesi occupino Nanchino, si trovano ormai alle fasi conclusive dell’incontro. Fino a domenica scorsa, secondo l’Ashai Shimbun, il punteggio era: sottotenente Mukai 89, sottotenente Noda 78». Quell’articolo viene ripreso, nel 1997, in un libro famoso «Lo stupro di Nanchino» (in italiano dall’editore Corbaccio) della cino-americana Iris Chang. Lo cita anche, nel 2009, Gian Antonio Stella nel suo «Negri, froci, giudei & co.» ricordando che ben pochi giapponesi hanno ammesso le loro responsabilità ma soprattutto che nei testi scolastici nipponici manca ogni riferimento al massacro di Nanchino, alla creazione dei bordelli-prigione o all’unità 731 diretta dal biologo Shiro Ishii, soprannominato «il dottor Mengele giapponese».

Nel 1937 Nanchino era la capitale cinese.Cadrà nelle mani giapponesi il 13 dicembre: massacri, stupri e saccheggi vanno avanti per mesi. Secondo le stime del Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente (una sorta di Norimberga giapponese che si svolse fra il 1946 e il 1948) sono oltre 200 mila i civili e prigionieri di guerra assassinati a Nanchino e nei dintorni, solo nelle prime 6 settimane di occupazione. Per molti studiosi (fra cui Iris Chang) la cifra più vicina al vero è 300mila. Nel dicembre 2007 alcuni documenti statunitensi (fino ad allora segreti) fanno salire il numero dei morti di Nanchino a mezzo milione. Se qualcuno si chiede come mai gli Usa furono così reticenti sui massacri nipponici (e anzi diedero asilo ad alcuni “scienzati” noti come criminali di guerra) bisogna ricordare che a pochissimi anni dalla fine della seconda guerra mondiale il Giappone divenne un tassello fondamentale nella strategia anti-cinese.

Il quadro storico nel quale avviene il massacro di Nanchino è la seconda guerra sino-giapponese.

Dopo la battaglia di Shangai, il 6 agosto 1937 l’imperatore Hiro Hito ratifica la scelta di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni internazionali per il trattamento dei prigionieri. Quando la guerra si avvicina a Nanchino quasi tutti gli occidentali se ne vanno, Fra i pochi a rimanere il tedesco John Rabe, dirigente della Siemens che qualcuno definì assurdamente «il nazista buono». Più di recente, Rabe è stato ribattezzato «lo Schindler di Nanchino» perché in quel periodo riuscì a salvare decine di migliaia di cinesi. Le sue proteste, inviate in Germania, contro quegli orrori gli costarono il richiamo in patria e soprattutto l’arresto.

Proprio il 7 dicembre 1937 l’esercito giapponese trasmette un dispaccio alle truppe avvisando che a Nanchino saccheggi, incendi, illegalità verranno puniti severamente. In realtà accade il contrario. Dopo un ultimatum, il 12 dicembre, le truppe cinesi si ritirano. I giapponesi entrano in città il giorno dopo, incontrando pochissima resistenza eppure si scatena ogni violenza persino con torture e teste mozzate. Vi sono molte testimonianze e persino il filmato di un missionario statunitense, John Magee, ma anche le confessioni – molti anni dopo – di alcuni veterani di guerra giapponesi fra i quali Shiro Azuma, Tominaga Sozo e il medico Nagatomi Hakudo.

Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ha stabilito che vennero stuprate (spesso in pubblico) almeno 20.000 donne fra le quali anche bambine e anziane, molte delle quali poi furono uccise o mutilate mentre le altre venivano mandate nei bordelli-prigione.

Ancor oggi il Giappone rifiuta di risarcire le vittime dei crimini di guerra e gli eredi delle cavie umane uccise dall’Unità 731 in Manciura. Ma fatica anche, al di là di qualche timida ammissione ufficiale, a fare i conti con gli orrori di Nanchino. Nel 2004 un’ondata nazionalista e militarista costringe una casa editrice di manga a ritirare il fumetto di Hiroshi Motomiya che ha trattato in modo “troppo” esplicito la strage di Nanchino. E intanto alcuni parlamentari giapponesi vanno a rendere omaggio al santuario di Yasukuniu dove sono seppelliti anche 7 criminali di guerra.

Fra i non molti libri in italiano che affrontano quell’orrore rimosso vale segnalare il saggio «Fotografia, memoria e giustizia: la strage di Nanchino nel 1937» di Robert Chi nel volume «Dopo la violenza: costruzioni di memoria nel mondo contemporaneo» pubblicato nel 2005 dall’editore L’ancora del Mediterraneo e che riprende gli atti di un convegno del 2002.

Trattando di memoria è d’obbligo un riferimento ai diversi modi nei quali i Paesi del patto “Roberto” (Roma, Berlino, Tokio) hanno affrontato nel dopoguerra i crimini di guerra. Quando uscì la traduzione italiana di «Lo stupro di Nanchino» il quotidiano «L’unità» diede ampio spazio al libro di Iris Chang e intervistò lo storico Gabriele Nissim chiedendogli, fra l’altro, se gli unici «vaccinati», cioè capaci di fare i conti con la propria storia, fossero i tedeschi. E lui rispose di sì, ricordando come l’Italia ma anche l’Ungheria e la Bulgaria, Paesi alleati dei nazisti, o la Francia (per quel che riguarda la repubblica collaborazionista di Vicky) continuano, salvo poche eccezioni, a tacere e auto-assolversi.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 7 dicembre fra l’altro avevo ipotizzato: 1805: muore Federico di Danimarca; 1896: assassinato Maceo; 1952: manifestazioni in Marocco, quasi 2mila morti; 1969: «Observer» scrive che in Italia si prepara un golpe; 1970: Willy Brandt si inginocchia al ghetto di Varsavia; 1975: l’Indonesia attacca Timor Est; 1980: sparano a Lennon; 1992: distruzione della moschea di Ayodhya. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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