Scor-data: 7 febbraio 1909
Nasce Helder Camara, vescovo sovversivo
di Daniela Pia (*)
L’ invito di Emmanuel Lévinas «Ama il prossimo tuo: è te stesso» ha rappresentato la cifra identificativa dell’ operato di Helder Camara. Nasce a Fortaleza il 7 febbraio 1909. Il suo nome “cielo sereno” anticipava ciò che sarebbe diventato per l’America Latina, ma non solo: uomo abituato a condividere la povertà e la sofferenza dei suoi simili, capace di ricordare al mondo che «vivremo in pace solo quando impareremo a essere tutti forestieri». La sua figura evanescente, solo apparentemente fragile, divenne un icona per quelli che lo seguirono in tante battaglie per la giustizia, la pace, il riscatto dei più poveri. Precursore della teologia della liberazione latinoamericana riuscì a integrare dimensione politica e spirituale della fede cristiana. Nel 1952 fu consacrato vescovo e dopo qualche anno divenne arcivescovo ausiliare di Rio de Janeiro. Negli anni Sessanta e Settanta iniziò una serie di battaglie per la giustizia e per il riscatto dei poveri, contro lo sfruttamento economico, l’oppressione politica e militare. Non ebbe remore a ergersi contro le multinazionali che monopolizzavano l’economia mondiale e ne denunciò le strategie finalizzate a un arricchimento smisurato che costava la miseria di popoli interi. Si avvicinò all’idea di un socialismo dal volto umano, ispirato al Vangelo e impegnato a realizzare il bene comune. «Quando do da mangiare a un povero, mi chiamano santo. Quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora mi chiamano comunista». Nel 1955 a Rio accolse l’invito del legato pontificio cardinale Gerlier di mettere il suo talento organizzativo a servizio dei poveri, per affrontare i problemi delle favelas a Rio – «la città più bella, ma anche la più spaventosa del mondo» – e il suo impegno, al di fuori di ogni convenzione, si sviluppò non solo nell’operato quotidiano sul campo, ma anche attraverso appelli accorati ripresi dai mass media internazionali. Questo gli attirò l’astio e il sospetto sia dei militari, al potere dal 1962, che delle classi alte. Lo chiamarono «il vescovo rosso» forse perché sottolineava le storture di un sistema controllato dai potenti: «Quale valida speranza ci può essere di riuscire ad avere un mondo più giusto e più umano?» – scrive nel ’73 – «Non la distruzione del progresso, ma il cambiamento, anche nei Paesi ricchi, di strutture anti-umane, per fare in modo che il progresso tecnologico, che è una gloria umana, sia posto a servizio dell’uomo integrale e di tutti gli uomini». E ancora diceva: «Come cristiano non posso accettare la violenza armata. Sono convinto che solo l’amore può costruire. Non ho alcuna fiducia nell’odio. Questo ho capito dal Vangelo e questo predico. Forse altri, anche partendo dal Vangelo, sono arrivati a opposte conclusioni. Io li rispetto, ma non ne condivido il pensiero». Dal 1964, dopo essere diventato arcivescovo di Recife, la risonanza dei sui messaggi acquistò una dimensione mondiale ma fu la sua testimonianza nel fare quotidiano che gli valse la candidatura al premio Nobel per la pace che però non ricevette anche se – il 10 febbraio 1974 – ebbe (nel Palazzo comunale di Oslo) il «Premio alternativo della pace».
Fu oratore capace di coinvolgere folle immense nei suoi viaggi in America, Europa, Giappone e Africa. Qualcuno lo definì «un grande attore» per la sua veemenza e la forte carica comunicativa ma quando le sue rughe diventavano solchi dai quali scorrevano le lacrime commuoveva tutti non perché recitasse ma come testimone e portavoce della sofferenza causata dalla miseria nelle periferie del terzo mondo da quel potere di cui continuò sempre a denunciare i crimini. Attraversò il Novecento diventandone una delle più importanti figure di riferimento. Abbandonò la sua diocesi a 76 anni ma continuò a vivere nel quartiere popolare di Recife, dove non smise mai di essere uno del popolo, e lì si spense il 27 agosto 1999.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 7 febbraio fra l’altro avevo ipotizzato: 1497: «il falò delle vanità» di Savonarola; 1632; processo a Galileo; 1897: muore Dostoevski; 1905: nasce Paul Nizan; 1960: esce «La dolce vita»; 1976: arresto di Leonard Peltier; 1980: esce The Wall; 1986: muore Cheik Anta Diop. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)