Scor-data: 8 luglio 1723
Il «Black Act» e la guerra dei boschi
di «Zones subversives», riprendendo Edward Thompson (*)
Lo storico Edward P. Thompson propone una riflessione sulla lotta di classe e il diritto di proprietà a partire dalla guerra dei boschi nell’Inghilterra del XVIII secolo. La sua riflessione storica solleva tematiche che si rivelano attuali. Questo storico inglese fa riferimento al marxismo “eterodosso”. Ha scritto la celebre «The Making of the English Working Class» [traduzione italiana: «Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra», Il Saggiatore, 1969]. Thompson non si accontenta di una storia conformista che descrive soltanto le istituzioni e gli avvenimenti politici, ma sviluppa una storia vista dal basso che s’incentra sulle classi popolari e le loro condizioni di vita. In «La Guerre des fôrets», analizza la repressione del bracconaggio e la resistenza popolare.
Thompson matura in un ambiente colto dell’Inghilterra rurale. Dedica il suo primo libro a William Morris, il socialista anti-industriale che rimane una figura importante del romanticismo rivoluzionario. Thompson preferisce il socialismo utopistico al dogmatismo scientifico del marxismo accademico. Nel 1956, quando l’insurrezione ungherese è repressa nel sangue, lo storico lascia il Partito comunista per unirsi al movimento della “Nuova sinistra”. Partecipa alla creazione della «New Left Review», ma si oppone a Perry Anderson che fa riferimentp allo stalinista Althusser, denunciando questa versione dogmatica di una «forma religiosa del marxismo».
«La lotta sociale face au droit» (di fronte al diritto)
Nel 1723, in Inghilterra viene adottato il Black Act. Questa legislazione difende la proprietà privata e reprime la caccia e diverse altre attività.
Una burocrazia agraria fa applicare la legge, difendendo i propri interessi. Ma i contadini organizzano una resistenza collettiva per conservare il controllo delle terre contro i ricchi signori che se le accaparrano. I contadini non esitano ad appropriarsi del bosco che si trova sulle terre che non appartengono loro. Una banda di bracconieri si organizza per poter prendere animali e resistere ai guardia caccia. I Blacks, guidati da “re Giovanni”, incarnano la resistenza popolare di fronte al potere feudale. «Nel 1720-1722, il parco del vescovo fu attaccato in diverse riprese, la sua orda di cervi fu decimata, le sue case bruciate, il suo bosco distrutto, e si fece fuoco sul suo bestiame» scrive Edward P. Thompson.
I Blacks sono assimilati a giustizieri che ricompongono i conflitti riguardanti i diritti sulla legna, il pascolo e la pesca. Essi distruggono le foreste quando i signori proibiscono ai contadini a prendere la legna. Ma una semplice minaccia basta a far piegare il potere dei proprietari. Il “re Giovanni” è paragonato anche al leggendario Robin Hood. «Il risentimento accumulato per decenni lo protesse, lui e la sua banda, il che gli permise di spostarsi alla luce del sole e di far regnare una giustizia del popolo» fa notare Thompson. Questi ribelli sociali diffondono pratiche di resistenze individuali: bracconieri, ladri, contrabbandieri, pescatori e forestali non esitano più a infrangere l’autorità feudale.
Ma il governo monarchico si impegna a reprimere i Blacks. Non soltanto per la loro azione, ma anche perché possono diventare una forza politica. «I Blacks, per un anno o due, avevano usufruito del sostegno delle comunità forestali, come i Luddisti più tardi quello dei tessitori» osserva Edward Thompson. Il Black Act permette allora di imporre una repressione giudiziaria particolarmente dura. Si tratta di dare esempi per dissuadere i contadini di commettere delle azioni illegali. «Ciò che testimonia il Black Act era il lungo declino dell’efficacia dei metodi antichi di controllo e di disciplina di classe, e la loro sostituzione con un mezzo standard di autorità: l’uso esemplare del terrore» analizza Thompson.
Malgrado la sua millantata neutralità, la legislazione difende soprattutto una politica di classe per proteggere i possidenti. I diritti e la soddisfazione dei bisogni dei poveri diventano crimini: bracconaggio, furto di legna, violazione di proprietà privata. La legge permette di legittimare la società di classe, «ma l’ineguaglianza decisiva risiedeva nell’esistenza di una società di classe in cui i diritti d’uso non monetari erano reificati, dalla mediazione dei tribunali, in diritti di proprietà capitaliste» analizza Edward P. Thompson. Il conflitto forestale oppone gli utilizzatori agli sfruttatori.
Questo studio storico di Thompson permette una riflessione marxista sul diritto. Secondo il marxismo volgare, la legislazione si riduce a una semplice “sovrastruttura” che riflette le necessità di una infrastruttura dei rapporti di produzione. I rivoluzionari non devono dunque interessarsi al diritto secondo questa vulgata, perché non riflette che l’ipocrisia della classe dominante. Per Edward P. Thompson, il diritto non si riduce a una finzione mistificatrice e ideologica e merita uno studio serio. Il diritto dispone anche di una logica, con regole e procedure proprie. La legislazione permette di organizzare una società complessa. «Il diritto era dunque profondamente imbrigliato nella base stessa dei rapporti di produzione che, senza di esso, sarebbero stati inoperanti» analizza Thompson. Alcune norme concorrenti si oppongono e la legge non incarna un consenso ma rimane uno spazio di conflitto. Il diritto non si riduce all’ideologia di un apparato di Stato e di una classe dirigente. Le forme di diritto esprimono un conflitto e un rapporto di classe.
Il diritto può diventare «uno strumento di scelta grazie al quale questi dirigenti poterono imporre nuove definizioni della proprietà, sempre più a loro vantaggio» osserva Thompson. Il diritto d’uso agrario sparisce così a profitto delle recinzioni. Ma la legislazione evolve anche con le lotte sociali e permette allora di imporre freni all’azione dei dominanti. La lotta intorno al diritto e nelle forme del diritto non è dunque da trascurare affatto.
E. P. Thompson e il marxismo critico
Lo storico Philippe Minard presenta le sue analisi sul testo di Thompson. Questo studio apre una riflessione sulla legislazione ma anche sull’opposizione fra i proprietari e i fruitori. «Thompson discerne la questione centrale della proprietà: la posta è quella della difesa dei diritti collettivi contro una definizione più assoluta e più esclusiva della proprietà, aprendo la via all’individualismo proprietario che il capitalismo farà presto trionfare» osserva Philippe Minard.
L’étude de Thompson s’inscrit dans le contexte des années 1960-1970 qui voient émerger une nouvelle histoire sociale. Cette histoire «par en bas» évoque le petit peuple, les sans grade, les délaissés et la foule des anonymes plutôt que les personnalités et les intrigues de la cour royale. L’étude sur la criminalité est privilégiée, pour lui donner un sens au regard de l’ensemble de la société. Ce courant historique permet également de se pencher sur les rouages de la justice et de l’État.
La légalité populaire conteste la légalité officielle. Cette forme de résistance s’oppose à l’exploitation économique et à la domination sociale. La «criminalité sociale» s’apparente à une forme de contestation populaire qui s’appuie la tradition des solidarités communautaires. Les droits coutumiers permettent aux paysans d’utiliser une terre qui ne leur appartient pas, notamment pour le glanage. Mais, à partir du XVIIIe, les riches propriétaires fonciers imposent des enclosures. La rentabilisation de l’investissement agricole prime sur les droits d’usage. Les clôtures interdisent l’accès et «privatisent» complètement la terre. Progressivement, «l’individualisme possessif gagne alors du terrain, ancrant dans les esprits une définition de plus en plus absolue de la propriété» décrit Philippe Minard. Le «crime social» exprime alors une protestation des dépossédés. Même si les paysans dénoncent surtout l’individualisme possessif, davantage que les structures de l’économie de marché et le principe même de propriété.
La réflexion de Thompson sur le droit semble contestable. L’historien critique bien la conception marxiste étriquée avec la législation comme simple reflet idéologique de la domination de classe. La loi permet aussi de matérialiser un rapport de force social et peut évoluer avec les luttes. Mais Thompson semble tordre le bâton dans l’autre sens. Il fait même l’apologie des mouvements strictement légalistes comme celui de Gandhi. Il semble alors s’illusionner par rapport à l’État de droit, comme supposé protecteur des libertés. C’est le rapport de force social qui fait changer la loi, et non le droit qui change le rapport de force social. Les luttes peuvent évidemment s’appuyer sur le droit, mais ne doivent pas se limiter à cet outil, au risque de devenir uniquement défensives et d’échouer.
Mais la destruction de l’Etat doit demeurer la perspective des mouvements de lutte. L’Etat n’est pas un simple instrument de la bourgeoisie comme le prétendent les marxistes-léninistes. Thompson devient alors plus intéressant que la plupart des idéologues marxistes, comme un Poulantzas redécouvert par des universitaires du Front de gauche qui aspire à gérer l’Etat plutôt qu’à le détruire. Pour eux, si l’Etat change de main, une politique différente peut être menée. Thompson montre bien que l’Etat demeure une bureaucratie autonome avec ses propres règles. Prendre le pouvoir d’Etat ne change rien. Il ne faut pas renforcer l’Etat, mais le briser pour construire une société nouvelle.
Mais Thompson permet une véritable réflexion historique. Il s’oppose au marxisme structuraliste, incarné par Althusser et Perry Anderson. Ses idéologues privilégient un marxisme mécanique et théorique qui semble coupé de la vie quotidienne. Au contraire, E. P. Thompson apprécie de reconstituer un contexte historique, de décrire des personnages, de se plonger dans les archives. Il propose une histoire empirique, en prise avec la réalité, et une description minutieuse de la vie quotidienne.
Source: Edward P. Thompson, «La guerre des forêts. Luttes sociales dans l’Angleterre du XVIIIe siècle», Traduit de l’anglais par Christophe Jaquet, Présenté par Philippe Minard, La Découverte, 2014.
LINK:
http://zones-subversives.over-blog.com/2014/03/guerre-de-classes-dans-l-angleterre-du-xviiieme.html
Guerre de classes dans l’Angleterre du XVIIIème
Ed ecco come il «Black Act» viene raccontato da Wikipedia.
Il Black Act (9 Geo. 1 c. 22) fu un decreto del Parlamento di Gran Bretagna approvato nel 1723 durante il regno di Giorgio I in risposta ad una serie di raid compiuti da bracconieri noti come “Blacks”. Nati in seguito allo scoppio della bolla della South Sea Company e alle difficili condizioni economiche che seguirono, i Blacks presero il nome dall’abitudine di annerirsi il volto durante le azioni di bracconaggio. Le loro attività, ben organizzate e prova di un aperto odio sociale, portarono all’introduzione del Black Act il 26 aprile 1723; l’entrata in vigore della nuova legge fu il 27 maggio successivo. Prevedeva l’introduzione della pena di morte per più di cinquanta reati, fra cui l’essere trovati nascosti in una foresta. In seguito a una serie di riforme nel diritto penale, venne quasi completamente abolito l’8 luglio 1823, con l’approvazione di una nuova legge sostenuta da Robert Peel.
La fonte indicata è Edward P. Thompson, «Whigs and hunters: the origin of the Black Act», London: Allen Lane, 1975. [traduzione italiana: «Whings e Cacciatori», Ponte delle grazie, Firenze, 1989.]
(*) Ho trovato in rete l’indicazione di questo testo con il titolo «Guerra di classe nell’Inghilterra del XVIII secolo» (da “Zones subversives”) e l’ho poi ripreso dal blog storiasoppressa.over-blog.it che si presenta così: «STORIA SOPPRESSA è un blog di storiografia e critica ideologica libertaria».
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sull’8 luglio avevo, fra l’altro, queste ipotesi: 1426: la «strega» Finicella al rogo, san Bernardino esulta; 1593; nasce Artemisa Gentileschi; 1839: nasce Rockfeller; 1978: Pertini presidente… e chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)