Scor-data: ancora sul 4 novembre 1998
Muore Joyce Lussu
di Lella De Marco (*)
Proprio nella giornata dedicata alle Forze Armate si è spenta Joyce Lussu: dopo un’estate torrida durante la quale, lei quasi novantenne, nella sua casa (nel centro storico di Roma) senza perdere la pazienza e aspettando l’arrivo del Ponentino, continuava – con grande lucidità, passione e conoscenza – a interloquire contro tutte le guerre, il militarismo, le armi, gli oppressori di sempre, le libertà negate, il colonialismo e il neocolonialismo, la debolezza della politica ufficiale, l’asservimento e lo sfruttamento dei popoli, l’oscurantismo delle religioni…
Io l’ho incontrata per l’ultima volta proprio in quel periodo, con ragazze conosciute ad Ancona che avevano relazioni con lei e mi avevano regalato il libretto sulla civetteria ovvero una sua lunga conversazione sul tema, realizzato assieme a Luana Trapè. Era appena uscito.
Si potrebbe ricordare Joyce Lussu in molte maniere. Parlando della sua vita avventurosa fra rivoluzione e poesia; o dei suoi scritti storici, femministi, politici; del sua grande amore con Emilo Lussu; della Sardegna scelta da lei come terra adottiva; dei grandi uomini politici con cui aveva stabilito rapporti di stima e collaborazione come Mao, Nelson Mandela, Agostino Neto. Oppure parlare del tiepidissimo riconoscimento che le ha riservato il governo del Paese chiamato Italia – libero democratico e antifascista – che lei e il suo compagno Emilio Lussu hanno contribuito a costruire con la lotta partigiana. Si potrebbe anche scrivere del perché la grande editoria o gli studi ufficiali si siano interessati così poco a lei; o del perché i suoi scritti politici giacciono sparsi nelle riviste pubblicate dal Partito Socialista cui lei aveva aderito e nessuno li ha raccolti in volumi.
Io preferisco un ricordo leggero, gioioso e di gratitudine: per l’insegnamento, per le scoperte di novità culturali ed esistenziali, per le risonanze ricevute nel breve rapporto che ho avuto con lei. Fonte inesauribile di sollecitazioni, punzecchiature, rimproveri sull’essere ancora tutti/e europo-centrici culturalmente. Ma anche fonte di stimoli, di incontri con la poesia e appunto con la civetteria. Joyce era poeticamente “civetta” e teorizzava la civetteria delle persone e delle cose, come spumeggiare dell’intelligenza… vivendo e scoprendo la poesia.
Quella poesia che è nelle cose e negli animi, come quando Joyce ci raccontava di un tavolo imbandito su un sasso per mangiare pane e acqua, durante la Resistenza e il pericolo corso per raccogliere fiori da mettere vicino al cibo. Sento la poesia nel timbro della sua voce (che ancora risuona dentro di me) mentre a memoria recita Hikmet, ritrovandosi nei versi «Alla vita», forse avvertendo lei stessa la conclusione di una fase esistenziale, senza per questo pensare o temere la fine. Ma il tenero ricordo del poeta turco non le smorzava la rabbia nei confronti dei nostri politici definiti da lei «mosci» nell’essere antimilitaristi…
Da «Sulla civetteria»
Joyce – Riassumiamo per prima cosa tutto quello che la civetteria non è. Non è disordine, sciatteria; è impossibile coniugarla con la violenza e la crudeltà; non tende al potere politico, non si esercita per avere soldi o fare traffico d’armi. Chi prova il gusto della civetteria non può mai essere completamente disumanizzato, perché vuol dire che ama se stesso e quindi ama anche i suoi simili; uno ha fiducia in sé, si è simpatico e questa simpatia la estende agli altri esseri umani, almeno a buona parte.
La civetteria è una capacità ludica che fa parte della nostra natura umana e che ci dà momenti di allegria, che sono molto importanti, di grazia, di garbo, nell’aspetto, nei movimenti, in come agghindiamo il nostro corpo, anche nella pura ricerca estetica.
Dovremmo coltivare la capacità di essere contenti, per cui la vita ci piace, ci piace avere questo corpo, queste mani, questo cervello, essere presenti in mezzo agli altri che sono come noi ma leggermente diversi. La civetteria è qualcosa di assolutamente gradevole all’occhio, al tatto, a tutti i sensi, perché un’immagine armoniosa ha nel cervello un impatto astratto ma molto forte.
Essa coinvolge uomini e donne in egual misura e con la stessa prospettiva; ti dà un senso di agio, di rilassamento, ti distende, ti regala serenità. La civetteria non è frutto della paura ma della pace e del senso di armonia con il mondo circostante; inoltre quando è completa, vera, non vuole togliere nulla, ma bensì aggiungere civiltà. Questa è l’essenza della civetteria; poi ci sono le deformazioni, i degradi.
Cerchiamo invece di mettere in luce quelle forme che sembrano inutili, come quella di cambiarsi la sera per mettersi a tavola, adornarsi, trattare cortesemente gli altri; sembrano formule superficiali ma in realtà non lo sono, perché se si è capaci di perdere un po’ di tempo e di pensiero per creare questi piccoli contesti, si vive meglio e non si ha quel senso di precarietà, di inutilità delle cose, della vita.
Quello che ammiravo molto nel mio compagno era che lui non aveva un linguaggio diverso quando stava in casa con noi da quando stava fuori: stava con me come sarebbe stato con un ospite gradito a cui dava accoglienza e ospitalità. Mentre sappiamo tutti come si comporta la gente molto spesso: entra a casa e mentre prima era tutto ossequi e gentilezza, quando rivolge la parola alla moglie, si trasforma. Perché? Bisogna usare anche per i familiari lo stesso abito e gli stessi modi che useresti con gli invitati; questa è una disciplina che rende la vita più gradevole e dà la possibilità di controllare meglio se stessi. Se hai questa abitudine, non sentirai il bisogno di alzare la voce o di parlare in maniera rozza.
La civetteria “rivalutata” si potrebbe allora definire come “la veste festosa e gradevole della simpatia per il proprio simile”, un modo per esprimere l’ordine che diventa un ordine mentale. Questa è la civetteria intesa nel senso migliore; è una forma di disciplina, di sforzo che si fa per dedicare una parte delle proprie energie all’essere gradevole, un gusto che si ha per se stesso o per catturare l’attenzione dell’altro, per avere fascino.
(…) Noi esseri umani abbiamo un grande problema, che è la convivenza. I cinesi della Rivoluzione culturale dicevano che la storia ha solo due aspetti: la sopravvivenza e la convivenza. La prima è un lavoro che facciamo per procacciarci da mangiare, per avere i beni per vivere. La convivenza invece va gestita con un certo equilibrio per far scorrere la giornata, creare i ritmi, i moduli con i quali muoversi per andare in mezzo agli altri.
Oggi non si insegna ai giovani come comportarsi quando si è in molti, senza essere sgradevoli agli altri; non si dice loro di non alzare la voce o di modularla, di avere una buona dizione per farsi intendere e non esplodere in urla, di non parlare in maniera poco chiara. La vita sarebbe facilitata, se insegnassimo loro alcuni comportamenti che poi più tardi vengono descritti come civetteria.
Infine c’è da dire che la civetteria, attraverso i millenni di maschilismo trionfante, in maniera tenue ma profonda, contesta la separatezza artificiale imposta tra l’uomo, forte e coraggioso, che si assume il ruolo della guerra e la donna, serva e domestica, che fa i figli e li accudisce.
(…) Tutta la biologia moderna riconosce che l’uomo e la donna sono molto simili e ambedue possiedono quegli elementi che sono detti abbastanza arbitrariamente maschili e femminili: infatti non si capisce perché la tenerezza e la gentilezza debbano essere un attributo della donna, mentre il decisionismo e la forza attributi dei maschi.
Non è così, ogni essere umano ha in sé questi elementi, che non debbono essere separati dando luogo a ruoli diversi e contrapposti, bensì riconosciuti come alleati e complementari. (…) Io credo che anche l’omosessualità sia un incontro tra due esseri in cui c’è, in uno forse una piccola prevalenza dell’elemento detto femminile e in un altro di quello detto maschile.
(…) Già vediamo che nelle giovani coppie maschi e femmine vanno a lavorare e accudiscono la casa e i bambini, senza nessuna differenza: tutto dipende dalla situazione del lavoro, dalla praticità della vita; non c’è più né da parte della donna un rifiuto dell’assunzione di responsabilità o di capacità decisionali, né da parte dell’uomo un rifiuto totale delle attività domestiche. (…) Questo crea un’armonia all’interno della famiglia che poi, estesa, può diventare armonia all’interno della società.
Sono certa che prevarranno le forme pacifiche di convivenza quotidiana che si intravedono già nelle responsabilità di governo di Nelson Mandela e nelle proposte ecologiche e sociali di Vandana Shiva.
ECCO IL MIO MODO DI RICORDARE JOYCE LUSSU, UNA DONNA CHE MI HA DATO TANTE RISPOSTE CON LE SUE IDEE, IL SUO SENSO DELLO STARE AL MONDO, LA SUA ELEGANZA INNATA CHE RILUCEVA NELLA SUA BELLEZZA, NELLA SUA INTELLIGENZA DI DONNA FORTE, RIBELLE, CONSAPEVOLE DEI PRIVILEGI DI CLASSE MA CHE AVEVA MESSO LA LOTTA AL PRIMO POSTO PER IL BENESSERE DI TUTTI/E.
(*) Di Joyce Lussu si è parlato altre volte in blog: in particolare rimando ai post intitolati «Omaggio a Joyce Lussu» e «Scor-data: 4 novembre 1998» di Daniela Pia.
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 4 novembre avevo, fra l’altro, queste ipotesi: una “miscellanea” sulla «fine» della guerra mondiale (con ricordi familiari, brani di libri e film, riflessioni …) oppure 1577: nasce Francois Leclerc Tremblay; 1780: la rivolta Tdi upac Amaru; 1897: nasce Cypriano Mera Sanz; 1908: nasce Rotblat; 1918: Kiel, rivolta marinai; 1978: bella lettera di Sciascia ad Annamaria Ortese; 1995: ucciso Rabin; 2002: diamanti, «Vimberly Priocess»; 2003: dimezzata la pena all’assassino di Jon Cazacu (già in blog); 2009: sentenza Abu Omar.… E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)
Un’amica mi segnala che il libro di Joyce Lussu «L’uomo che voleva nascere donna (diario femminista a proposito della guerra)», curato da Chiara Creella, è edito da Gwynplaine – 156 pagine per 13 euri – che ha pure ristampato altri testi di Joyce Lussu («Padre padrone padreterno» e «Il libro delle streghe»): se faticate a trovarli scrivete a Gwynplaine.edizioni@gmail.com .