Scor-date 10, 13 e 14 ottobre
Ken Saro-Wiwa e la guerra che verrà
«Uccisero Francisco Ferrer»
Gli errori della geografia di Eduardo Galeano (*)
Sono in molti a credere – chi tremando e chi pensando a come guadagnarci su – che la prossima guerra per il petrolio sarà nel delta del Niger.
Ed è in questa chiave, purtroppo fosca, che va riletta la vicenda di Ken Saro-Wiwa, nato in Nigeria il 10 ottobre 1941.
Un grande scrittore, un difensore del suo popolo. Impiccato il 10 novembre 1995 dalla dittatura militare (ottima alleata degli Usa) per aver dato voce alla resistenza nonviolenta contro la Shell che dal 1958 ruba petrolio e per di più avvelena il delta del fiume Niger: l’inquinamento uccide gli Ogoni che abitano lì e se provano a resistere vengono arrestati, ammazzati o costretti a emigrare.
Anche l’italiana Agip-Eni è collusa con il regime militare nigeriano, anche se ha un potere ben minore della Shell. Fra l’altro vale ricordare che nel 1987-88 sono state scaricate illegalmente in Nigeria 3800 tonnellate di rifiuti tossici italiani. E probabilmente questo non è l’unico episodio ma il solo a noi noto.
Di tutto questo i grandi media italiani non parlano. Poco è stato tradotto dello scrittore – e perlopiù dopo la sua morte – che pure è considerato fra i più grandi del secolo scorso. In italiano si trova il radiodramma «La radio a transistor» (in «Teatro Africano», Jaka Book, 1976), una bellissima antologia di racconti «Foresta di fiori» (Socrates), il romanzo «Sozaboy» (Baldini-Castoldi-Dalai) ristampato nel 2010 con prefazione di Roberto Saviano, infine «Un mese e un giorno», con il sottotitolo «Storia del mio assassinio» (sempre Bcd editore).
Spesso non si fa nulla per salvare gli eroi e le eroine… per celebrare poi il loro ricordo. «Potete uccidermi ma il mio popolo avrà giustizia»: con questo titolo il «Corriere della sera» presentò l’uscita di «Un mese e un giorno», in sostanza l’autodifesa di Ken Saro-Wiwa al processo e il diario che tenne durante il suo primo arresto (per 31 giorni) nel 1993. Bene se il «Corsera» parla di Ken Saro-Wiwa e nelle brevi (e non troppo precise) note che accompagnano l’anticipazione del libro si possa leggere: «nel 2009 la Shell è stata condannata a risarcire la famiglia Wiwa per la perdita di Ken e gli Ogoni per i danni causati nel delta del Niger». In sostanza fu la Shell a commissionare (al dittatore nigeriano) l’assassinio di Saro-Wiwa come all’epoca alcuni – i soliti pochi, per esempio «il manifesto» – scrissero, mobilitandosi per salvare la vita allo scrittore e agli altri militanti nonviolenti che difendevano i diritti del popolo Ogoni. Purtroppo allora i grandi media italiani erano distratti.
Non mi pare che i grandi media dedichino articoli seri a quel che oggi accade in Nigeria. Eppure i disastri non si fermano e continua la resistenza, spesso sotto forma di attentati e rapimenti. Pur se alcuni tecnici (dell’Agip) italiani vennero sequestrati, nessuno o quasi (fa eccezione ancora «il manifesto» in scarna compagnia) ha cercato di capire le ragioni dei ribelli del Mend. Eppure tre anni fa venne tradotto (da Terre di mezzo) «Il prossimo Golfo», sottotitolo “Il conflitto per il petrolio in Nigeria”, un documentatissimo libro di Andy Rowell, James Marriott e Lorne Stockman dove appunto si spiega cosa combina la Shell e perchè molti ne scrivono ormai omettendo la S iniziale (“hell” in inglese significa inferno). Quel “prossimo Golfo” significa che proprio lì la lotta per il petrolio può presto precipitare in un nuovo e catastrofico conflitto internazionale.
Va ricordato che spesso a teatro – uno dei pochi luoghi in Italia dove ancora si informa e si fa memoria – si è parlato di Ken Saro-Wiwa.
Per esempio il 27 giugno scorso con lo spettacolo «Sulle tracce delle conchiglie», a lui dedicato, con attori-rifugiati e attrici-rifugiate. La conchiglia è il logo della Shell ma è anche un oggetto pieno di significati simbolici.
C’è anche con un oratorio, intitolato a lui, «Non mi piace l’Africa» per la voce e la regia di Roberto Biselli e con musica, trombone, conchiglie e live electronics di Gerard Antonio Coatti.
Forse per ricordare lui – e per tenere a mente che, nel silenzio dei media, molti cercano di fermare le prossime guerre del petrolio e magari finiscono in galera, pur se nonviolenti – conviene citare una sua poesia intitolata «La vera prigione».
«Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
insufficienti per uomo o bestia.
Neanche il nulla del giorno
che sprofonda nel vuoto della notte.
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
le orecchie per un’intera generazione.
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
in cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
la punizione, lei lo sa, è ingiusta.
La decrepitezza morale
l’inettitudine mentale
che concede alla dittatura una falsa legittimazione.
La vigliaccheria travestita da obbedienza
in agguato nelle nostre anime denigrate.
È la paura di calzoni inumiditi.
Non osiamo eliminare la nostra urina.
E’ questo
E’ questo
E’ questo
amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
in una cupa prigione».
- «Uccisero il 13 ottobre 1909… Francisco Ferrer»
«Odio di despoti
e furia omicida di preti
aborrenti la luce e il sapere
uccisero il 13 ottobre 1909
nel castello maledetto di Montjuch,
sfida alla Spagna del popolo
ed al mondo,
Francisco Ferrer y Guardia
maestro di civiltà».
Sotto il ritratto di Ferrer altre parole, in spagnolo, spiegano: «pedagogo, anarquista, creador de la escuela moderna, fusilado por sus ideas. La iglesia senala y el estado dispara». Questa è l’epigrafe dettata da Luigi Fabbri per la lapide che fu apposta nel novembre 1909 a Castel San Pietro.
Prima di ricordare chi fu Ferrer, vale ricordare la lunga lotta di scritte e monumenti che il fascismo ma anche lo Stato autoritario (monarchico o repubblicano) intrapresero contro la memoria: le lapidi per Ferrer – come quelle per fra Dolcino o per i martiri del movimento operaio – furono rimosse ma ricomparvero; di nuovo distrutte vennero rimesse al loro posto. Una lotta che continua oggi: per Giuseppe Pinelli, “suicidato” in questura, per i partigiani che liberarono l’Italia dal nazifascismo contro coloro che vorrebbero intitolare statue, piazze o musei al boia Graziani o ai gerarchi della dittatura fascista.
Così lo ricorda Anarchopedia (ma la sintesi è mia) una valida alternativa libertaria alla frigida e spesso imprecisa Wikipedia.
Ferrer nasce ad Allela (in Catalogna) nel 1859. Perseguitato per le sue idee, riuscì a tornare dall’esilio e grazie all’eredità di una sua allieva (per racimolare qualche soldo Ferrrer impartiva lezioni di spagnolo) aprì la Escuela moderna per insegnare i valori sociali radicali. Nel 1906 la scuola contava 1700 allievi fra Barcellona e le succursali. Quello stesso anno fu arrestato perché sospettato di essere coinvolto nell’attentato del 31 maggio contro il re Alfonso XIII. Venne scagionato e rilasciato nel giugno 1907. Durante la carcerazione la sua scuola fu chiusa. Due anni dopo fondò a Madrid e Bruxelles la «Lega internazionale per l’educazione razionale». Il 26 luglio 1909 scoppiò in Spagna la «settimana tragica»: la popolazione si ribellò alla Guardia Civile che a forza imbarcava i coscritti per mandarli a combattere in Africa nelle guerre coloniali. Ferrer fu arrestato il 31 agosto con l’accusa di essere il fomentatore della rivolta. Dopo un processo farsa da parte del tribunale militare, venne condannato a morte e fucilato il 12 ottobre nella fortezza di Montjuich a Barcellona. Prima e dopo la condanna vi furono proteste durissime in Spagna, a Parigi, a Bruxelles, a Berlino, a Londra e in Italia, soprattutto a Torino. Al contrario la Chiesa cattolica rivendicò la giustezza di quella esecuzione, accusando Ferrer di essere stato uno dei capi di una congiura internazionale “massonica” e anti-clericale. Con ogni evidenza il vero nemico era soprattutto l’idea di una scuola libera e di una educazione razionale.
Molti anni più tardi scrisse Albert Camus: «Francisco Ferrer pensava che nessuno sia malvagio volontariamente e che tutto il male presente al mondo provenga dall’ignoranza. È per questo che gli ignoranti l’hanno assassinato e l’ignoranza criminale si perpetua ancora oggi attraverso nuove e inclassificabili inquisizioni. Di fronte a esse tuttavia, alcune vittime, tra cui Ferrer, saranno vive per sempre».
Gli errori della geografia (di Eduardo Galeano *)
Il 14 ottobre 1927 viene trovato il petrolio in Iraq. La «scor-data» di oggi potrebbe finir qui. Oppure continuare dando la parola allo scrittore e giornalista Eduardo Galeano che ci racconta dell’oggi ma anche di quando l’Iraq era il Sumer, era Babilonia, era l’Assiria.
«La guerra in Iraq nasce dalla necessità di correggere l’errore che la geografia aveva commesso quando mise il petrolio dell’Occidente sotto le sabbie dell’Oriente. […] Numerose gesta belliche ha compiuto e continuerà a compiere “la merda del diavolo” come le male lingue chiamano l’oro nero.
[…] Quando l’Iraq non era ancora l’Iraq, nacquero là le prime parole scritte. Sembrano orme di uccello. Mani abili le disegnano, con cannucce affilate, sull’argilla. […] Ai nostri giorni George W. Bush, forse convinto che la scrittura fosse stata inventata in Texas, ha scatenato con allegra impunità una guerra di sterminio contro l’Iraq. Ci sono state migliaia e migliaia di vittime, e non solo di gente in carne e ossa. E’ stata assassinata anche molta memoria. Numerose tavolette di fango, storia viva, sono state rubate o distrutte dai bombardamenti. Una delle tavolette diceva: Siamo polvere e nulla. Tutto quel che facciamo non è altro che vento.
[…] Quando il presidente George W. Bush invase l’Iraq dichiarò che la guerra di liberazione delle isole Filippine era il suo modello. Entrambe le guerre erano state ispirate dal cielo. […] A quel tempo lo scrittore Ambrose Bierce constatò: “La guerra è il cammino che Dio ha scelto per insegnarci la geografia”. E il suo collega Mark Twain, dirigente della Lega antimperialista, disegnò una nuova bandiera nazionale, che ostentava piccoli teschi al posto delle stelle.
[…] Pare che Churchill abbia detto: “La Giordania fu un’idea che mi venne in primavera, alle 4 e mezza del pomeriggio”. Nel mese di marzo del 1921, in soli tre giorni, il ministro delle Colonie Winston Churchill e i suoi 40 consiglieri inventarono una nuova cartina del Medio Oriente, crearono due Paesi, li battezzarono, designarono i loro monarchi e disegnarono le loro frontiere con un dito nella sabbia. Fu chiamata Iraq la terra abbracciata dai fiumi Tigri ed Eufrate, il fango dei primi libri, e si chiamò Giordania il nuovo Paese amputato dalla Palestina.
[…] Parigi, primavera 1937: Pablo Picasso si sveglia e legge. Il caffè gli si raffredda nella tazza. L’aviazione tedesca ha raso al suolo la città di Guernica. […] Molti anni dopo, a New York, Colin Powell pronuncia un discorso alle Nazioni Unite, annunciando l’imminente distruzione dell’Iraq. Mentre parla, il fondo della sala non si vede, Guernica non si vede. La riproduzione del quadro di Picasso, che arreda la parete, è stata completamente ricoperta da un enorme panno azzurro. Le autorità delle Nazioni Unte hanno deciso che quello non è lo sfondo più adeguato per la proclamazione di una nuova strage».
(*) questo è un montaggio di alcuni brevi racconti “iracheni” che Galeano ha pubblicato in «Specchi» (Sperling & Kupfer, 2008;traduzione italiana di Marcella Trambaioli) un libro che consiglio a chi si appassiona di storia, di giornalismo e di mondi sottosopra.
UNA PICCOLA NOTA
Care e cari, da quando è nato Il Dirigibile (www.ildirigibile.eu ) mi impegno – non da solo però – in una rubrica quotidiana (salvo sabato e domenica) di “scor-date”. Eccone alcune… se le avete perse; altre (mie e non) ne trovate lì, sul colonnino di sinistra alla voce «Circostanze». (db)
un pignolo mi fa notare che, qui sopra a proposito di Iraq, si legge Nazioni Unte invece di Nazioni Unite e vuol sapere se la battuta (unte di petrolio?) è mia o di Galeano. Solo un refuso o forse un lapsus rivelatore. (db)