Scor-date: 22 novembre 1963
Ah, Jb, Jfk, Pp, Sk, altri e altro
di d. b. (*)
Giusto 50 anni fa, il 22 novembre 1963, come moltissime persone ricordano, muore lo scrittore inglese Aldous Huxley, autore del famoso «Il mondo nuovo» ma anche di «I diavoli di Loudon», «La scimmia e l’essenza», «L’isola» (qui in blog se n’è parlato)di numerosi altri romanzi, racconti, saggi nonché di una guida per chi sta perdendo la vista e di un resoconto sui suoi esperimenti con il peyote.
Immagino il sopracciglio alzato di chi sta leggendo: nessuno si può ricordare della morte di Huxley visto che quel giorno a Dallas venne ucciso John Fitgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti.
Infatti. Il 22 novembre la notizia oggettivamente più importante arriva da Dallas. Anche se, almeno dal punto di vista intellettuale, dovremmo ringraziare più il dimenticato Ah del famoso presidente Jfk.
Forse ricordate che un paio di anni fa sua maestà (ma io sono antimonarchico per antica convinzione) Stephen Kingha pubblicato il romanzo «22/11/’63», ladata dell’uccisione. Protagonista è Jake Epping, il quale attraverso un passaggio temporale (siamo dalle parti dei viaggi nel tempo, dunque fantascienza) può tornare al 1958 e dunque fermare Lee Oswald che a Dallas sta per sparare al presidente. L’idea di mettere Jfk al centro di un romanzo fantascientifico non è inedita e anzi se fossi nei panni di Pierfrancesco Prosperi forse avrei denunciato King per plagio. Infatti il suo «Seppelliamo re John» (del 1973, ma ristampato 3 anni fa) si basa su un’idea simile, costruita su quattro linee temporali (2062, 1980, 6422 e 1966). C’è stato poi il perfido James Ballard che ha smontato, frantumato e ri-raccontato il fattaccio di Dallas tra science fiction e pornografia del dolore.
Abbandoniamo la fantascienza (sempre un utile esercizio però cimentarsi con il «e se…») per vedere cosa sappiamo di Jfk e del suo assassinio.
Santificato come un martire della democrazia (e poi, come si ripete, chi muore da giovane è caro agli dei) il presidente non sembra al di sopra di ogni sospetto.
Come racconta, a esempio, «Alla corte di re Artù» (tradotto da Eléuthera nel 1994) di Noam Chomsky, sottotitolo italiano «Il mito Kennedy» mentre quello originale era «Jfk, la guerra del Vietnam e la politica culturale negli Usa». Immagino un altro sopracciglio alzato e l’obiezione: ma Chomsky è un anarchico, un iper-critico, insomma non fa testo.
Prendiamo per buona l’obiezione e allora vediamo come parla del clan Kennedy, e in modo particolare di John Kennedy, un tipo che si presenta così: «Sono un americano religioso, eterosessuale, di destra, sembra quasi che sia nato in un’altra epoca. Non penso che il mondo collasserà a breve, non penso che l’America sia una forza diabolica, ma penso che l’America prevarrà nel mondo della geopolitica. Sono un cristiano nazionalista, militarista e capitalista». Insomma non proprio un sovversivo: è James Ellroy, uomo dai molti bestseller. Se avete letto «American tabloid» dovrete ammettere che Jfk fa una figuraccia ma anche i militaristi, i capitalisti e in definitiva gli Stati Uniti fanno paura e ribrezzo. E’ un romanzo si dirà. Oh certo.
Ma di quel 22 novembre ’63, di chi uccise Kennedy e dei suoi eventuali mandanti, esattamente cosa sappiamo? Tutto e nulla: nel 1991 il regista Oliver Stone scelse un titolo polemicuccio anziché no: «Jfk: un caso ancora aperto». Come è noto il film si basa sulle indagini di Jim Garrison, all’epoca procuratore distrettuale, che mise in dubbio la tesi ufficiale (della Commissione Warren) per cui il solo Lee Oswald preparò ed eseguì l’attentato a Jfk. Ad aumentare i dubbi sulla ricostruzione vi fu la statisticamente improbabile epidemia di morti – più o meno violente – che colpì alcuni testimoni chiave. Ricordo bene Dario Fo (non saprei dire su due piedi in quale spettacolo) spiegare che il perché di tutti quei testimoni morti era oooooovvio come pure la spiegazione dell’apparente contraddizione di un solo fucile (quello di Oswald) che spara contro Kennedy da due direzioni diverse: mimando la scena da par suo, Dario Fo, faceva notare come un proiettile possa rimbalzare quasi all’infinito e dunque colpire qua e là a Dallas ma anche, sempre balzellon-balzelloni, un saltin qui e un saltello là, in altre parti degli Stati Uniti nei mesi successivi.
Un ultimo tassello sul mistero-Jfk. Esiste negli Usa una legge (nulla di simile ahimè in Italia) che obbliga, dopo un certo numero di anni, a rendere pubblici i documenti segreti. E’ noto come «Freedom Act» e Bush junior (ma anche Obama) ha più volte tentato di abolirlo o almeno ingabbiarlo. E’ grazie al Freedom Act – non a King, Fo o Ellroy – che sappiamo, del passato recente, veramente tutto. Che gli Usa hanno organizzato i golpe in Iran, Guatemala, Cile; che hanno persino distribuito gratis eroina nei ghetti come nei campus per “deviare” le rivolte degli anni ’60. Ma nel Freeedom Act è previsto che il presidente degli Stati Uniti possa chiedere, in casi eccezionali, che il segreto non venga tolto, insomma che su una singola questione la “desecretazione” non scatti automaticamente. Dagli anni ’70 a oggi è accaduto su una sola questione che tutti i presidenti (democratici o repubblicani) degli Usa abbiano messo il veto. Sì, sul delitto di Dallas.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)
a proposito di quel giorno a Dallas… Oggi sui massmedia leggerete (vedi “il manifestoi” o sentirete il nome di Zapruder. Non sapete chi era Abraham Zapruder? Informatevi subito. Anche perchè oggi (quando l’idea di una informazione dal basso purtroppo appare a molti un sogno) «Zapruder» è una «rivista di storia della conflittualità sociale»: come altre volte ho scritto in blog dal 2002 racconta storie scomode con il rigore dei ricercatori ma anche la rabbia dei ribelli mai domi. La trovate in qualche buona libreria oppure scrivete info@storieinmovimento.org. per info o abbonamenti. Merita.