Scor-data: ancora sul 10 aprile 1919
L’assassinio di Emiliano Zapata
di Mauro Antonio Miglieruolo (*)
Più che di Zapata avrei voglia di parlare del suo assassino. Non dell’esecutore materiale, il traditore Jesús Guajardo, ma del mandante, il primo presidente del Messico post rivoluzionario, Venustiano Carranza.
Quel Venustiano Carranza che ha bloccato lo sviluppo della rivoluzione messicana facendo appunto eliminare Zapata (1919) e conducendo una lotta spietata contro Villa, sconfitto solo dal combinato disposto della fermezza di Álvaro Obregón Salido, dalle nuove armi importate dagli Stati Uniti e dalle tecniche militari che Obregón ha adottato prendendole da ogni parte del mondo. A Celaya, Trinidad e Agua Pietra (nel 1915) verrà ripetutamente sconfitto, il suo esercito quasi distrutto, costretto a ritirarsi in montagna e a riprendere la lotta di guerriglia con pochi uomini superstiti. Solo nel 1920 accetterà però la sconfitta e si deciderà a deporre le armi. Verrà assassinato nel 1923, mentre si reca dalla sua amante.
La vittoria del moderato Carranza a sua volta è determinata da una seconda coppia di circostanze: la costituzione del 1917, che attenua in parte il malcontento della piccola borghesia urbana e determina un ulteriore allentamento dei legami, mai del tutto perfezionati, tra i due Partiti di massa della Rivoluzione Messicana (Esercito del Nord ed Esercito del Sud); e all’appoggio di Obregon, il quale però, a rivoluzione sconfitta, gli si rivolterà contro, organizzando il colpo di stato necessario per poter a sua volta diventare presidente (Carranza aveva deciso che a succedergli non fosse l’ex alleato, ma Ignacio Bonillas). Venustiano Carranza, una volta deposto, verrà assassinato nel 1920. Anche Obregon finirà male: nel 1928, sarà ucciso da un cristeros (Obregon era quello che noi oggi chiameremmo un mangiapreti), movimento antigovernatico fanaticamente religioso che rappresenta l’ultima fiammata del grande rivolgimento messicano.
Sottolineo a questo proposito la singolare circostanza che nessuno dei principali protagonisti di quegli avvenimenti (escluso il meno degno di tutti, Huerta, che morirà nel 1916 in esilio), da Madero (1913) fino a Obregon (1928), passando per Villa (1923) e includendo lo stesso ondeggiante enigma Pascual Orozco (ucciso dai rangers americani nel 1915), morirà nel suo letto, di vecchiaia o malattia (a meno che non si vogliano considerare le pallottole una sorta di malattia). Segno questo, opinione del tutto personale, delle difficoltà incontrate dalla rivoluzione messicana a realizzare appieno i suoi obiettivi.
Questa sorta di sterminio ai miei occhi infatti appare conseguente alla relativa immaturità della formazione sociale messicana e quindi anche della relativa difficoltà a produrre risultati radicali (non parlo dello slancio rivoluzionario, per cui quegli eventi sono famosi: ma qui il carattere di un popolo conta molto); nonché l’impossibilità di realizzare una unificazione generale nella figura di un unico rappresentate (il che lascia ampio spazio al prevalere dei personalismi e delle personalità).
A questo proposito è d’obbligo rilevare che la rivoluzione messicana è attraversata da questa peculiare contraddizione: che non può essere integralmente borghese perché scoppia nella fase delle prime rivoluzioni proletarie; ma nemmeno può accedere alla rivoluzione proletaria essendo i suoi i compiti storici prevalentemente borghesi. L’unità fittizia che permette lo scoppio della rivoluzione, l’unità anti Porfirio Diaz, nasconde in effetti la divisione tra le forze sociali che ne sono protagoniste, non permettendo si realizzi quell’unità di intenti (e radicalità nei cambiamenti degli assetti sociali) che osserviamo e ammiriamo
nella Rivoluzione Francese. La convergenza iniziale tra sanculotti e borghesia rende possibile la fase giacobina, fase che non si realizzerà mai in messico. Il presidente Madero non vi svolge alcun ruolo dinamico; e non, come è stato detto, a causa della sua debole personalità politica (non solo per questo), ma perché gli uomini che accedono al potere e che stanno attorno a lui, non sono portatori della medesima radicalità dei montagnardi. Questa radicalità la troviamo nella piccola borghesia urbana (Villa), esclusa dal potere, o nei contadini del Sur (Zapata), una radicalità che non si farà mai Stato, né Stato borghese, né Stato Proletario.
Una situazione quella messicana per certi versi analoga a quella russa, con la decisiva differenza del ruolo di punta svolto dalle concentrazioni operaie (simbolizzate dagli operai delle Officine Putilov, i cui massimi dirigenti verranno ammessi a partecipare alla riunione della segreteria del Partito Bolscevico convocata per deliberare l’insurrezione contro il governo Kerensky, e gli verrà concesso persino il diritto di parola!), che rende possibile alla piccola formazione bolscevica di svolgervi il ruolo che ha reso possibile la breve, luminosa esperienza dei soviet.
Una seconda osservazione: il terribile anno 1915, durante il quale l’Esercito del Nord è distrutto. Le cause profonde le abbiamo già individuate: il farsi stato della moderazione che, dopo la sconfitta di Huerta, può concentrare tutte le risorse statali per impedire lo sviluppo degli aspetti più specificamente sociali della rivoluzione. Ma ci sono anche limiti nella conduzione delle iniziative di lotta (limiti che sono conseguenza delle dinamiche più profonde alle quali ho accennato). Villa in particolare non si rende conto che l’esercito che ha davanti (1915), sia per composizione, sia per armamento che per tecniche di guerra, non è più lo stesso del periodo dei primi scontri con quello fedele a Porfirio Diaz e a Huerta. Cambiamenti radicali sono intervenuti, cambiamenti introdotti dalla sagacia di Obregon. Le cui tattiche (che ha imparato a utilizzare) somigliano molto a quelle in uso nei migliori eserciti del mondo (e adoperate
durante la Grande Guerra Europea). Tattiche e tecniche mirate specificamente a neutralizzare le superiori caratteristiche delle formazioni armate di Villa. La presenza massiccia di mitragliatrici, la scavo di trincee, la sistemazione di reticolati a protezione delle truppe, vanificano gran parte dell’importanza della cavalleria, che invece costituisce il nerbo di queste formazioni. Le travolgenti cariche con cui si è presa Ciudad Real, non sono più ripetibili; né è sufficiente l’eroismo degli uomini, che si sacrificano a migliaia, per avere ragione di forze che dispongono di una potenza di fuoco impressionante. Ma la strategia di Villa, che vuole l’impossibile, vuole un governo borghese senza i limiti politici di ogni governo borghese (conservatorismo e timore folle dell’iniziativa delle masse), gli rende impossibile qualsiasi altra soluzione che quella tattico-militare. Una diversa strada la tenterà Zapata, con la Comune del Morelos (costruzione dal basso delle riforme, nuovo ruolo all’iniziativa delle masse ecc.); ma non gli verrà concesso il tempo necessario per approfondirne le possibilità e estenderla ad altre regioni.
Eppure i rivoluzionari hanno avuto la loro occasione solo un anno prima, 1914, quando Villa e Zapata fanno il loro ingresso trionfale in Città del Messico alla testa delle loro truppe. Una cavalcata leggendaria quella. Una occasione straordinaria. Il reazionario Huerta, che aveva assassinato Madero, è appena stato sconfitto, Carranza non ha ancora la forza politica necessaria ad assumerlo in prima persona a danno dei rivoluzionari. I quali potrebbero disporre del potere e servirsene per rafforzare la causa della rivoluzione. Tuttavia non ne dispongono (gravissimo errore per un rivoluzionario: equivale a concedere lo stesso vantaggio a qualcuno che poi se ne servirà per fini antirivoluzionari. Questo qualcuno assumerà i connotati di Venustiano Carranza). Ma sia Villa che Zapata sono condottieri d’uomini, generali le cui doti si esprimono meglio all’aperto, nei campi di battaglia, non nel chiuso delle stanze del potere; là dove la guida degli uomini spesso e volentieri diventa manipolazione degli uomini, oppressione degli uomini, omicidio e rapina; nello stesso là dove l’inganno, la menzogna, l’intrigo, i compromessi a basso livello e il tradimento fanno agio su qualsiasi altro difetto o virtù umana. In quel là non ci si ritrovano. D’altronde è sul campo di battaglia che urge la loro presenza. Zapata, rifiutando la poltrona presidenziale dichiara: “Non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano”. Anche lui limitato da una visione moralistica delle dinamiche rivoluzionarie. Non comprende che l’ottenere giustizia per i diseredati passa anche attraverso l’accettazione di quello che per lui probabilmente è un onere: la poltrona di presidente. Le terre rubate ai contadini sotto la dittatura di Porfirio Diaz infatti non verranno restituite. Non finché lui è in vita.
Bisogna per altro dire che sia Villa che Zapata non possiedono strumenti culturali sufficienti a permettere loro, ove ne avessero la vocazione (che non hanno) di assumere in prima persona il potere. Sono costretti a delegare, quindi. Ma nella rivoluzione uomini più fidati di loro non sono presenti, per cui delegare è lo stesso che rinunciare a portare fino in fondo i loro obiettivi (se ne accorgeranno, se pure riusciranno a averne piena coscienza, quando è troppo tardi). La prima delusione la offre Madero, che insediato come presidente, si dimostra incapace di aver ragione delle vipere conservatrici che lo circondano; la seconda proprio da Venustiano Carranza, che nel 1915 diventerà
presidente, e sarà la rovina. Carranza arresterà il processo rivoluzionario prima battendo sul campo Villa (vittoria concretizzata dall’alleato Obregon) e poi assassinando Zapata. Lo farà in nome e conto dei settori più arretrati della rivoluzione, di coloro che si sono pure schierati contro Porfirio Diaz e contro il reazionario Huerta, ma non certo a favore dei concetti di giustizia e libertà che invece costituiscono l’orizzonte dei rivoluzionari. Si tratta dei settori della grande borghesia decisi a far sì che qualcosa cambi affinché nulla cambi.
D’altronde la Costituzione varata da Carranza nel 1917 garantisce a sufficienza il raggiungimento degli obiettivi che stavano a cuore ai nuovi padroni. Una Costituzione che assume solo in
parte gli obiettivi della rivoluzione e invece in toto quelli della borghesia: fine dei vincoli feudali, libertà di sfruttamento dei contadini come uomini liberi, conferma delle grandi proprietà, presidenzialismo, una politica che non determini l’ostilità del pessimo vicino, gli altri Stati Uniti d’America (teniamo presente che anche il Messico è una federazione di Stati Americani), gli stati uniti che costituiscono la palla al piede dei popoli in cerca di riscatto. Non rimane, per realizzare le ambizioni di Carranza e gli obiettivi borghesi, che di sbarazzarsi di coloro che invece dalla rivoluzione vogliono derivare qualche sostanzioso vantaggio anche per le masse popolari.
Sbarazzarsi in buona sostanza di chiunque ritenga sia necessario applicare il programma zapatista del 1911, quel famoso Plan de Ayala che diventerà il programma generale della rivoluzione; lo stesso programma che negli articoli 6, 7, 8, 9, stabilisce esplicitamente il diritto dei contadini alla restituzione delle terre, all’espropriazione dei latifondi e la nazionalizzazione delle risorse naturali. È sulla base del Plan de Ayala che Zapata farà approvare nello stato di Morelos la ley agraria, con cui prosegue nella già iniziata redistribuzione delle terre. Ed è sempre sulla base di quel piano che procederà alla realizzazione dell’esperienza della Comune di Morelos, stato nel quale verrà realizzato un avanzatissimo esperimento di riforma sociale, che avrà come primo merito quello di permettere l’accesso delle comunità indigene alla politica messicana.
Purtroppo in Messico avviene lo stesso che pone termine alla Rivoluzione Culturale in Cina: il grande sommovimento non è in grado di creare una nuova classe dirigente in grado di sostituire la vecchia che si era stretta intorno al nome di Teng-siao Ping (Deng Xiaoping). Né le masse dimostrano di essere in grado di gestire il potere da sole (superando l’esperienza medesima dei Soviet nella Comune e superando quindi anche il limite costituito della rappresentanza). Il potere dunque verrà ereditato dai Carranza e dagli Obregon e non da coloro che sono decisi a andare incontro alle aspettative delle masse. La più importante di tutte essendo la riforma agraria. Che Carranza e Obregon invece desiderano rimandare in attesa di una congiuntura più favorevole alla conservazione; rimandarla alla data considerata più conveniente per la borghesia. Cioè una data in cui la riforma non sarà effettuata sotto la pressione delle masse e perciò non avrà altri contenuti che quelli considerati per sé convenienti dalla borghesia (una riforma agraria realizzata sotto la pressione delle masse non è MAI conveniente per la borghesia). Zapata è consapevole di tale volontà. Alla quale si sommano le difficoltà tipiche di ogni società in movimento che, essendosi inoltrata nella fase democratico borghese, si trova a dovere risolvere le proprie contraddizioni affacciandosi, sia pure embrionalmente, su una prospettiva socialista. Ai suoi seguaci soleva dire che non avrebbero mai ricevuto giustizia finché egli fosse stato vivo. Il che significava che finché le masse rurali avessero avuto una guida, e quindi anche una sola possibilità di influenzare il movimento di riforma, la riforma non ci sarebbe stata.
Alla consapevolezza di Zapata corrisponde quella di Carranza. Che sa bene il ruolo he può svolgere, nelle condizioni del Messico della sua epoca, un dirigente del calibro di Zapata. Sa inoltre, essere privo di scrupoli e spietato come ogni dirigente borghese che si rispetti. Comprende che è vitale per lui eliminare Zapata, l’uomo che, essendo ormai stato sconfitto Villa, costituisce il più grave pericolo per il nuovo potere che va stabilizzandosi. Ci riesce per l’errore dello stesso Zapata, errore determinato dal bisogno di armi dell’Esercito del Sud. Facendo leva su questo bisogno un ufficiale di Carranza il 10 aprile 1919 lo attira in un luogo isolato, dove sostiene siano nascoste molte di queste armi. Si tratta di una fattoria nella zona di Chinameca, dove invece delle armi sono nascosti alcuni sicari. Quando Zapata comincia a sospettare l’inganno è troppo tardi. Dalla fattoria spuntano numerosi fucili e il rivoluzionario viene abbattuto.
Con lui le speranze di rilancio della rivoluzione, compromessa una prima volta nel 1914, con il rifiuto di trasformare la presa reale del potere in potere formale; e una seconda con le sconfitte ripetute del 1915 (Obregon Vs Villa). La sua morte rende irreversibile il declino delle speranze di poter rilanciare una opposizione fondata sul Plan de Ayala.
Occorre comunque ribadire (per approfondire) che il precipitare della situazione non è però determinato dai fatti contingenti, poiché i fatti contingenti dipendono in larga parte dalle tendenze oggettive di fondo. Nel caso della Rivoluzione Messicana decisiva è la mancanza di una direzione politica che prepari prima e guidi poi la rivoluzione; il cui destino non può essere affidato all’iniziativa, al genio e agli errori di un singolo, ma deve essere frutto di una strategia e una tattica frutto di una intelligenza collettiva formatasi in lunghi anni di opposizione. Il carattere eterogeneo di quest’ultima (l’opposizione), che condiziona pesantemente lo sviluppo degli avvenimenti, è conseguenza non ultima di tale assenza. Tant’è che nei fatti non si realizza alcuna permanente saldatura tra l’Esercito del Nord e quello del Sur, saldatura che lo sviluppo degli eventi dimostreranno essere vitale. Il Nord e il Sud si battano praticamente separati e in questa separazione ha buon gioco la reazione messicana nello spezzare lo slancio delle masse rivoluzionarie. La diversa composizione sociale dei due eserciti, l’eterogeneità dei punti di vista e dei mezzi a disposizione, le differenti personalità delle rispettive guide sono le conseguenze ultime del carattere prevalentemente spontaneo di questo pur grande e ammirevole rivolgimento.
Ma l’esame di tutto questo riguarda tutta un’altra storia, degna di una più larga e approfondita ricerca. Capiterà l’occasione di effettuarla, prima o poi.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)