Scordata: 27 aprile 1994
«Come innamorarsi» ovvero le elezioni in Sudafrica
di Pabuda (a.k.a. Paolo Buffoni Damiani) (*)
Il 27 e 28 aprile 1994 in Sudafrica si svolsero per la prima volta elezioni democratiche e non segregate. Un evento storico di portata simbolica e di significato concreto colossali – come le prime elezioni a suffragio universale nel Paese devastato dall’apartheid – è così grande, denso di implicazioni e di contraddittorie conseguenze che… non mi sta in testa. Averlo vissuto “in diretta”, condividendolo con gli amici e i compagni sudafricani, non mi aiuta a ordinare la memoria: le emozioni si sovrappongono agli accadimenti, sovrastandoli. Così, devo spulciare vecchi appunti e controllare le righe sottolineate a matita in una manciata di libri. Ritornare su quelle pagine, che non frequento da parecchio tempo, mi fa ancora tremare un po’ le dita, a dir la verità. Però mi tornano subito in mente tre parole e le ritrovo facilmente: «Era come innamorarsi». Le scrisse l’arcivescovo Desmond Tutu, rievocando i momenti in cui per la prima volta in vita sua andò a votare. Sono riportate nel suo libro «Non c’è futuro senza perdono». Duecentotrentadue pagine la cui lettura mi sento ancora oggi di suggerire vivamente: non solo consentono di conoscere una figura eccezionale ma offrono riflessioni preziose sull’opera della Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconiliation Commission) caldeggiata e diretta da Tutu stesso. Un’esperienza senza precedenti per la ricerca della verità e per la costruzione di un quadro di convivenza possibile in una società dilaniata dalla violenza e martoriata dai crimini della minoranza bianca fino a quei giorni monopolizzatrice del potere. Non per nulla quell’esperienza fu in seguito presa a esempio per affrontare le conseguenze tragiche di altre situazioni di conflitto sanguinoso in altri angoli del mondo. Tornando a quelle prime elezioni libere del 1994, mi vengono però in mente anche altre parole: quelle di Neville Alexander, l’intellettuale socialista sudafricano e combattente anti-apartheid – scomparso il 27 agosto dell’anno scorso – verso il quale sento la maggiore riconoscenza e la più profonda ammirazione. Nella introduzione al volumetto «SudAfrica prima e dopo l’apartheid», in cui per la prima volta erano raccolti e tradotti in italiano alcuni suoi articoli sulla transizione sudafricana, commentando il clima post-elettorale Neville scriveva: «I festeggiamenti euforici riflettevano molto dei nobili sentimenti, dei desideri e dei sogni che hanno sostenuto la gente oppressa nei decenni bui della lotta e del sacrificio. Hanno segnato allo stesso tempo l’inizio della fine del potere della minoranza bianca in Sudafrica e la speranza che l’ideologia razzista, come strumento di potere, sia finalmente sradicata. Alla gente nera in Sudafrica e nel mondo è stata restituita la dignità di esseri umani e l’immorale razzismo, che è servito a giustificare l’espansione imperiale dell’Europa durante gli ultimi 500 anni, è stato formalmente gettato nella pattumiera della storia». Ma la faccenda non finiva qui. Ricordo pure che, nel corso degli incontri di presentazione di quel libro in Italia, Neville aggiungeva una semplice ma efficace metafora: l’apartheid era stata una terribile gabbia per il popolo lavoratore nero ed era servita come impalcatura per edificare, consolidare e preservare la peculiare forma di capitalismo affermatosi in Sudafrica. Concludeva con una considerazione per molti versi raggelante: il processo negoziale che aveva condotto allo smantellamento dell’impalcatura segregazionista, alle elezioni libere e alla schiacciante affermazione dell’Anc di Mandela nelle urne, con la successiva conformazione del governo di unità nazionale, non aveva in alcun modo intaccato o modificato il sistema economico cresciuto al riparo dell’apartheid e, secondo Neville Alexander, ciò non prometteva nulla di buono: un cambio del “colore” delle élites economiche e il mantenimento dei consolidati rapporti di sfruttamento. Più recentemente, durante uno dei suoi ultimi interventi pubblici, riferendosi alle enormi disuguaglianze sociali ed economiche esistenti nel Sudafrica post-apartheid, Neville ammetteva: «Alcuni di noi avevano previsto che le cose sarebbero andate così. Ma non potevamo neanche lontanamente immaginare che sarebbero andate così male». E mentre lo diceva aveva lo sguardo di… un innamorato.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 27 aprile avevo ipotizzato: alcune stranezze “astrologiche” visto che in questo giorno nascono sia Noemi Letizia («scuderia» Berlusconi) che Ludwig Wittgenstein; 1521: muore Magellano; 1759: nasce Mary Wollstinecraft; 1848: abolita (di nuovo) la schiavitù in Francia; 1937: muore Gramsci; 1941: Mussolini ordina di internare gli zingari; 1965: nascono gli Oscar, libri in economica; 1966: a Roma lo studente Paolo Rossi muore dopo il pestaggio fascista; 1972: muore Nkrumah; 1987: gran casino diplomatico: gli Usa non danno il visto d’ingresso al presidente austriaco Waldheim; 1992: Kossiga si dimette (è la terza volta)…E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.
Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)